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IL PIACERE

Di: Gabriele D'Annunzio

Libro primo - 1

 

L'anno morivaassai dolcemente. Il sole di San Silvestro spandeva non so chetepor velatomollissimoaureoquasi primaverilenel cel di Roma. Tutte levie erano popolose come nelle domeniche di Maggio. Su la piazza Barberinisu lapiazza di Spagna una moltitudine di vetture passava in corsa traversando; edalle due piazze il romorio confuso e continuosalendo alla Trinità de' Montialla via Sistinagiungeva fin nelle stanze del palazzo Zuccariattenuato. Lestanze andavansi empiendo a poco a poco del profumo ch'esalavan ne' vasi i fiorifreschi. Le rose folte e larghe stavano immerse in certe coppe di cristallo chesi levavan sottili da una specie di stelo dorato slargandosi in guisa d'ungiglio adamantinoa similitudine di quelle che sorgon dietro la Vergine del tondodi Sandro Botticelli alla Galleria Borghese. Nessuna altra forma di coppaeguaglia in eleganza tal forma: i fiori entro quella prigione diafana paionquasi spiritualizzarsi e meglio dare imagine di una religiosa o amorosa offerta.Andrea Sperelli aspettava nelle sue stanze un'amante. Tutte le cose a tornorivelavano infatti una special cura d'amore. Il legno di ginepro ardeva nelcaminetto e la piccola tavola del tè era prontacon tazze e sottocoppe inmaiolica di Castel Durante ornate d'istoriette mitologiche da Luzio Dolciantiche forme d'inimitabile graziaove sotto le figure erano scritti incarattere corsivo a zàffara nera esametri d'Ovidio. La luce entrava temperatadalle tende di broccatello rosso a melagrane d'argento riccioa foglie e amotti. Come il sole pomeridiano feriva i vetrila trama fiorita delle tendinedi pizzo si disegnava sul tappeto. L'orologio della Trinità de' Monti suonò letre e mezzo. Mancava mezz'ora. Andrea Sperelli si levò dal divano dov'eradisteso e andò ad aprire una delle finestre; poi diede alcuni passinell'appartamento; poi aprì un librone lesse qualche rigalo richiuse; poicercò intorno qualche cosacon lo sguardo dubitante. L'ansia dell'aspettazionelo pungeva così acutamente ch'egli aveva bisogno di muoversidi operaredidistrarre la pena interna con un atto materiale. Si chinò verso il caminettoprese le molle per ravvivare il fuocomise sul mucchio ardente un nuovo pezzodi ginepro. Il mucchio crollò; i carboni sfavillando rotolarono fin su lalamina di metallo che proteggeva il tappeto; la fiamma si divise in tantepiccole lingue azzurrognole che sparivano e riapparivano; i tizzi fumigarono.Allora sorse nello spirito dell'aspettante un ricordo. Proprio innanzi a quelcaminetto Elena un tempo amava indugiareprima di rivestirsidopo un'ora diintimità. Ella aveva molt'arte nell'accumulare gran pezzi di legno su glialari. Prendeva le molle pesanti con ambo le mani e rovesciava un po' indietroil capo ad evitar le faville. Il suo corpo sul tappetonell'atto un po'faticosoper i movimenti de' muscoli e per l'ondeggiar delle ombre parevasorridere da tutte le giunturee da tutte le piegheda tutti i cavisoffusod'un pallor d'ambra che richiamava al pensiero la Danae del Correggio. Ed ellaaveva appunto le estremità un po' correggeschele mani e i piedi piccoli epieghevoliquasi direi arborei come nelle statue di Dafne in sul principioprimissimo della metamorfosi favoleggiata. Appena ella aveva compiuta l'operale legna conflagravano e rendevano un sùbito bagliore. Nella stanza quel caldolume rossastro e il gelato crepuscolo entrante pe' vetri lottavano qualchetempo. L'odore del ginepro arso dava al capo uno stordimento leggero. Elenapareva presa da una specie di follia infantilealla vista della vampa. Aveval'abitudineun po' crudeledi sfogliar sul tappeto tutti i fiori ch'eran ne'vasialla fine d'ogni convegno d'amore. Quando tornava nella stanzadopoessersi vestitamettendo i guanti o chiudendo un fermaglio sorrideva in mezzo aquella devastazione; e nulla eguagliava la grazia dell'atto che ogni volta ellafaceva sollevando un poco la gonna ed avanzando prima un piede e poi l'altroperché l'amante chino legasse i nastri delle scarpe ancóra disciolti. Il luogonon era quasi in nulla mutato. Da tutte le cose che Elena aveva guardate otoccate sorgevano i ricordi in folla e le imagini del tempo lontano rivivevanotumultuariamente. Dopo circa due anniElena stava per rivarcar quella soglia.Tra mezz'oracertoella sarebbe venutaella si sarebbe seduta in quellapoltronatogliendosi il velo di su la facciaun poco ansantecome una volta;ed avrebbe parlato. Tutte le cose avrebbero riudito la voce di leiforse ancheil riso di leidopo due anni. Il giorno del gran commiato fu appunto ilventicinque di marzo del mille ottocento ottanta cinquefuori della Porta Piain una carrozza. La data era rimasta incancellabile nella memoria di Andrea.Egli oraaspettandopoteva evocare tutti gli avvenimenti di quel giornoconuna lucidezza infallibile. La visione del paesaggio nomentano gli si aprivad'innanzi ora in una luce idealecome uno di quei paesaggi sognati in cui lecose paiono essere visibili da lontano per un irradiamento che si prolunga dalleloro forme. La carrozza chiusa scorreva con un rumore egualeal trotto: lemuraglie delle antiche ville patrizie passavano d'innanzi agli sportellibiancastrequasi oscillanticon un movimento continuo e dolce. Di tratto intratto si presentava un gran cancello di ferroa traverso il quale vedevasi unsentiero fiancheggiato di alti bussio un chiostro di verdura abitato da statuelatineo un lungo portico vegetale dove qua e là raggi di sole ridevanopallidamente. Elena tacevaavvolta nell'ampio mantello di lontracon un velosu la facciacon le mani chiuse nel camoscio. Egli aspirava con delizia ilsottile odore di eliotropio esalante dalla pelliccia preziosamentre sentivacontro il suo braccio la forma del braccio di lei. Ambedue si credevano lontanidagli altrisoli; ma d'improvviso passava la carrozza nera d'un prelato; o unbuttero a cavalloo una torma di chierici violaceio una mandria di bestiame.A mezzo chilometro dal ponte ella disse: - Scendiamo. Nella campagna la lucefredda e chiara pareva un'acqua sorgiva; ecome gli alberi al ventoondeggiavanopareva per un'illusion visuale che l'ondeggiamento si comunicassea tutte le cose. Ella dissestringendosi a lui e vacillando sul terreno aspro:- Io parto stasera. Questa è l'ultima volta... Poi tacque; poi di nuovo parlòa intervallisu la necessità della partenzasu la necessità della rotturacon un accento pieno di tristezza. Il vento furioso le rapiva le parole di su lelabbra. Ella seguitava. Egli interruppeprendendole la mano e con le ditacercando tra i bottoni la carne del polso: - Non più! Non più! Si avanzavanolottando contro le folate incalzanti. Ed eglipresso alla donnain quellasolitudine alta e gravesi sentì d'improvviso entrar nell'anima comel'orgoglio d'una vita più liberauna sovrabbondanza di forze. - Non partire!Non partire! Io ti voglio ancórasempre... Le nudò il polso e insinuò ledita nella manicatormentandole la pelle con un moto inquieto in cui era ildesiderio di possessi maggiori. Ella gli volse uno di quegli sguardi che loubriacavano come calici di vino. Il ponte era da pressorossastronell'illuminazione del sole. Il fiume pareva immobile e metallico in tutta lalunghezza della sua sinuosità. I giunchi s'incurvavano su la rivae le acqueurtavano leggermente alcune pertiche infisse nella creta per reggere forse lelenze. Allora egli cominciò ad incitarla con i ricordi. Le parlava de' primigiornidel ballo al Palazzo Farnesedella caccia nella campagna del DivinoAmoredegli incontri mattutini nella piazza di Spagna lungo le vetrine degliorefici o per la via Sistina tranquilla e signorilequando ella usciva dalpalazzo Barberini seguita dalle ciociare che le offerivano nei canestri le rose.- Ti ricordi? Ti ricordi? - Sì. - E quella sera de' fioriin principio; quandoio venni con tanti fiori... Tu eri solaaccanto alla finestra: leggevi. Tiricordi? - Sìsì. - Io entrai. Tu ti volgesti appena; tu mi accogliestiduramente. Che avevi? Io non so. Posai il mazzo sopra il tavolino e aspettai. Tuincominciasti a parlare di cose inutilisenza volontà e senza piacere. Iopensaiscorato: " Già ella non mi ama più! " Ma il profumo eragrande: tutta la stanza già n'era piena. Io ti veggo ancóraquando afferrasticon le due mani il mazzo e dentro ci affondasti tutta la facciaaspirando. Lafaccia risollevata pareva esangue e gli occhi parevano alterati come da unaspecie di ebrietà... - Seguisegui! - disse Elenacon la voce fievolechinasul parapettoincantata dal fascino delle acque correnti. - Poisul divano: tiricordi? Io ti ricoprivo il pettole bracciala facciacon i fioriopprimendoti. Tu risorgevi continuamenteporgendo la boccala golalepalpebre socchiuse. Fra la tua pelle e le mie labbra sentivo le foglie fredde emolli. Se io ti baciavo il collotu rabbrividivi in tutto il corpoe tendevile mani per tenermi lontano. Ohallora... Avevi la testa affondata nei cusciniil petto nascosto dalle rosele braccia nude sino al gomito; e nulla era piùamoroso e più dolce che il piccolo tremito delle tue mani pallide su le mietempie... Ti ricordi? - Sì. Segui! Egli seguivacrescendo nella tenerezza.Inebriato delle sue paroleegli quasi perdeva la conscienza di ciò che diceva.Elenacon le spalle volte alla luceandavasi chinando all'amante. Ambeduesentivano a traverso le vesti il contatto indeciso dei corpi. Sotto di loroleacque del fiume passavano lente e fredde alla vista; i grandi giunchi sottilicome capigliaturevi si incurvavano entro ad ogni soffio e fluttuavanolargamente. Poi non parlarono più; maguardandosisentivano negli orecchi unrumore continuo che si prolungava indefinitamente portando seco una partedell'essere lorocome se qualche cosa di sonoro sfuggisse dall'intimo del lorocervello e si spandesse ad empire tutta la campagna circostante. Elenasollevandosidisse: - Andiamo. Ho sete. Dove si può chiedere acqua? Sidiressero allora verso l'osteria romanescapassato il ponte. Alcuni carrettieristaccavano i giumentiimprecando ad alta voce. Il chiaror dell'occaso feriva ilgruppo umano ed equinocon viva forza. Come i due entrarononella gentedell'osteria non avvenne alcun moto di meraviglia. Tre o quattro uominifebbricitanti stavano intorno a un braciere quadratotaciturni e giallastri. Unbovarodi pel rossosonnecchiava in un angolotenendo ancóra fra i denti lapipa spenta. Due giovinastriscarni e biechigiocavano a cartefissandosinegli intervalli con uno sguardo pieno d'ardor bestiale. E l'ostessaunafemmina pingueteneva fra le braccia un bambinocullandolo pesantemente.Mentre Elena beveva l'acqua nel bicchiere di vetrola femmina le mostrava ilbambinolamentandosi. - Guardatesignora mia! Guardatesignora mia! Tutte lemembra della povera creatura erano di una magrezza miserevole; le labbraviolacee erano coperte di punti bianchicci; l'interno della bocca era copertocome di grumi lattosi. Pareva quasi che la vita fossa di già fuggita da quelpiccolo corpolasciando una materia su cui ora le muffe vegetavano. - Sentitesignora miale mani come sono fredde. Non può più bere; non può piùinghiottire; non può più dormire... La femmina singhiozzava. Gli uominifebbricitanti guardavano con occhi pieni di una immensa prostrazione. Aisinghiozzi i due giovinastri fecero un atto d'impazienza. - Venitevenite! -disse Andrea ad Elenaprendendole il bracciodopo aver lasciato sul tavolo unamoneta. E la trasse fuori. Insiemetornarono verso il ponte. Il corso dell'Anieneora andavasi accendendo ai fuochi dell'occaso. Una linea scintillanteattraversava l'arco; e in lontananza le acque prendevano un color bruno ma piùlucidocome se sopra vi galleggiassero chiazze d'olio o di bitume. La campagnaaccidentatasimile ad una immensità di rovineaveva una general tintavioletta. Verso l'Urbe il cielo cresceva in rossore. - Povera creatura! -mormorò Elena con suono profondo di misericordiastringendosi al bracciod'Andrea. Il vento imperversava. Una torma di cornacchie passò nell'ariaaccesain altoschiamazzando. Allorad'improvvisouna specie di esaltazionesentimentale prese l'anima di quei duein conspetto della solitudine. Parevache qualche cosa di tragico e di eroico entrasse nella loro passione. I culminidel sentimento fiammeggiarono sotto l'influenza del tramonto tumultuoso. Elenasi arrestò. - Non posso più - ella disseansando. La carrozza era ancóralontanaimmobilenel punto dove essi l'avevano lasciata. - Ancóra un pocoElena! Ancóra un poco! Vuoi ch'io ti porti? Andreapreso da un impeto liricoinfrenabilesi abbandonò alle parole. " Perché ella voleva partire?Perché ella voleva spezzare l'incanto? i loro destini ormai non eranolegati per sempre? Egli aveva bisogno di lei per viveredegli occhidellavocedel pensiero di lei... Egli era tutto penetrato da quell'amore; avevatutto il sangue alterato come da un velenosenza rimedio. Perché ella volevafuggire? Egli si sarebbe avviticchiato a leil'avrebbe prima soffocata sul suopetto. Nonon poteva essere. Mai! Mai! " Elena ascoltavaa testa bassaaffaticata contro il ventosenza rispondere. Dopo un pocoella sollevò ilbraccio per far cenno al cocchiere di avanzarsi. I cavalli scalpitarono. -Fermatevi a Porta Pia - gridò la signorasalendo nella carrozza insiemeall'amante. E con un movimento subitaneo si offerse al desiderio di lui che lebaciò la boccala frontei capelligli occhila golaavidamenterapidamentesenza più respirare. - Elena! Elena! Un vivo bagliore rossastroentrò nella carrozzariflesso dalle case color di mattone. Si avvicinava nellastrada il trotto sonante di molti cavalli. Elenapiegandosi su la spalladell'amante con una immensa dolcezza di sommessionedisse: - Addioamore!Addio! Addio! Come ella si sollevòa destra e a sinistra passarono a grantrotto dieci o dodici cavalieri scarlatti tornanti dalla caccia della volpe.Unoil duca di Beffipassando rasentesi curvò in arcione per guardare nellosportello. Andrea non parlò più. Egli sentiva ora tutto il suo essere mancarein un abbattimento infinito. La puerile debolezza della sua naturasedata laprima sollevazionegli dava ora un bisogno di lacrime. Egli avrebbe volutopiegarsiumiliarsipregaremuovere la pietà della donna con le lacrime.Aveva la sensazione confusa e ottusa d'una vertigine; e un freddo sottile gliassaliva la nucagli penetrava la radice dei capelli. - Addio - ripeté Elena.Sotto l'arco della Porta Pia la carrozza si fermavaperché egli discendesse.Così dunqueaspettandoAndrea rivedeva nella memoria quel giorno lontano;rivedeva tutti i gestiriudiva tutte le parole. Che aveva fatto egliappenascomparsa la carrozza di Elena verso le Quattro Fontane? Nullain veritàdistraordinario. Anche alloracome sempreappena lontano l'oggetto immediato dacui il suo spirito traeva quella specie di esaltazione fatuaegli avevariacquistato quasi d'un tratto la tranquillitàla conscienza della vitacomunel'equilibrio. Era salito su una vettura publica per tornare a casa; làs'era messo l'abito nerocome al solitonon dimenticando alcuna particolaritàdi eleganza; ed era andato a pranzo da sua cuginacome in ogni altromercoledìal palazzo Roccagiovine. Tutte le cose dell'esistenza esterioreavevano su lui un gran potere d'obliolo occupavanolo eccitavano al godimentorapido dei piaceri mondani. Quella serainfattiil raccoglimento gli eravenuto assai tardiquando cioè rientrando nella sua casa aveva veduto brillaresopra un tavolo il piccolo pettine di tartaruga dimenticato da Elena due giorniinnanzi. Allorain compensotutta la notteaveva soffertoe con moltiartifici del pensiero aveva acuito il suo dolore. Ma il momento si approssimava.L'orologio della Trinità de' Monti suonò le tre e tre quarti. Egli pensòconuna trepidazione profonda: " Fra pochi minuti Elena sarà qui. Quale attoio farò accogliendola? Quali parole io le dirò? " L'ansia in lui eraverace e l'amore per quella donna era in lui rinato veracemente; ma laespressione verbale e plastica de' sentimenti in lui era sempre cosìartificiosacosì lontana dalla semplicità e dalla sinceritàche egliricorreva per abitudine alla preparazione anche ne' più gravi commovimentidell'animo. Cercò d'imaginare la scena; compose alcune frasi; scelse con gliocchi intorno il luogo più propizio al colloquio. Poi anche si levò per vederein uno specchio se il suo volto era pallidose rispondeva alla circostanza. Eil suo sguardonello specchiosi fermò alle tempieall'attaccatura deicapellidove Elena allora soleva mettere un bacio delicato. Aprì lelabbra per mirare la perfetta lucentezza dei denti e la freschezza dellegengivericordando che un tempo ad Elena piaceva in lui sopra tutto la bocca.La sua vanità di giovine viziato ed effeminato non trascurava mai nell'amorealcun effetto di grazia o di forma. Egli sapevanell'esercizio dell'amoretrarre dalla sua bellezza il maggior possibile godimento. Questa feliceattitudine del corpo e questa acuta ricerca del piacere appunto gli cattivavanol'animo delle donne. Egli aveva in sé qualche cosa di Don Giovanni e diCherubino: sapeva essere l'uomo di una notte erculea e l'amante timidocandidoquasi verginale. La ragione del suo potere stava in questo: chenell'arted'amareegli non aveva ripugnanza ad alcuna finzionead alcuna falsitàadalcuna menzogna. Gran parte della sua forza era nella ipocrisia. " Qualeatto io farò accogliendola? Quali parole io le dirò? " Egli si smarrivamentre i minuti fuggivano. Egli non sapeva già con quali disposizioni Elenasarebbe venuta. L'aveva incontrata la mattina innanzi per la via de' Condottimentre ella guardava nelle vetrine. Era tornata a Roma da pochissimi giornidopo una lunga assenza oscura. L'incontro improvviso aveva dato ad ambedue unacommozione viva; ma la publicità della strada li aveva costretti ad un riserbocortesecerimoniosoquasi freddo. Egli le aveva dettocon un'aria graveunpo' tristeguardandola negli occhi: - Ho tante cose da raccontarviElena.Venite da medomani? Nulla è mutato nel buen retiro. - Ella avevarispostosemplicemente: - Bene; verrò. Aspettatemi alle quattrocirca. Hoanch'io qualche cosa da dirvi. Ora lasciatemi. Ella aveva accettato sùbitol'invitosenza esitazione alcunasenza metter pattisenza mostrar di dareimportanza alla cosa. Una tal prontezza aveva da prima suscitato in Andrea nonso qual preoccupazione vaga. Sarebbe ella venuta come un'amica o come un'amante?Sarebbe venuta a riallacciare l'amore o a rompere ogni speranza? In quei dueanni che era mai accaduto nell'animo di lei? Andrea non sapeva; ma gli duravaancóra la sensazione avuta dallo sguardo di leinella stradaquando eglierasi inchinato a salutarla. Era pur sempre il medesimo sguardocosì dolcecosì profondocosì lusinghevoletra i lunghissimi cigli. Mancavano due o treminuti all'ora. L'ansia dell'aspettante crebbe a tal punto ch'egli credeva disoffocare. Andò alla finestradi nuovoe guardò verso le scale dellaTrinità. Elenaun temposaliva per quelle scale ai convegni. Mettendo ilpiede sull'ultimo gradinosi soffermava un istante; poi traversava rapida queltratto di piazza ch'è d'innanzi alla casa dei Casteldelfino. Si udiva il suopasso un poco ondeggiante risonare sul lastricose la piazza era silenziosa.L'orologio batté le quattro. Giungeva dalla piazza di Spagna e dal Pincio ilromore delle vetture. Molta gente camminava sotto gli alberid'innanzi allaVilla Medici. Due donne stavano sul sedile di pietrasotto la chiesaa guardiadi alcuni bimbi che correvano intorno l'obelisco. L'obelisco era tutto roseoinvestito dal sole declinante; e segnava un'ombra lungaobliquaun po'turchina. L'aria diveniva rigidacome più s'appressava il tramonto. La cittàin fondosi tingeva d'orocontro un cielo pallidissimo sul quale già icipressi del Monte Mario si disegnavano neri. Andrea trasalì. Vide un'ombraapparire in cima alla piccola scala che costeggia la casa dei Casteldelfino ediscende su la piazzetta Mignanelli. Non era Elena; ma una signora che voltòper la via Gregorianacamminando adagio. " S'ella non venisse? "dubitòritraendosi dalla finestra. E nel ritrarsi dall'aria freddasentìpiù molle il tepore della stanzapiù acuto il profumo del ginepro e dellerosepiù misteriosa l'ombra delle tende e delle portiere. Pareva che in quelmomento la stanza fosse tutta pronta ad accogliere la donna desiderata. Eglipensò alla sensazione che Elena avrebbe avuto entrando. Certoella sarebbestata vinta da quella dolcezza così piena di memorie; avrebbe d'un trattoperduta ogni nozione della realtàdel tempo; avrebbe creduto di trovarsi aduno de' convegni abitualidi non aver mai interrotta quella pratica divoluttàd'esser pur sempre la Elena d'una volta. Se il teatro dell'amore eraimmutatoperché sarebbe mutato l'amore? Certoella avrebbe sentita laprofonda seduzione delle cose una volta dilette. Allora cominciònell'aspettante una nuova tortura. Gli spiriti acuiti dalla consuetudine dellacontemplazione fantastica e del sogno poetico dànno alle cose un'animasensibile e mutabile come l'anima umana; e leggono in ogni cosanelle formene' colorine' suonine' profumiun simbolo trasparentel'emblema d'unsentimento o d'un pensiero; ed in ogni fenomenoin ogni combinazion di fenomenicredono indovinare uno stato psichicouna significazione morale. Talvolta lavisione è così lucida che produce in quegli spiriti un'angoscia: si sentonoessi come soffocare dalla pienezza della vita rivelata e si sbigottiscono de'loro stessi fantasmi. Andrea vide nell'aspetto delle cose intorno riflessal'ansietà sua; e come il suo desiderio si sperdeva inutilmente nell'attesa e isuoi nervi s'indebolivanocosì parve a lui che l'essenza direi quasi eroticadelle cose anche vaporasse e si dissipasse inutilmente. Tutti quegli oggettiinmezzo a' quali egli aveva tante volte amato e goduto e soffertoavevano per luiacquistato qualche cosa della sua sensibilità. Non soltanto erano testimoni de'suoi amoride' suoi piaceridelle sue tristezzema eran partecipi. Nella suamemoriaciascuna formaciascun colore armonizzava con una imagine muliebreera una nota in un accordo di bellezzaera un elemento in una estesi dipassione. Per la natura del suo gustoegli ricercava negli amori un gaudiomolteplice: il complicato diletto di tutti i sensil'alta commozioneintelettualegli abbandoni del sentimentogli impeti della brutalità. Epoiché egli ricercava con artecome un esteticotraeva naturalmente dal mondodelle cose molta parte della sua ebrezza. Questo delicato istrione noncomprendeva la comedia dell'amore senza gli scenarii. Perciò la sua casa era unperfettissimo teatro; ed egli era un abilissimo apparecchiatore. Manell'artificio quasi sempre egli metteva tutto sé; vi spendeva la ricchezza delsuo spirito largamente; vi si obliava così che non di rado rimaneva ingannatodal suo stesso ingannoinsidiato dalla sua stessa insidiaferito dalle suestesse armia somiglianza d'un incantatore il quale fosse preso nel cerchiostesso del suo incantesimo. Tuttointornoaveva assunto per lui quellainesprimibile apparenza di vita che acquistanoad esempiogli arnesi sacrileinsegne d'una religionegli strumenti d'un cultoogni figura su cui siaccumuli la meditazione umana o da cui l'imaginazione umana poggi a una qualcheideale altezza. Come una fiala rende dopo lunghi anni il profumo dell'essenzache vi fu un giorno contenutacosì certi oggetti conservavano pur qualche vagaparte dell'amore onde li aveva illuminati e penetrati quel fantastico amante. Ea lui veniva da loro una incitazione tanto forte ch'egli n'era turbato talvoltacome dalla presenza d'un potere soprannaturale. Parevain veroch'egliconoscesse direi quasi la virtualità afrodisiaca latente in ciascuno di queglioggetti e la sentisse in certi momenti sprigionarsi e svolgersi e palpitareintorno a lui. Alloras'egli era nelle braccia dell'amatadava a sé stesso edal corpo ed all'anima di lei una di quelle supreme feste il cui solo ricordobasta a rischiarare una intiera vita. Ma s'egli era soloun'angoscia grave lostringevaun rammarico inesprimibileal pensiero che quel grande e raroapparato d'amore si perdeva inutilmente. Inutilmente! Nelle alte coppefiorentine le roseanch'esse aspettantiesalavano tutta la intima lordolcezza. Sul divanoalla paretei versi argentei in gloria della donna e delvinoframmisti così armoniosamente agli indefinibili colori serici nel tappetopersiano del XVI secoloscintillavano percossi dal tramontoin un angoloschietto disegnato dalla finestrae rendevan più diafana l'ombra vicinapropagavano un bagliore ai cuscini sottostanti. L'ombraovunqueera diafana ericcaquasi direi animata dalla vaga palpitazion luminosa che hanno i santuariioscuri ov'è un tesoro occulto. Il fuoco nel camino crepitava; e ciascuna dellesue fiamme erasecondo l'imagine di Percy Shelleycome una gemma disciolta inuna luce sempre mobile. Pareva all'amante che ogni formache ogni colorecheogni profumo rendesse il più delicato fiore della sua essenzain quell'attimo.Ed ella non veniva! Ed ella non veniva! Sorse allora nella mentedi luiper la prima voltail pensiero del marito. Elena non era più libera.Aveva rinunziato alla bella libertà della vedovanzapassando in seconde nozzecon un gentiluomo d'Inghilterracon un Lord Humphrey Heathfieldalcuni mesidopo l'improvvisa partenza da Roma. Andrea infatti si ricordava di aver vistol'annunzio del matrimonio in una cronaca mondananell'ottobre del milleottocento ottanta cinque; e d'aver sentito fare su la nuova Lady HelenHeathfield una infinità di commenti per tutte le villeggiature di quell'autunnoromano. Anche si ricordava di avere incontrato una decina di voltenelprecedente invernoquel Lord Humphrey ai sabati della principessaGiustiniani-Bandini e nelle vendite publiche. Era un uomo di quarant'annid'unabiondezza cinereacalvo su le tempiequasi esanguecon due occhi chiari edacuticon una grande fronte sporgente solcata di vene. Il suo nomeHeatfieldera ben quello del luogotenente generale che fu l'eroe della celebre difesa diGibilterra (1779-83)reso immortale anche dal pennello di Joshua Reynolds. Qualparte aveva quell'uomo nella vita di Elena? Da quali legamioltre che dallenozzeera Elena legata a colui? Quali transformazioni aveva operato in lei ilcontatto materiale e spirituale del marito? Gli enigmi sorsero d'un trattonell'animo di Andreatumultuariamente. In mezzo al tumultogli apparve netta eprecisa l'imagine del connubio fisico di que' due; e il dolore fu cosìinsopportabile ch'egli si levò col balzo istintivo d'un uomo il quale si sentad'improvviso ferire in un membro vitale. Attraversò la stanzauscìnell'anticameraorigliò alla porta ch'egli aveva lasciata socchiusa. Eranquasi le cinque meno un quarto. Dopo un pocoegli udì su per le scale unpassoun fruscìo di vestiun respiro affaticato. Certouna donna saliva.Tutto il sangue gli si mosse con tal veemenzachesnervato dalla lungaaspettazioneegli credeva di smarrire le forze e di cadere. Ma pure udì ilsuono del piede feminile su gli ultimi gradiniun respiro più lungoil passosul pianerottolosu la soglia. Elena entrò. - OhElena! Finalmente. Era inquelle parole così profonda l'espressione dell'angoscia durata che alla donnaapparve su le labbra un'indefinibile sorrisomisto di misericordia e dipiacere. Egli le prese la destrach'era senza guantotraendola verso lastanza. Ella ansava ancóra; ma aveva per tutto il volto diffusa una lievefiammasotto il velo nero. - PerdonatemiAndrea. Ma non ho potuto liberarmiprima d'ora. Tante visite... tanti biglietti da restituire... Sono giornatefaticose. Non ne posso più. Come fa caldo qui! Che profumo! Ella stava ancórain piedinel mezzo della stanza; un po' titubante e preoccupatasebbeneparlasse rapida e leggera. Un mantello di panno Carmélitecon manichenello stile dell'Impero tagliate dall'alto in larghi sgonfispianate eabbottonate al polsocon un immenso bavero di volpe azzurra per unicaguarniturale copriva tutta la persona senza toglierle la grazia dellasnellezza. Ella guardava Andreacon gli occhi pieni di non so che sorrisotremulo che ne velava l'acuta indagine. Disse: - Voi siete un poco mutato. Nonsaprei dirvi in che. Avete ora nella boccaper esempioqualche cosa di amaroch'io non conosceva. Disse queste parole con un tono di familiarità affettuosa.La voce di leirisonando nella stanzadava ad Andrea un diletto così vivoch'egli esclamò: - ParlateElena; parlate ancóra! Ella rise. E domandò: -Perché? Egli risposeprendendole la mano: - Voi lo sapete. Ella ritrasse lamano; e guardò il giovine fin dentro gli occhi. - Io non so più nulla. - Voisiete dunque mutata? - Molto mutata. Già il " sentimento " li traevaambedue. La risposta di Elena chiariva d'un tratto il problema. Andrea comprese;erapidamente ma precisamenteper un fenomeno d'intuizione non raro in certispiriti esercitati all'analisi dell'essere interioreintravide l'attitudinemorale della visitatrice e lo svolgimento della scena che doveva seguire. Egliperò era già tutto invaso dalla malia di quella donnacome una volta.Inoltrela curiosità lo pungeva forte. Disse: - Non sedete? - Sìun momento.- Làsu la poltrona. - Ahla mia poltrona! - ella stava per direconun moto spontaneopoiché l'aveva riconosciuta; ma si trattenne. Era unaseggiola ampia e profondaricoperta d'un cuoio anticosparso di Chimerepallide a rilievoin sul gusto di quello che ricopre le pareti d'una stanza delpalazzo Chigi. Il cuoio aveva preso quella tinta calda e opulenta che ricordacerti fondi di ritratti venezianio un bel bronzo conservante appena unatraccia di doratura o una scaglia di tartaruga fina da cui trasparisca unafoglia d'oro. Un gran cuscinotagliato in una dalmaticad'un colore assaidisfattodi quel colore che i setaiuoli fiorentini chiamavano rosa di gruogorendeva molle la spalliera. Elena sedette. Posò su l'orlo della tavola da tèil guanto destro e il portabiglietti ch'era una sottile guaina d'argento lisciocon sopra incise due giarrettiere allacciaterecanti un motto. Quindi si tolseil velosollevando le braccia per sciogliere il nodo dietro la testa; e l'attoelegante destò qualche onda lucida nel velluto: alle ascellelungo le manichelungo il busto. Poiché il calore del camino era soverchioella si fece schermocon la mano nuda che s'illuminò come un alabastro rosato: gli anelli nel gestoscintillarono. Ella disse: - Coprite il fuoco; vi prego. Brucia troppo. - Non vipiace più la fiamma? Ed eravateun tempouna salamandra! Questo camino èmemore... - Non movete le memorie - ella interruppe. - Coprite dunque il fuocoe accendete un lume. Io farò il tè. - Non volete togliervi il mantello? - Noperché debbo andar via presto. E' già tardi. - Ma soffocherete. Ella si levòcon un piccolo atto d'impazienza. - Aiutatemiallora. Andrea sentìneltoglierle il mantelloil profumo di lei. Non era più quello d'una volta; maera d'una tal bontà che gli giunse fino ai precordii. - Avete un altro profumo- egli dissecon un accento singolare. Rispose ellasemplicemente: - Sì. Vipiace? Andreaancóra tenendo il mantello fra le maniaffondò il volto nellapelliccia che ornava il collo e che più quindi era profumata dal contatto dellacarne e de' capelli di lei. Poi chiese: - Come si chiama? - E' senza nome. Elladi nuovo sedette su la poltronaentrando nel chiaror della fiamma. Aveva unabito nerotutto composto di merletti in mezzo a cui brillavano perlineinnumerevolinere e d'acciaio. Il crepuscolo moriva contro i vetri. Andreaaccese su i candelabri di ferro certe candele attortedi colore aranciato moltointenso. Poi trasse d'innanzi al caminetto il parafuoco. Ambedueinquell'intervallo di silenzioerano nell'animo perplessi. Elena non aveva laconscienza esatta del momentoné la sicurezza di sé; pur tentando uno sforzonon riusciva a riafferrare il suo propositoa raccogliere le sue intenzioniariprendere la sua volontà. D'innanzi a quell'uomo a cui un tempo l'avevastretta una così alta passionein quel luogo dove ella aveva vissuto la suapiù ardente vitasentiva a poco a poco tutti i pensieri vacillaredissolversidileguarsi. Ormai il suo spirito stava per entrare in quello statodeliziosodirei quasi di fluidità sentimentalein cui riceve ogni movimentoogni attitudineogni forma dalle vicende esternecome un vapore aereo dallemutazioni dell'atmosfera. Esitavaprima di abbandonarvisi. Andrea dissepianoquasi umile: - Va benecosì? Ella gli sorrisesenza risponderepoichéquelle parole le avevano dato un diletto indefinibilequasi un tremolio didolcezza a sommo del petto. Incominciò la sua opera delicata. Accese la lampadasotto il vaso dell'acqua; aprì la scatola di laccadov'era conservato il tèe mise nella porcellana una quantità misurata d'aroma; poi preparò due tazze.I suoi gesti erano lenti e un poco irresoluticome di chi operando abbial'animo rivolto ad altro oggetto; le sue mani bianche e purissime avevano nelmuoversi una leggerezza quasi di farfallenon parendo toccare le cose ma appenasfiorarle; dai suoi gestidalle sue manida ogni lieve ondulamento del suocorpo usciva non so che tenue emanazion di piacere e andava a blandire il sensodell'amante. Andreaseduto da pressola guardava con gli occhi un pocosocchiusibevendo per le pupille il fascino voluttuoso che nasceva da lei. Eracome se ogni moto divenisse per lui tangibile idealmente. Quale amante non haprovato questo inesprimibile gaudioin cui par quasi che la potenza sensitivadel tatto si affini così da avere la sensazione senza la immediata materialitàdel contatto? Ambedue tacevano. Elena s'era abbandonata sul cuscino: aspettavache l'acqua bollisse. Guardando la fiamma azzurra della lampadatoglieva dalledita gli anellie se li rimetteva di continuosmarrita in un'apparenza disogno. Non era un sognoma come una rimenbranza vagaondeggianteconfusafuggevole. Tutte le momorie dell'amor passato le risorgevano nello spiritomasenza chiarezza: e le davano una espressione incerta ch'ella non sapeva se fosseun piacere o un dolore. Pareva come quando da molti fiori estintide' qualiciascuno ha perduto ogni singolarità di colori e di effluvinasce una comuneesalazione in cui e' possibile riconoscere i diversi elementi. Pareva ch'ellaportasse in sé l'ultimo alito dei ricordi già spiratil'ultima traccia dellegioie già scomparsel'ultimo risentimento della felicità già mortaqualchecosa di simile a un vapor dubbio da cui emergessero imagini senza nomesenzacontornointerrotte. Ella non sapeva se fosse un piacere o un dolore; ma a pocoa poco quell'agitazione misteriosaquella inquietudine indefinibile aumentavanoe le gonfiavano il cuore di dolcezza e di amarezza. I presentimenti oscuriisegreti rimpiantii timori superstiziosile aspirazioni combattutei dolorisoffocatii sogni travagliatii desiderii non appagatitutti quei torbidielementi che componevano l'interior vita di lei ora si rimescolavano etempestavano. Ella tacevatutta raccolta in sé. Mentre il suo cuore quasitraboccavaella godeva accumularvi ancóra col silenzio la commozione.Parlandoella l'avrebbe dispersa. Il vaso dell'acqua incominciò a levare ilbollore pianamente. Andrea su la sedia bassatenendo il gomito poggiato alginocchio e il mento nella palmaguardava ora la bella creatura con taleintensità ch'ellapur non volgendosisentiva su la sua persona quellapersistenza e ne aveva quasi un vago malessere fisico. Andreaguardandolapensava: " Io ho posseduto questa donnaun giorno. " Egli ripeteva asé stesso l'affermazioneper convincersi; e facevaper convincersiunosforzo mentalerichiamava alla memoria una qualche attitudine di lei nelpiacerecercava di rivederla fra le sue braccia. La certezza del possesso glisfuggiva. Elena gli pareva una donna nuovanon mai godutanon mai stretta.Ella erain veritàancor più desiderabile che una volta. L'enigma quasidirei plastico della sua bellezza era ancor più oscuro e attirante. La suatesta dalla fronte brevedal naso drittodal sopracciglio arcuatod'undisegno così purocosì fermocosì anticoche pareva essere uscita dalcerchio d'una medaglia siracusanaaveva negli occhi e nella bocca un singolarcontrasto di espressione: quell'espressione passionataintensaambiguasopraumanache solo qualche moderno spiritoimpregnato di tutta la profondacorruzione dell'arteha saputo infondere in tipi di donna immortali come MonnaLisa e Nelly O' Brien. " Altri ora la possiede " pensava Andreaguardandola. " Altre mani la toccanoaltre labbra la baciano. " Ementre egli non giungeva a formar nella fantasia l'imagine dell'unione di sécon leivedeva nuovamente invececon implacabile precisionel'altra imagine.E una smania l'invadevadi saperedi scoprired'interrogareacutissima.Elena s'era chinata al tavolopoiché il vapore fuggivaper la commessura delcoperchiodal vaso bollente. Versò appena un poco d'acqua su tè; poi mise duepezzi di zucchero in una sola tazza; poi versò sul tè altra acqua; poi spensela fiamma azzurra. Ella fece tutto questo con una cura quasi tenerama senzamai volgersi ad Andrea. L'interno tumulto risolvevasi ora in un intenerimentocosì molle ch'ella si sentiva chiudere la gola e inumidire gli occhi; e nonpoteva resistere. Tanti pensieri contrariitante contrarie agitazioni ealterazioni dell'animo si raccoglievano ora in una lacrima. Ellaper un gestourtò il portabiglietti d'argentoche cadde sul tappeto. Andrea lo raccolseeguardò le due giarrettiere incise. Portava ciascuna un motto sentimentale: FromDreamland - A stranger hither; Dal Paese del Sogno - Straniera qui. Com'eglilevava gli occhiElena gli offerì la tazza fumantecon un sorriso un pocovelato dalla lacrima. Vide egli quel velo; e innanzi a quell'inaspettato segnodi tenerezza fu invaso da un tale impeto d'amore e di riconoscenza che posò latazzas'inginocchiòprese la mano d'Elenasopra vi mise la bocca. - Elena!Elena! Le parlava a voce bassain ginocchiocosì da vicino che pareva volessebeverne l'alito. L'ardore era sinceromentre le parole talvolta mentivano." Egli l'amaval'aveva sempre amatanon aveva mai mai mai potutodimenticarla! aveva sentitorincontrandolatutta la sua passione insorgere contal violenza che n'aveva avuto quasi terrore: una specie di terrore ansiosocome s'egli avesse intravistoin un lampolo sconvolgimento di tutta la suavita. " - Tacete! Tacete! - disse Elenacon il volto atteggiato di dolorepallidissima. Andrea seguitavasempre in ginocchioaccendendosi nell'imaginazionedel sentimento. " Egli aveva sentito trascinar via da leiin quella fugaimprovvisala maggior e miglior parte di sé. Dopoegli non sapeva dirle tuttala miseria dei suoi giornil'angoscia de' suoi rimpiantil'assidua implacabiledivorante sofferenza interiore. La tristezza era per lui in fondo a tutte lecose. La fuga del tempo gli era un supplizio insopportabile. Non tanto eglirimpiangeva i giorni felici quanto si doleva de' giorni che ora passavanoinutilmente per la felicità. Quelli almeno gli avevan lasciato un ricordo:questi gli lasciavano un rammarico profondoquasi un rimorso... La sua vita siconsumava in sé stessaportando in sé la fiamma inestinguibile d'un soldesideriol'incurabile disgusto d'ogni altro godimento. Talvolta lo assalivanoimpeti di cupidigia quasi rabbiosidisperati ardori verso il piacere; ed eracome una ribellion violenta del cuore non saziatocome un sussulto dellasperanza che non si rassegnava a morire. Talvolta anche gli pareva d'esserridotto a nulla; e rabbrividiva innanzi ai grandi abissi vacui del suo essere:di tutto l'incendio della sua giovinezza non gli restava che un pugno di cenere.Talvolta anchea simiglianza d'uno di que' sogni che si dileguano su l'albatutto il suo passatotutto il suo presente si dissolvevano; si distaccavanodalla sua conscienza e cadevanocome una spoglia fragilecome una veste vana.Egli non si ricordava più di nullacome un uomo escito da una lungainfermitàcome un convalescente stupefatto. Egli alfine obliava; sentival'anima sua entrar dolcemente nella morte... Mad'improvvisosu da quellaspecie di tranquillità obliosa scaturiva un nuovo dolore e l'idolo abbattutorisorgeva più alto come un germe indistruttibile. Ellaella era l'idoloche seduceva in lui tutte le volontà del cuorerompeva in lui tutte le forzedell'intellettoteneva in lui tutte le più segrete vie dell'anima chiuse adogni altro amoread ogni altro doloread ogni altro sognoper semprepersempre... " Andrea mentiva; ; ma la sua eloquenza era così caldala suavoce era così penetranteil tócco delle sue mani era così amorosoche Elenafu invasa da una infinita dolcezza. - Taci! - ella disse. - Io non debboascoltarti; io non sono più tua; io non potrò essere tua più mai. Taci! Taci!- Noascoltami. - Non voglio. Addio. Bisogna ch'io vada. AddioAndrea. E' giàtardilasciami. Ella sviluppò la mano dalla stretta del giovine; esuperandoogni interno languorefece atto di levarsi. - Perché dunque sei venuta? -chiese eglicon la voce un po' rocaimpedendole quell'atto. Sebbene laviolenza fosse lievissimaella corrugò i sopracciglied esitò prima dirispondere. - Son venuta - ella risposecon una certa lentezza misurataguardando l'amante negli occhi - son venuta perché tu m'hai chiamata. Perl'amore d'una voltaper il modo con cui quell'amore fu rottoper il lungosilenzio oscuro della lontananzaio non avrei potuto senza durezza ricusarel'invito. E poiio voleva dirti quel che t'ho detto: c'hio non sono più tuache non potrò essere tua più mai. Volevo dirti questolealmenteper evitarea me e a te qualunque inganno dolorosoqualunque pericoloqualunque amarezzanell'avvenire. Hai inteso? Andrea chinò il capoquasi su le ginocchia di leiin silenzio. Ella gli toccò i capellicol gesto un tempo familiare. - E poi -seguitòcon una voce che mise a lui un brivido in tutte le fibre - e poi...volevo dirti ch'io ti amoch'io ti amo non meno d'una voltache ancóra tu seil'anima dell'anima miae che io voglio essere la tua sorella più carala tuaamica più dolce. Hai inteso? Andrea non si mosse. Ellaprendendo le tempie dilui fra le sue manigli sollevò la fronte; lo costrinse a guardarla negliocchi. - Hai frainteso? - ripetécon una voce anche più tenera e piùsommessa. I suoi occhiall'ombra de' lunghi cigliparevano come suffusi d'unqualche olio purissimo e sottilissimo. La sua boccaun poco apertaaveva nellabbro superiore un piccolo tremito. - No; tu non mi amavitu non mi ami! -ruppe infine Andreatogliendosi dalle tempie le mani di lei e traendosiindietropoiché sentiva già nelle vene il fuoco insinuante ch'esalavano ancheinvolontariamente quelle pupille e provava più acre il dolore d'aver perduto ilpossesso materiale della bellissima donna. - Tu non mi amavi! Tualloraavesti cuore d'uccidere l'amor tuod'improvvisoquasi a tradimentomentre tidava la sua ebrezza più forte. Tu mi fuggistitu mi abbandonastitu milasciasti solosbigottitotutto dolorosoa terramentre io ero ancóraaccecato di promesse. Tu non mi amavitu non mi ami! Dopo una lontananza cosìlungapiena di misterimuta e inesorabile; dopo una così lunga attesain cuiho consunto il fiore della mia vita a nutrire una tristezza che m'era caraperché mi veniva da te; dopo tanta felicità e dopo tanta sciaguraeccoturientri in un luogo dove ogni cosa per noi costudisce un ricordo ancóra vivoemi dici soavemente: " Io non sono più tua. Addio. " Ahtu non miami! - Ingrato! Ingrato! - esclamò Elenaferita dalla voce quasi irosa delgiovine. - Che sai tu di quel ch'è accadutodi quel ch'io ho sofferto? Chesai? - Io non so nullaio non voglio nulla sapere - rispose Andreaduramenteinvolgendola d'uno sguardo un po' torbidoin fondo a cui tralucevano i suoidesideri esasperati. - Io so che tu fosti miaun giornotutta quantacon unabbandono senza ritegnocon una voluttà senza misuracome non mai alcunaaltra donna; e so che né il mio spirito né la mia carne dimenticheranno maiquella ebrezza... - Taci! - Che fa a me la tua pietà di sorella? Tucontro iltuo volerema la offri guardandomi con occhi d'amantetoccandomi con manimalsicure. Troppe volte ho veduto i tuoi occhi spengersi nel gaudio; troppevolte le tue mani m'han sentito rabbrividire. Io ti desidero. Incitato dalle suestesse paroleegli la strinse forte ai polsi ed appressò la sua faccia aquella di lei così ch'ella ebbe in su la bocca il caldo alito. - Io tidesiderocome non mai - seguitò eglicercando d'attirarla al suo baciocircondandole con un braccio il busto. - Ricórdati! Ricórdati! Elena si levòrespingendolo. Tremava tutta. - Non voglio. Intendi? Egli non intendeva. Siriavvicinava ancóracon le braccia teseper prenderla: pallidissimorisoluto. - Soffriresti tu - gridò ella con la voce un po' soffocatanonpotendo patire la violenza - soffriresti tu di spartire con altri il mio corpo?Ella aveva profferita quella domanda crudelesenza pensare. Oracon gli occhimolto apertiguardava l'amante: ansiosa e quasi sbigottitacome chi persalvarsi abbia vibrato un colpo senza misurarne la forzae tema di aver feritotroppo nel profondo. L'ardore di Andrea cadde d'un tratto. E gli si dipinse sulvolto un dolor così grave che la donna n'ebbe al cuore una fitta. Andrea dissedopo un intervallo di silenzio: - Addio. In quella sola parola era l'amarezza ditutte le altre parole ch'egli aveva ricacciate indietro. Elena risposedolcemente: - Addio. Perdonami. Ambedue sentirono la necessità di chiudereperquella serail colloquio periglioso. L'uno assunse una forma di cortesiaesteriore quasi esagerata. L'altra divenne anche più dolcequasi umile; el'agitava un tremito incessante. Prese ella di su la sedia il suo mantello.Andrea l'aiutòcon maniere premurose. Come ella non giungeva a mettere unbraccio in una manicaAndrea la guidòappena toccandola; quindi le porse ilcappello e il velo. - Volete andare di làallo specchio? - Nograzie. Ellaandò verso la paretea fianco del caminettoove pendeva un piccolo specchioantico dalla cornice ornata di figure scolpite con uno stile così agile efranco che parevanopiuttosto che nel legnoformate in un oro malleabile. Eraun'assai leggiadra cosauscita certo dalle mani d'un delicato quattrocentistaper una Mona Amorrosisca o per una Laldomine. Molte voltenel tempo feliceElena s'era messo il velo d'innanzi a quella lastra offuscata e maculata cheaveva apparenza d'un'acqua torbaun poco verdastra. Orasi risovveniva. Quandovide la sua imagine apparire in quel fondoebbe un'impressione singolare.Un'onda di tristezzapiù densale traversò lo spirito. Ma non parlò. Andreala guardavacon occhi intenti. Come fu prontaella disse: - Sarà molto tardi.- Non molto. Saranno le seiforse. - Io ho licenziata la mia carrozza - ellasoggiunse. - Vi sarei tanto grata se mi faceste prendere una vettura chiusa. -Permettete ch'io vi lasci qui solaun momento? Il mio domestico è fuori. Ellaassentì. - Date voi stesso l'indirizzo al vetturinovi prego: Albergo delQuirinale. Egli uscìchiudendo dietro di sé la porta della stanza. Ellarimase sola. Rapidamentevolse gli occhi intornoabbracciò con uno sguardoindefinibile tutta la stanzasi fermò alle coppe dei fiori. Le pareti lesembravano più vastela volta le sembrava più alta. Guardandoella aveva lasensazione come d'un principio di vertigine. Non avvertiva più il profumo; macerto l'aria doveva essere ardente e grave come in una serra. L'imagine diAndrea le appariva in una specie di balenio intermittente; le sonava negliorecchi qualche onda vaga della voce di lui. Stava ella per aver male? - Pureche delizia chiudere gli occhi e abbandonarsi a quel languore! Scotendosiandòverso la finestral'aprìrespirò il vento. Rianimatasi volse di nuovo allastanza. Le fiamme pallide delle candele oscillavano agitando leggere ombre su lepareti. Il camino non aveva più vampama i tizzoni illuminavano in parte lefigure sacre del parafuoco fatto d'un frammento di vetrata ecclesiastica. Latazza di tè era rimasta su l'orlo del tavolofreddaintatta. Il cuscino dellapoltrona conservava ancóra l'impronta del corpo ch'eravisi affondato. Tutte lecose intorno esalavano una melancolia indistinta che affluiva e s'addensava alcuor della donna. Il peso cresceva su quel debole cuorediveniva un'oppressioneduraun affanno insopportabile. - Mio Dio! Mio Dio! Ella avrebbe volutofuggire. Una folata di vento più viva gonfiò le tendeagitò le fiammellesollevò un fruscìo. Ella trasalìcon un brivido; e quasi involontariamentechiamò: - Andrea! La sua vocequel nome nel silenziole diedero uno stranosussultocome se la voceil nome non fossero partiti dalla sua bocca. -Perché Andrea indugiava? - Ella si mise in ascolto. Non giungeva che il rumorsordocupoconfuso della vita urbananella sera di San Silvestro. Su lapiazza della Trinità de' Monti non passava alcuna vettura. Come il vento atratti soffiava forteella richiuse la finestra: intravide la cimadell'obelisconera sul cielo stellato. Forse Andrea non aveva trovato sùbitola vettura copertain piazza Barberini. Ella aspettòseduta sul divanocercando di quietare la folle agitazioneevitando di guardarsi nell'animaforzando la sua attenzione alle cose esteriori. Attirarono i suoi occhi lefigure vitree del parafuocoappena illuminate dai tizzoni semispenti. Piùsoprasu la sporgenza del caminettoda una della coppe cadevano le foglied'una grande rosa bianca che si disfaceva a poco a pocolanguidamolleconqualche cosa di femininodirei quasi di carnale. Le foglieconcavesiposavano delicatamente sul marmosimili a falde di neve nella caduta. "Quantoallorapareva soave alle dita quella neve odorante! " ella pensò." Tutte sfogliatele rose conspargevano i tappetii divanile sedie; edella ridevafelicein mezzo alla devastazione; e l'amantefeliceerale aipiedi. " Ma udì fermarsi una carrozza d'innanzi alla portanella strada;e si levòscotendo la povera testacome per cacciar via quella specie diottusità che la fasciava. Sùbito doporientrò Andreaansante. - Perdonatemi- disse. - Manon avendo trovato il portieresono sceso fino in piazza diSpagna. La vettura è giù che aspetta. - Grazie - fece Elena guardandolotimidamente a traverso il velo nero. Egli era serio e pallidoma calmo. - Mumpsarriverà forse domani - soggiunse ellacon una voce tenue. - Vi scriverò unbigliettoper dirvi quando potrò vedervi. - Grazie - fece Andrea. - Addiodunque - ella ripresetendendogli la mano. - Volete che vi accompagni fin giùalla strada? Non c'è nessuno. - Sìaccompagnatemi. Ella guardavasi a tornoun poco esitante. - Avete dimenticato nulla? - chiese Andrea. Ella guardò ifiori. Ma rispose: - Ah sìil portabiglietti. Andrea corse a prenderlo sultavolo del tè. Porgendolo a leidisse: - A stranger hither! - Nomydear. A friend. Elena pronunziò questa risposta con la voce molto animatavivacemente. Poid'un trattocon un sorriso tra supplichevole e lusinghevolemisto di temenza e di tenerezzasu cui tremolò l'orlo del velo che giungevafino al labbro superiore lasciando tutta libera la bocca: - Give me a rose.Andrea andò a ciascun vaso; e tolse tutte le rosestringendole in un fascioch'egli a stento reggeva tra le mani. Alcune cadderoaltre si sfogliarono. -Erano per voitutte - egli dissesenza guardare l'amata. Ed Elena si volse peruscirecol capo chinoin silenzioseguita da lui. Discesero le scalesemprein silenzio. Egli le vedeva la nucacosì fresca e delicatadove di sotto alnodo del velo i piccoli riccioli neri si mescolavano alla pelliccia cinerea. -Elena! - chiamòa voce bassanon potendo più vincere la struggente passioneche gli gonfiava il cuore. Ella si rivolsemettendosi l'indice su le labbra perindicargli di tacerecon un gesto dolente che pregavamentre gli occhi lelucevano. Affrettò il passosalì nella vetturasi sentì posare su leginocchia le rose. - Addio! Addio! Ecome la vettura si mosseellas'abbandonò al fondosopraffattarompendo in lacrime senza frenostraziandole rose con le povere mani convulse.

Libro primo-2

Sotto il grigio diluvio democratico odiernoche molte belle cose e raresommerge miseramenteva anche a poco a poco scomparendo quella special classedi antica nobiltà italicain cui era tenuta viva di generazione in generazioneuna certa tradizion familiare d'eletta culturad'eleganza e di arte. Aquesta classech'io chiamerei arcadica perché rese appunto il suo più altosplendore nell'amabile vita del XVIII secoloappartenevano gli Sperelli.L'urbanitàl'atticismol'amore delle delicatezzela predilezione per glistudii insolitila curiosità esteticala mania archeologicala galanteriaraffinata erano nella casa degli Sperelli qualità ereditarie. Un AlessandroSperellinel 1466portò a Federico d'Aragonafigliuolo di Ferdinando re diNapoli e fratello d'Alfonso duca di Calabriail codice in foglio contenentealcune poesia " men rozze " de' vecchi scrittori toscaniche Lorenzode' Medici aveva promesso in Pisa nel '65; e quello stesso Alessandro scrisseper la morte della divina Simonettain coro con i dotti del suo tempounaelegìa latinamalinconica ed abbandonata a imitazion di Tibullo. Un altroSperelliStefanonel secolo medesinofu in Fiandrain mezzo alla vitapomposaalla preziosa eleganzaall'inaudito fasto borgognone; ed ivi rimasealla corte di Carlo il Temerarioimparentandosi con una famiglia fiamminga. Unfigliuol suoGiustopraticò la pittura sotto gli insegnamenti di GiovanniGossaert; e insieme col maestro venne in Italiaal seguito di Filippo diBorgogna ambasciator dell'imperator Massimiliano presso il papa Giulio IInel1508. Dimorò a Firenzedove il principal ramo della sua stirpe continuava afiorire; ed ebbe a secondo maestro Piero di Cosimoquel giocondo e facilepittoreforte ed armonioso coloristache risuscitava liberamente col suopennello le favole pagane. Questo Giusto fu non volgare artista; ma consumòtutto il suo vigore in vani sforzi per conciliare la primitiva educazione goticacon il recente spirito del Rinascimento. Verso la seconda metà del secolo XVIIla casata degli Sperelli si trasportò a Napoli. Ivi nel 1679 un BartolomeoSperelli pubblicò un trattato astrologico De Nativitatibus; nel 1720 unGiovanni Sperelli diede al teatro un'opera buffa intitolata La Faustina epoi una tragedia lirica intitolata Progne; nel 1756 un Carlo Sperellistampò un libro di versi amatorii in cui molte classiche lascivie erano rimatecon l'eleganza oraziana allora di moda. Miglior poeta fu Luigied uomo disquisita galanteriaalla corte del re lazzarone e della regina Carolina.Verseggiò con un certo malinconico e gentile epicureismoassai nitidamente; edamò da fino amatoreed ebbe avventure in copiatalune celebricome quellacon la marchesa di Bugnano che per gelosia s'avvelenòe come quella con lacontessa di Chesterfield che morta etica egli pianse in canzoniodisonetti edelegìe soavissime sebbene un poco frondose. Ilconte Andrea Sperelli-Fieschi d'Ugentaunico eredeproseguiva la tradizionfamiliare. Egli erain veritàl'ideal tipo del giovine signore italiano delXIX secoloil legittimo campione d'una stirpe di gentiluomini e di artistieleganteultimo discendente d'una razza intelettuale. Eglieraper così diretutto impregnato di arte. La sua adolescenzanutrita distudii varii e profondiparve prodigiosa. Egli alternòfino a vent'annilelunghe letture coi lunghi viaggi in compagnia del padre e poté compiere la suastraordinaria educazione estetica sotto la cura paternasenza restrizioni econstrizioni di pedagoghi. Dal padre appunto ebbe il gusto delle cose d'arteilculto passionato della bellezzail paradossale disprezzo de' pregiudizil'avidità del piacere. Questo padrecresciuto in mezzo agli estremi splendori della corte borbonicasapevalargamente vivere; aveva una scienza profonda della vita voluttuaria e insiemeuna certa inclinazione byroniana al romanticismo fantastico. Lo stesso suomatrimonio era avvenuto in circostanze quasi tragichedopo una furiosapassione. Quindi egli aveva turbata e travagliata in tutti i modi la paceconiugale. Finalmente s'era diviso dalla moglie ed aveva sempre tenuto seco ilfigliuoloviaggiando con lui per tutta l'Europa. L'educazioned'Andrea era dunqueper così direvivacioè fatta non tanto su i libriquanto in conspetto delle realità umane. Lo spirito di lui non era soltantocorrotto dall'alta cultura ma anche dall'esperimento; e in lui la curiositàdiveniva più acuta come più si allargava la conoscenza. Fin dal principio eglifu prodigo di sé; poiché la grande forza sensitivaond'egli era dotatononsi stancava mai di fornire tesori alle sue prodigalità. Ma l'espansion diquella sua forza era la distruzione in lui di un'altra forzadella forzamorale che il padre stesso non aveva ritegno a deprimere. Ed egli non siaccorgeva che la sua vita era la riduzion progressiva delle sue facoltàdellesue speranzedel suo piacerequasi una progressiva rinunzia; e che il circologli si restringeva sempre più d'intornoinesorabilmente sebben con lentezza.Il padre gli aveva datotra le altrequestamassima fondamentale: " Bisogna fare la propria vitacome si faun'opera d'arte. Bisogna che la vita d'un uomo d'intelletto sia opera di lui. Lasuperiorità vera è tutta qui. " Ancheil padre ammoniva: " Bisogna conservare ad ogni costo intiera la libertàfin nell'ebrezza. La regola dell'uomo d'intellettoeccola: - Haberenonhaberi. " Anchediceva:" Il rimpianto è il vano pascolo d'uno spirito disoccupato. Bisogna sopratutto evitare il rimpianto occupando sempre lo spirito con nuove sensazioni econ nuove imaginazioni. " Maqueste massime volontarieche per l'ambiguità loro potevano ancheessere interpretate come alti criterii moralicadevano appunto in una natura involontariain un uomocioèla cui potenza volitiva era debolissima. Unaltro seme paterno aveva perfidamente fruttificato nell'animo di Andrea: il semedel sofisma. " Il sofisma " diceva quell'incauto educatore " èin fondo ad ogni piacere e ad ogni dolore umano. Acuire e moltiplicare i sofismiequivale dunque ad acuire e moltiplicare il proprio piacere o il proprio dolore.Forsela scienza della vita sta nell'oscurare la verità. La parola è una cosaprofondain cui per l'uomo d'intelletto son nascoste inesauribili ricchezze. IGreciartefici della parolasono infatti i più squisiti goditoridell'antichità. I sofismi fioriscono in maggior numero al secolo di Periclealsecolo gaudioso. " Un tal semetrovò nell'ingegno malsano del giovine un terreno propizio. A poco a pocoinAndrea la menzogna non tanto verso gli altri quanto verso sé stesso divenne unabito così aderente alla conscienza ch'egli giunse a non poter mai essereinteramente sincero e a non poter mai riprendere su sé stesso il liberodominio. Dopo la morte immatura delpadreegli si trovò soloa ventun annosignore d'una fortuna considerevoledistaccato dalla madrein balia delle sue passioni e de' suoi gusti. Rimasequindici mesi in Inghilterra. La madre passò in seconde nozzecon un amanteantico. Ed egli venne a Romaper predilezione. Romaera il suo grande amore: non la Roma dei Cesari ma la Roma dei Papi; non la Romadegli Archidelle Termedei Fòrima la Roma delle Villedelle Fontanedelle Chiese. Egli avrebbe dato tutto il Colosseo per la Villa Mediciil CampoVaccino per la Piazza di Spagnal'Arco di Tito per la Fontanella delleTartarughe. La magnificenza principesca dei Colonnadei Doriadei Barberinil'attraeva assai più della ruinata grandiosità imperiale. E il suo gran sognoera di possedere un palazzo incoronato da Michelangelo e istoriato dai Caraccicome quello Farnese; una galleria piena di Raffaellidi Tizianidi Domenichinicome quella Borghese; una villecome quella d'Alessandro Albanidove i bussiprofondiil granito rosso d'Orienteil marmo bianco di Lunile statue dellaGreciale pitture del Rinascimentole memorie stesse del luogo componessero unincanto intorno a un qualche suo superbo amore. In casa della marchesa d'Ateletasua cuginasopra un albo di confessioni mondaneaccanto alla domanda "Che correste voi essere? " egli aveva scritto " Principe romano". Giunto a Roma in sul finir disettembre del 1884stabilì il suo home nel palazzo Zuccari allaTrinità de' Montisu quel dilettoso tepidario cattolico dove l'ombradell'obelisco di Pio VI segna la fuga delle Ore. Passò tutto il mese di ottobretra le cure degli addobbi; poiquando le stanze furono ornate e pronteebbenella nuova casa alcuni giorni d'invincibile tristezza. Era una estate di SanMartinouna primavera de' mortigrave e soavein cui Roma adagiavasituttaquanta d'oro come una città dell'Estreno Orientesotto un ciel quasi latteodiafano come i cieli che si specchiano ne' mari australi. Quellanguore dell'aria e della luceove tutte le cose parevano quasi perdere laloro realità e divenire immaterialimettevano nel giovine una prostrazioneinfinitaun senso inesprimibile di scontentodi sconfortodi solitudinedivacuitàdi nostalgia. Il malessere vago proveniva forse anche dalla mutazionedel climadelle abitudinidegli usi. L'anima converte in fenomeni psichici leimpressioni dell'organismo mal definitea quella guisa che il sogno trasformasecondo la sua natura gli incidenti del sonno. Certoegli ora entrava in un novello stadio. - Avrebbe alfin trovato la donna el'opera capaci d'impadronirsi del suo cuore e di divenire il suo scopo? -Non aveva dentro di sé la sicurezza della forza né il presentimento dellagloria o della felicità. Tutto penetrato e imbevuto di artenon aveva ancóraprodotto nessuna opera notevole. Avido d'amore e di piacerenon aveva ancórainteramente amato né aveva ancor mai goduto ingenuamente. Torturato da unIdealenon ne portava ancóra ben distinta in cima de' pensieri l'imagine.Aborrendo dal dolore per natura e per educazioneera vulnerabile in ogni parteaccessibile al dolore in ogni parte. Neltumulto delle inclinazioni contraddittorie egli aveva smarrito ogni volontà edogni moralità. La volontàabdicandoaveva ceduto lo scettro agli istinti; ilsenso estetico appuntosottilissimo e potentissimo e sempre attivoglimanteneva nello spirito un certo equilibrio; così che si poteva dire che la suavita fosse una continua lotta di forze contrarie chiusa ne' limiti d'un certoequilibrio. Gli uomini d'intellettoeducati al culto della Bellezzaconservanosempreanche nelle peggiori depravazioniuna specie di ordine. La conceziondella Bellezza èdirò cosìl'asse del loro essere interioreintornoal quale tutte le loro passioni gravitano. Fluttuavaancóra su quella tristezza il ricordo di Costantia Landbrookevagamentecomeun profumo svanito. L'amore di Conny era stato un assai fino amore; ed ella erauna molto piacevole donna. Pareva una creatura di Thomas Lawrence; aveva in sétutte le minute grazie feminine che son care a quel pittore dei falpalàdeimerlettidei vellutidegli occhi luccicantidelle bocche semiaperte; era unaseconda incarnazione della piccola contessa di Shaftesbury. Vivaceloquacemobilissimaprodiga di diminutivi infantili e di risa scampanellantifacilealle tenerezze improvvisealle malinconie subitaneealle rapide ireellaportava nell'amore molto movimentomolta varietàmolti capricci. La suaqualità più amabile era la freschezzauna freschezza tenacecontinuaditutte le ore. Quando si svegliavadopo una notte di piacereella era tuttafragrante e monda come se uscisse allora dal bagno. La figura di leiinfattitornava nella memoria di Andrea specialmente con un'attitudine; con i capelli inparte sciolti sul collo e raccolti in parte al sommo del capo da un pettinefatto di greche d'oro; con l'iride degli occhi natante nel biancocomeuna viola pallida nel latte; con la bocca apertaroridatutta illuminata da'denti ridenti nel sangue roseo delle gengive; all'ombra delle cortine chediffondevano sul letto un albore tra glauco ed argenteosimile alla luce d'unantro maritimo. Ma il cinguettiomelodioso di Conny Landbrooke era passato su l'animo di Andrea come una diquelle musiche leggere che lascian per qualche tempo nella mente un ritornello.Più d'una volta ella gli aveva dettoin qualche sua malinconia vespertinacongli occhi velati di lacrime: " I know you love me not... "Egliinfattinon l'amavanon n'era pago. Il suo ideale muliebre era mennordico. Idealmenteegli si sentiva attratto da una di quelle cortigiane delsecolo XVI che sembrano portar sul volto non so qual velo magiconon so qualtransparente maschera incantatadirei quasi un oscuro fascino notturnoildivino orrore della Notte. Incontrandola duchessa di ScerniDonna Elena Mutiegli pensò: " Ecco la miadonna. " Tutto il suo essere ebbe una sollevazione di gioianelpresentimento del possesso. Fu ilprimo incontro in casa della marchesa d'Ateleta. Questa cugina d'Andrea nelpalazzo Roccagiovine aveva saloni molto frequentati. Ella attraeva specialmenteper la sua arguta gioconditàper la libertà de' suoi mottiper il suoinfaticabile sorriso. I lineamenti gai del volto rammentavano certi profilifeminini ne' disegni del Moreau giovinenelle vignette del Gravelot. Ne' modine' gustinelle fogge del vestire ella aveva qualche cosa di pompadourescononsenza una lieve affettazionepoiché era legata da una singolar somiglianzaalla favorita di Luigi XV. Ilmercoledì d'ogni settimana Andrea Sperelli aveva un posto alla mensa dellamarchesa. Un martedì a serain un palco del Teatro Vallela marchesa gliaveva dettoridendo: - Bada di nonmancareAndreadomani. Abbiamo tra gli invitati una persona interessanteanzi fatale. Premunisciti però contro la malia... Tu sei in un momentodi debolezza. Egli le aveva rispostoridendo: - Verrò inermese non tidispiacecugina; anzi in abito di vittima. E' un abito di richiamoche portoda molte sere; inutilmenteahimè! -Il sacrificio è prossimocugino mio. -La vittima è pronta. La seraseguenteegli venne al palazzo Roccagiovine alcuni minuti prima dell'oraconsuetaavendo una mirabile gardenia all'occhiello e una inquietudine vaga infondo all'anima. Il suo coupé si fermò innanzi alla portaperchél'androne era già occupato da un'altra carrozza. Le livreei cavallitutta lacerimonia che accompagnava la discesa della signoraavevano l'impronta dellagrande casata. Il conte intravide una figura alta e sveltaun'acconciaturatempestata di diamantiun piccolo piede che si posò sul gradino. Poicomeanch'egli saliva la scalavide la dama alle spalle. Ellasaliva d'innanzi a luilentamentemollementecon una specie di misura. Ilmantello foderato d'una pelliccia nivea come la piuma de' cigninon più rettodal fermagliole si abbandonava intorno al busto lasciando scoperte le spalle.Le spalle emergevano pallide come l'avorio politodivise da un solco morbidocon le scapule che nel perdersi dentro i merletti del busto avevano non so qualcurva fuggevolequale dolce declinazione di ali; e su dalle spalle svolgevasiagile e tondo il collo; e dalla nuca i capellicome ravvolti in una spirapiegavano al sommo della testa e vi formavano un nodosotto il morso delleforcine gemmate. Quell'armoniosaascensione della dama sconosciuta dava agli occhi d'Andrea un diletto così vivoch'egli si fermò un istantesul primo pianerottoload ammirare. Lo strascicofaceva su i gradini un fruscìo forte. Il servo caminava indietronon su ipassi della sua signora lungo la guida di tappeto rossoma da un latolungo laparetecon una irreprensibile compostezza. Il contrasto tra quella magnificacreatura e quel rigido automa era assai bizzarro. Andrea sorrise. Nell'anticameramentre il servo prendeva il mantellola dama gittò uno sguardo rapidissimo algiovine ch'entrava. Questi udì annunziare: -Sua Eccellenza la duchessa di Scerni! Sùbitodopo: - Il signor conteSperelli-Fieschi d'Ugenta! E glipiacque che il suo nome fosse pronunziato accanto al nome di quella donna.Nel salone erano già il marchese e lamarchesa d'Ateletail barone e la baronessa d'IsolaDon Filippo del Monte. Ilfuoco ardeva nel caminetto; alcuni divani erano disposti nel raggio del calore;quattro musae dalle larghe foglie venate di sanguigno si protendevano sule spalliere basse. La marchesafacendosi incontro ai due sopraggiuntidisse con quel suo bel risoinestinguibile: - Per l'amabilità delcasonon c'è più bisogno di presentazione tra voi due. Cugino Sperelliinchinatevi alla divina Elena. Andreas'inchinò profondamente. La duchessa gli offrì la manocon un gesto digraziaguardandolo negli occhi. - Sonmolto lieta di vederviconte. Mi parlò tanto di voia Lucernal'estatescorsaun vostro amico: Giulio Musèllaro. Eroconfessoun po' curiosa...Musèllaro anche mi diede a leggere la rarissima vostra Favola d'Ermafroditoe mi regalò la vostra acquaforte del Sonnouna prova avanti letterauntesoro. Voi avete in me un'ammiratrice cordiale. Ricordatevi. Ellaparlava con qualche pausa. Aveva la voce così insinuante che quasi dava lasensazione d'una carezza carnale; e aveva quello sguardo involontariamenteamoroso e voluttuoso che turba tutti gli uomini e ne accende d'improvviso labrama. Un servo annunziò: -Il cavalier Sakumi! Ed apparvel'ottavo ed ultimo commensale. Era ilsegretario della Legazione giapponesepiccolo di staturagiallognolocon ipomelli sporgenticon gli occhi lunghi ed obliquivenati di sanguesu cui lepalpebre battevano di continuo. Aveva il corpo troppo grosso in paragon dellegambe troppo sottili; e camminava con le punte de' piedi in dentrocome se unacintura gli stringesse forte le anche. Le falde della sua giubba erano troppoabondanti; i calzoni facevano una quantità di pieghe; la cravatta portava assaivisibili i segni della mano inesperta. Egli pareva un daimio cavato fuorida una di quelle armature di ferro e di lacca che somiglian gusci di crostaceimostruosi e poi ficcato ne' panni d'un tavoleggiante occidentale. Mapur nellasua goffagineaveva un'espressione argutauna specie di finezza ironica agliangoli della bocca. A mezzo delsalones'inchinò. Il gibus gli cadde di mano. Labaronessa d'Isolauna bionda piccolettadalla fronte tutta coperta diriccioligraziosa e smorfiosa come una giovine bertucciadisse con la sua voceacuta: - Venite quaSakumiquaaccanto a me! Il cavaliere giapponeses'inoltrava reiterando i sorrisi e gli inchini. -Vedremo stasera la principessa Issé? - gli domandò Donna Francesca d'Ateletache piacevasi di raccogliere ne' suoi saloni i più bizzarri esemplari dellecolonie esotiche in Roma per amor della varietà pittoresca. L'Asiaticoparlava una lingua barbaricaappena intelligibilemista d'inglesedi francesee d'italiano. Tuttia un puntoparlavano. Era quasi un corodi mezzo a cui si levavano di tratto in trattocome zampilli d'argentole fresche risa della marchesa. -Io vi ho certo veduta un'altra volta; non so più dovenon so più quandomavi ho certo veduta - diceva Andrea Sperelli alla duchessaritto in piedid'innanzi a lei. - Su per le scalementre vi guardavo salirenel fondo dellamia memoria si risvegliava un ricordo indistintoqualche cosa che prendevaforma seguendo il ritmo di quel vostro salirecome un'imagine nascente daun'aria di musica... Non son giunto ad aver limpido il ricordo; maquando visiete voltataho sentito che il vostro profilo aveva una non dubbia rispondenzacon quella imagine. Non poteva essere una divinazione; era dunque un oscurofenomeno della memoria. Io vi ho certo vedutaun'altra volta. Chi sa! Forse inun sognoforse in una creazione d'arteforse anche in un diverso mondoin unaesistenza anteriore... Pronunziandoqueste ultime frasi troppo sentimentali e chimericheegli rise apertamente comeper prevenire un sorriso o incredulo o ironico della dama. Elena invece rimasegrave. " Ascoltava ella o pensavaad altro? Accettava ella quella specie di discorsi o voleva con quella serietàprendersi gioco di lui? Intendeva ella di secondare l'opera di seduzioneiniziata da lui così sollecitamente o si chiudeva nell'indifferenza e nelsilenzio incurante? Era ellainsommauna donna per lui espugnabile o no?" Andreaperplessointerrogava il mistero. A quanti hanno l'abitudinedella seduzionespecialmente ai temerariiè nota questa perplessità checerte donne sollevano tacendo. Unservo aprì la grande porta che dava nella sala da pranzo. Lamarchesa mise il suo braccio sotto quello di Don Filippo del Monte e diedel'esempio. Gli altri seguirono. -Andiamo - disse Elena. Parve ad Andreache ella gli si appoggiasse con un po' di abbandono. " Non era un'illusionedel suo desiderio? Forse. " Egli pendeva nel dubbio; maad ogni attimo chepassavasi sentiva più a dentro conquistare dalla malia dolcissima; ad ogniattimo gli cresceva l'ansietà di penetrare l'animo della donna. -Cuginoqui - disse Donna Francesca assegnandogli il posto. Nellatavola ovaleegli stava tra il barone d'Isola e la duchessa di Scerniavendodi fronte il cavaliere Sakumi. Il quale stava tra la baronessa d'Isola e DonFilippo del Monte. Il marchese e la marchesa occupavano i capi. Su la mensa leporcellanele argenteriei cristallii fiori scintillavano. Assaipoche dame potevan gareggiare con la marchesa d'Ateleta nell'arte di dar pranzi.Ella metteva più cura nella preparazione di una mensa che in un abbigliamento.La squisitezza del suo gusto appariva in ogni cosa; ed ella erain veritàl'arbitra delle eleganze conviviali. Le sue fantasie e le sue raffinatezze sipropagavano per tutte le tavole della nobiltà quirite. Ellaappuntoinquell'inverno aveva introdotta la moda delle catene di fiori sospese dall'uncapo all'altrofra i grandi candelabri; ed anche la moda dell'esilissimo vasodi Muranolatteo e cangiante come l'opalecon entro una sola orchideamessotra i varii bicchieri innanzi a ciascun convitato. -Fior diabolico - disse Donna Elena Mutiprendendo il vaso di vetro e osservandoda vicino l'orchidea sanguigna e difforme. Ellaaveva la voce così ricca di suono che anche le parole più volgari e le frasipiù comuni parevano prendere su la sua bocca non so qual significato occultonon so qual misterioso accento e qual grazia nuova. Alla guisa medesima il refrigio faceva d'oro quantunque cosa ei toccasse con la mano. -Fiore simbolicotra le vostre dita - mormorò Andreaguardando la dama che inquell'attitudine era sovrammirabile. Ladama vestiva un tessuto d'un color ceruleo assai pallidosparso di puntid'argentoche brillava di sotto ai merletti antichi di Burano bianchi d'unbianco indefinibilependente un poco nel fulvo ma tanto poco che appena pareva.Il fiorequasi innaturalecome generato da un malefizioondeggiava in sulgambofuor di quel fragile tubo che certo l'artefice avea foggiato con unsoffio in una gemma liquefatta. - Maio preferisco le rose - disse Elenaposando l'orchideacon un atto direpulsione che faceva contrasto al suo precedente moto di curiosità. Poisi gettò nella conversazione generale. Donna Francesca parlava dell'ultimoricevimento all'Ambasciata d'Austria. -Vedesti Madame de Cahen? - le chiese Elena. - Aveva un abito di tullegiallo tempestato di non so quanti colibrì con gli occhi di rubino. Unamagnifica uccelliera danzante... E Lady Oulessla vedesti? Aveva una vesta di tarlatanebiancatutta sparsa di alghe marine e di non so che pesci rossie su l'alghe esu i pesci una seconda vesta di tarlatane verderame. Non la vedesti? Unacquario di bellissimo effetto... Edelladopo le piccole maldicenzerideva d'un riso cordiale che le dava untremolio alla parte inferiore del mento e alle narici. D'innanzia quella volubilità incomprensibileAndrea rimaneva ancor titubante. Quellecose frivole o maligne uscivano dalle stesse labbra che allora allorapronunziando una frase semplicissimal'avevan turbato fin nel profondo;uscivano dalle stesse labbra che allora alloratacendoeragli parsa la boccadella Medusa di Leonardoumano fiore dell'anima divinizzato dalla fiamma dellapassione e dall'angoscia della morte. " Qual era dunque la vera essenza diquella creatura? Aveva ella percezione e conscienza della sua metamorfosicostante o era ella impenetrabile anche a sé stessarimanendo fuori dalproprio mistero? Quanto nelle sue espressioni e manifestazioni entravad'artificio e quanto di spontaneità? " Il bisogno di conoscere lo pungevaanche fra la delizia in lui effusa dalla vicinanza della donna ch'egliincominciava ad amare. La trista consuetudine dell'analisi l'incitava pursempregli impediva pur sempre di obliarsi; ma ogni tentativo era punitocomela curiosità di Psichedall'allontanamento dell'amoredall'offuscamentodell'oggetto vagheggiatodalla cessazion del piacere. " Non era meglioinveceabbandonarsi ingenuamente alla prima ineffabile dolcezza dell'amor chenasceva? " Egli vide Elena nell'atto di bagnare le labbra in un vino biondocome un miele liquido. Scelse tra i bicchieri quello ove il servo aveva versatoun egual vino; e bevve con Elena. Ambeduenel tempo medesimoposarono su latovaglia il cristallo. La comunità dell'atto fece volgere l'una verso l'altro.E lo sguardo li accese ambeduepiù assai del sorso. -Non parlate? - chiesegli Elenacon un'affettazione di leggerezzache lealterava un poco la voce. - Corre fama voi siate uno squisitissimo parlatore...Scuotetevidunque! - Ahcuginocugino! - esclamò Donna Francescacon un'aria di commiserazionementre DonFilippo del Monte le mormorava qualche cosa nell'orecchio. Andreasi mise a ridere. - Cavaliere Sakuminoi siamo i taciturni. Scuotiamoci! All'Asiaticoscintillarono di malizia i lunghi occhiancor più rosseggianti sul rossorfosco che i vini gli accendevano ai pomelli. Fino a quel momentoegli avevaguardato la duchessa di Scernicon l'espressione estatica d'un bonzo che sianel conspetto della divinità. La sua larga facciache pareva uscita fuori dauna pagina classica del gran figuratore umorista O-kou-sairosseggiava come unaluna d'agostotra le catene de' fiori. -Sakumi - soggiunse a bassa voce Andreachinandosi verso Elena - è innamorato.- Di chi? -Di voi. Non ve ne siete accorta? - No.- Guardatelo. Elenasi volse. E l'amorosa contemplazione del daimio travestito le chiamòalle labbra un riso così aperto che quegli si sentì ferire e restòvisibilmente umiliato. - Tenete - elladisse per compensarlo; espiccando dal festone una camelia biancala gittòall'inviato del Sol Levante. - Trovate una similitudinein mia lode. L'Asiaticoportò la camelia alle labbracon un gesto comico di divozione. -AhAhSakumi- fece la piccola baronessa d'Isola - voi mi siete infedele!Egli balbettò qualche parolaaccendendosianche più nel volto. Tutti ridevanoliberamentecome se quello stranierofosse stato invitato appunto per dare agli altri argomento di gioco. E Andrearidendosi volse alla Muti. Ellatenendo il capo sollevatoanzi piegato indietro un pocoguardava il giovinefurtivamentedi fra le palpebre socchiusecon uno di quegli indescrivibilisguardi della donnache paiono assorbire e quasi direi bevere dall'uompreferito tutto ciò che in lui è più amabilepiù desiderabilepiùgodibiletutto ciò che in lei ha destata quella istintiva esaltazion sessualeda cui ha principio la passione. I lunghissimi cigli velavano l'iride inclinataall'angolo dell'orbita; e il bianco nuotava come in una luce liquidaun po'azzurra; e un tremolio quasi impercettibile moveva la palpebra inferiore. Parevache il raggio dello sguardo andasse alla bocca di Andreacome alla cosa piùdolce. Elena era presainfattidaquella bocca. Pura di formaaccesa di coloregonfia di sensualitàconun'espressione un po' crudele quando rimaneva serrataquella bocca giovenilericordava per una singolar somiglianza il ritratto del gentiluomo incognitoch'è nella Galleria Borghesela profonda e misteriosa opera d'arte in cui leimaginazioni affascinate credetter ravvisare la figura del divino Cesare Borgiadipinta dal divino Sanzio. Quando le labbra si aprivano al risoquell'espressione fuggiva; e i denti bianchi quadriegualid'una straordinarialucentezzailluminavano una bocca tutta fresca e gioconda come quella d'unfanciullo. Appena Andrea si volseElena ritrasse lo sguardo; ma non così presto che il giovine non ne cogliesseil baleno. N'ebbe egli una gioia così forte che sentì salire alle gote unafiamma. " Ella mi vuole! Ella mi vuole! " pensòesultandonellacertezza d'aver già conquistata la rarissima creatura. Ed anche pensò: "E' un piacere non mai provato. " Cisono certi sguardi di donna che l'uomo amante non iscambierebbe con l'interopossesso del corpo di lei. Chi non ha veduto accendersi in un occhio limpido ilfulgore della prima tenerezza non sa la più alta delle felicità umane. Doponessun altro attimo di gioia eguaglierà quell'attimo. Elenadomandòmentre intorno la conversazione facevasi più viva: -Restereta a Roma tutto l'inverno? -Tutto l'invernoe oltre - rispose Andreaa cui quella semplice domanda parvechiudere una promessa d'amore. - Avetedunque una casa? - Casa Zuccari: domusaurea. - Alla Trinità de' Monti?Voi felice! - Perché felice? -Perché voi abitate in un luogo ch'io prediligo. -V'è raccoltaè vero? come un'essenza in un vasotutta la sovrana dolcezza diRoma. - E' vero! Tra l'obelisco dellaTrinità e la colonna della Concezione è sospeso ex-voto il mio cuorecattolico e pagano. Ella rise diquella frase. Egli aveva pronto un madrigale intorno il cuor sospesoma non loprofferì; perché gli spiaceva di prolungare il dialogo su quel tono falso eleggero e di disperdere così l'intimo suo godimento. Tacque. Ellarimase un poco pensosa. Poidi nuovosi gittò nella conversazione generalecon una vivacità anche maggioreprofondendo i motti e le risafacendoscintillare i suoi denti e le sue parole. Donna Francesca mordeva un poco laprincipessa di Ferentinonon senza finezzaaccennando all'avventura lesbica dilei con Giovenella Daddi. - Apropositola Ferentino annunzia per l'Epifania un'altra fiera di beneficenza -disse il barone d'Isola. - Non ne sapete ancóra nulla? -Io sono patronessa - rispose Elena Muti. -Voi siete una patronessa preziosa - fece Don Filippo del Monteun uomoquarantennequasi tutto calvosottile aguzzatore di epigrammiche portava sulvolto una specie di maschera socratica in cui l'occhio destro scintillavamobilissimo per mille diverse espressioni e il sinistro rimaneva sempre immobilee quasi vetrificato sotto la lenta rotondacome se l'uno servisse per esprimeree l'altro per vedere. - Nella Fiera di maggioriceveste una nuvola d'oro.- Ahla Fiera di maggio! Una follia -esclamò la marchesa d'Ateleta. Come iservi venivan mescendo vin ghiacciato di Sciampagnaella soggiunse: -Ti ricordiElena? I nostri banchi erano vicini. -Cinque luigi per sorso! Cinque luigi per morso! - si mise a gridare Don Filippodel Monteimitando per gioco la voce di un banditore. LaMuti e l'Ateleta ridevano. - Giàgià è vero. Voi gittavate il bandoFilippo - disse Donna Francesca. - Peccatoche tu non ci fossicugino mio! Per cinque luigi avresti mangiato un fruttosegnato prima da' miei denti e per altri cinque luigi avresti bevuto Champagnenel concavo delle mani d'Elena. - Chescandalo! - interruppe la baronessa d'Isolacon una smorfietta d'orrore.- AhMary! E tu non vendevi le sigaretteaccese prima da tee molto inumidateper un luigi? - fece Donna Francescasempre ridendo. E Don Filippo: -Io vidi qualche cosa di meglio. Leonetto Lanza ottenne dalla contessa di Lùcoliper non so quantoun sigaro d'avana ch'ella aveva tenuto sotto l'ascella...- Ohibò! - interruppe di nuovo la piccolabaronessacomicamente. - Ogni operadi carità è santa - sentenziò la marchesa. - Ioa furia di morsi nellefruttamisi insieme circa dugento luigi. -E voi? - chiese Andrea Sperelli alla Mutisorridendo a mala pena. - E voiconla vostra coppa carnale? - Iodugentosettanta. Così motteggiavano tuttitranne il marchese. Questo Ateleta era un uomo già vecchioafflitto da unasordità incurabilebene incerettatodipinto d'un color biondastroartefattodal capo a' piedi. Pareva uno di quei personaggi finti che si vedono ne'gabinetti di figure in cera. Ogni tantoquasi sempre male a propositomettevafuori una specie di risolino secco che pareva lo stidore d'una macchinettaarruginita ch'egli avesse dentro il corpo. -Maa un certo puntoil prezzo del sorso arrivò a dieci luigi. Capite? -soggiunse Elena. - E all'ultimo quel matto di Galeazzo Secìnaro venne adoffrirmi un biglietto da cinquecento lire chiedendo in cambio ch'io m'asciugassile mani alla sua barba bionda... Ilfinale del pranzo eracome sempre in casa d'Ateletasplendidissimo; poiché ilvero lusso d'una mensa sta nel dessert. Tutte quelle squisite e rare cosedilettavano la vistaoltre il palatodisposte con arte in piatti di cristalloguarniti d'argento. I festoni intrecciati di camelie e di violette s'incurvavanotra i pampinosi candelabri del XVIII secolo animati dai fauni e dalle ninfe. E ifauni e le ninfe e le altre leggiadre forme di quella mitologia acadicae iSilvandri e le Filli e le Rosalinde animavan della lor tenerazzesu letappezzerie delle paretiun di que' chiari paesi citerèi ch'esciron dallafantasia d'Antonio Watteau. La leggeraeccitazione eroticache prende gli spiriti al termine d'un pranzo ornato didonne e di fioririvelavasi nelle parolerivelavasi ne' ricordi di quellaFiera di maggio ove le dame spinte da una emulazione ardente a raccogliere lamaggior possibile somma nel loro ufficio di venditriciavevano attirato icompratori con inaudite temerità. -Accettaste? - chiese Andrea Sperelli alla duchessa. -Sacrificai le mie mani alla Beneficenza - ella rispose. - Venticinque luigi dipiù! - All the perfumes of Arabiawill not sweeten this little hand... Egliridevaripetendo le parole di Lady Macbethma in fondo a lui era unasofferenza confusaun tormento non bene definitoche somigliava la gelosia.Gli appariva oraall'improvvisoquel non so che di eccessivo e quasi direi dicortigianesco onde in qualche momento offuscavasi la gran maniera dellagentildonna. Da certi suoni della voce e del risoda certi gestida certeattitudinida certi sguardi ella esalavaforse involontariamenteun fascinotroppo afrodisiaco. Ella dispensava con troppa facilità il godimento visualedelle sue grazie. Di tratto in trattoalla vista di tuttiforseinvolontariamenteella aveva una movenza o una posa o una espressione chenell'alcova avrebbe fatto fremere un amante. Ciascunoguardandolapotevarapirle una scintilla di piacerepoteva involgerla d'imaginazioni impurepoteva indovinarne le segrete carezze. Ella pareva creatain veritàsoltantoad esercitare l'amore; - e l'aria ch'ella respirava era sempre accesa daidesiderii sollevati intorno. "Quanti l'han posseduta? " pensò Andrea. " Quanti ricordi ella serbadella carne e dell'anima? " Ilcuore gli si gonfiava come d'un'onda amarain fondo a cui per sempre bollivaquella sua tirannica intolleranza d'ogni possesso imperfetto. E non sapevadistogliere gli occhi dalle mani d'Elena. Inquella mani incomparabilimorbide e bianched'una transparenza idealesegnatad'una trama di vene glauche appena visibile; in quelle palme un poco incavate eombreggiate di roseove un chiromante avrebbe trovato oscuri intrichiavevanobevutodieciquindiciventi uominil'un dopo l'altroa prezzo. Egli vedevale teste di quegli uomini sconosciuti chinarsi e suggere il vino. Ma GaleazzoSecìnaro era uno de' suoi amici: bello e gagliardo signoreimperialmentebarbato come un Lucio Verorivale temibile. Allorasotto l'incitazione di quelle imaginila cupidigia gli crebbe così fiera el'invase una impazienza così tormentosa che il termine del pranzo gli parevanon giungesse più mai. " Io avrò da leiin questa sera medesimalapromessa " pensò. Dentrolo pungeva un'ansietà come di chi tema vedersifuggire un bene a cui molti emuli mirano. E l'incurabile e insaziabile vanitàgli rappresentava l'ebrezza della vittoria. Certoquanto più la cosa da un uomposseduta suscita negli altri l'invidia e la bramatanto più l'uomo ne gode en'è superbo. In questo appunto è l'attrattivo delle donne di palco scenico.Quando tutto il teatro risona di applausi e fiammeggia di desideriiquegli chesolo riceve lo sguardo e il sorriso della diva si sente inebriare dall'orgogliocome da una tazza di vin troppo forte e smarrisce la ragione. -Tu che sei una innovatrice - diceva la Muti rivolgendosi a Donna Francescamentre bagnava le dita nell'acqua tiepida d'un vaso di cristallo azzurro orlatod'argento - dovresti rimmeter l'uso del dare acqua alle mani col mesciroba e colbacino anticofuor di tavola. Questa modernità è brutta. Non vi pareSperelli? Donna Francesca si levò.Tutti la imitarono. Andrea offerse il braccio a Elenainchinandosied ella loguardòsenza sorriderementre posava il braccio nudo su quello di luilentamente. Le sue ultime parole erano state gaie e leggere; quello sguardoinvece era così grave e profondo che il giovine si sentì prendere l'anima.- Andate - ella chiese - andate domani seraal ballo dell'Ambasciata di Francia? -E voi? - chiese a sua volta Andrea. -Iosì. - Iosì. Sorriserocome due amanti. Ed ella soggiunsementre sedeva: -Sedete. Il divano era discosto dalcaminettolungo la coda del pianoforte che le pieghe ricche d'una stoffacelavano in parte. Una gru di bronzoa una estremitàreggeva nel becco levatoun piatto sospeso a tre catenellecome quel d'una bilancia; e il piattoconteneva un libro nuovo e una piccola sciabola giapponeseun waki-zashiornato di crisantemi d'argento nella guainanella guardianell'elsa. Elenaprese il libro ch'era a metà intonso; lesse il titolo; poi lo ripose nel piattoche ondeggiò. La sciabola cadde. Come ella ed Andrea si chinavano nel tempomedesimo per raccoglierlale loro mani s'incontrarono. Ellarialzatasiesaminò la bell'arma curiosamente; e le tennementre Andrea le parlava di quelnuovo libro di romanzo e s'insinuava in argomenti generali d'amore. -Perché mai rimanete così lontano dal " gram pubblico "? - glidomandò ella. - Avete giurato fedeltà ai " Venticinque Esemplari "?- Sìper sempre. Anzi il mio sogno èl'" Esemplare Unico " da offerire alla " Donna Unica ". Inuna società democratica com'è la nostral'artefice di prosa o di verso deverinunziare ad ogni benefizio che non sia di amore. Il lettor vero non è giàchi mi compra ma chi mi ama. Il lettor vero è dunque la dama benevolente. Illauro non ad altro serve che ad attirare il mirto... -Ma la gloria? - La vera gloria èpostumae quindi non godibile. Che importa a me d'avereper esempiocentolettori nell'isola dei Sardi ed anche dieci ad Empoli e cinquemettiamoadOrvieto? E qual voluttà mi viene dall'essere conosciuto quanto il confettiereTizio od il profumiere Caio? Ioautoreandrò nel conspetto dei posteri armatocome potrò meglio; ma iouomonon desidero altra corona di trionfo che una...di belle braccia ignude. Egli guardòle braccia di Elenascoperte insino alla spalla. Erano così perfette nell'appiccaturae nella forma che richiamavano la similitudine firenzuolesca del vaso antico" di mano di buon maestro " e tali dovevano essere " quelle diPallade quando era innanzi al pastore ". Le dita vagavano su le cesellaturedell'arma; e l'unghie lucenti parevan continuare la finezza delle gemme chedistinguevano le dita. - Voise nonerro- disse Andreainvolgendo lei del suo sguardo come d'una fiamma - doveteavere il corpo della Danae del Correggio. Lo sentoanzilo veggodalla formadelle vostre mani. - OhSperelli!- Non imaginate voi dal fiore la interafigura della pianta? Voi sietecertocome la figlia d'Acrisioche riceve lanuvola d'oronon quella della Fiera di maggioohibò! Conoscete il quadrodella Galleria Borghese? - Lo conosco.- Mi sono ingannato? -BastaSperelli: vi prego. - Perché?Ella tacque. Ormai ambedue sentivanoavvicinarsi il cerchio che doveva chiuderli e stringerli insieme rapidamente.Né l'una né l'altro aveva conscienza di quella rapidità. Dopo due o tre oredal primo vedersigià l'una si dava all'altroin ispirito; e la scambievolededizione pareva naturale. Ella dissedopo un intervallosenza guardarlo: -Siete molto giovine. Avete già molto amato? Eglirispose con un'altra domanda. -Credete voi che ci sia più nobiltà di animo e di arte ad imaginare in una solaunica donna tutto l'Eterno femininooppure che un uomo di spiriti sottili edintensi debba percorrere tutte le labbra che passanocome le note d'unclavicembalo idealefinché trovi l'Ut gaudioso? -Io non so. E voi? - Neanche io sorisolvere il gran dubbio sentimentale. Maper istintoho percorso ilclavicembalo; e temo d'aver trovato l'Uta giudicare almeno dall'avvertimentointeriore. - Temete? -Je crains ce que j'espère. Egliparlava con naturalezza quel linguaggio manieratoquasi estenuandonell'artifizio delle parole la forza del suo sentimento. Ed Elena si sentivadalla voce di lui prendere come in una rete e trarre fuor della vita chemovevasi a torno. - Sua Eccellenza laprincipessa di Micigliano! - annunziava il servo. -Il signor conte di Gissi! - MadameChrysoloras! - Il signor marchese e lasignora marchesa Massa d'Albe! Isaloni si popolavano. Lunghi strascichi lucenti passavano sul tappeto purpureo;fuor de' busti constellati di diamantiricamati di perleavvivati di fioriemergevano le spalle nude; le capigliature scintillavano quasi tutte di que'meravigliosi gioielli ereditarii che fanno invidiata la nobiltà di Roma.- Sua Eccellenza la principessa di Ferentino!- Sua Eccellenza il duca di Grimiti! Giàsi formavano i diversi gruppii diversi focolari della malignità e dellagalanteria. Il gruppo maggioretutto composto di uoministava presso ilpianoforteintorno la duchessa di Scerni ch'erasi levata in piedi per tenertesta a quella specie d'assedio. La Ferentino si avvicinò a salutare l'amicacon un rimprovero. - Perché non seivenuta oggi da Ninì Santamarta? Ti aspettavamo. Ellaera alta e magracon due strani occhi verdi che parevan lontani in fondo alleocchiaie oscure. Vestiva di nerocon una scollatura a punta sul petto e sullespalle; portava tra i capellid'un biondo cinereouna gran mezzaluna dibrillantia simiglianza di Dianae agitava un gran ventaglio di piume rossecon gesti repentini. - Ninì vastasera da Madame Van Huffel. -Anch'io andròpiù tardiper un poco - disse la Muti. - La vedrò. -OhUgenta- fece la principessavolgendosi ad Andrea - vi cercavo perrammentarvi il nostro appuntamento. Domani è giovedì. La vendita del cardinaleImmenraet comincia domania mezzogiorno. Venite a prendermi all'una. -Non mancheròprincipessa. - Bisognach'io porti via quel cristallo di ròcca ad ogni costo. -Avrete però qualche competitrice. -Chi? - Mia cugina. -E poi? - Me - disse la Muti. -Te? Vedremo. I cavalieri intornochiedevano schiarimenti. - Una contesadi dame del XIX secoloper un vaso di cristallo di ròcca già appartenuto aNiccolò Niccoli; su quel vaso è intagliato il troiano Anchise che scioglie unde' calzari di Venere Afrodite - annunziò solennemente Andrea Sperelli. - Lospettacolo è dato per graziadomanidopo la prima ora del pomeriggionellesale delle vendite publichein via Sistina. Contendono: la principessa diFerentinola duchessa di Scernila marchesa d'Ateleta. Tuttiridevanoa quel bando. Il Grimitidomandò: - Son lecite le scommesse?- La côte! La côte! - si mise agarrire Don Filippo del Monteimitando la voce stridula del bookmakerStubbs. La Ferentino col suo ventagliorosso gli diede un colpo sulla spalla. Ma la facezia parve buona. Le scommesseincominciarono. Come dal gruppo partivano risa e mottia poco a poco altre damee altri gentiluomini si avvicinarono per prender parte all'ilarità. La notiziadella contesa si spargeva rapidamente; prendeva le proporzioni d'un avvenimentomondano; occupava tutti i belli spiriti. -Datemi un braccio e facciamo un giro - disse Donna Elena Muti ad Andrea. Quandofurono lontani dal grupponel salone contiguoAndrea stringendole il bracciomormorò: - Grazie! Ellasi appoggiava a luisoffermandosi di tratto in tratto per rispondere ai saluti.Pareva un poco stanca; ed era pallida come le perle delle sue collane. Ciascungiovine elegante le faceva un complimento volgare. -Questa stupidità mi soffoca - ella disse. Nelvolgersivide Sakumi che la seguiva portando la camelia bianca all'occhielloin silenziocon gli occhi imbambolatisenza osare d'accostarsi. Gli mandò unsorriso misericorde. - Povero Sakumi!- L'avete veduto ora soltanto? - le chieseAndrea. - Sì. -Quando eravamo seduti accanto al pianoforteegli dal vano d'una finestraguardava continuamente le vostre mani che giocavano con un'arma del suo paesedestinata a tagliar le pagine d'un libro occidentale. -Dianzi? - Giàdianzi. Forse eglipensava: " Dolce cosa far harakiri con quella piccola sciabolaornata di crisantemi che paion fiorire dalla lacca e dal ferro al tocco dellesue dita! " Ella non sorrise. Sula sua faccia era disceso un velo di tristezza e quasi di sofferenza; i suoiocchi parevano occupati da un'ombra più cupavagamente illuminati sotto lapalpebra superiorecome dell'albor d'una lampada; un'espressione dolente leabbassava un poco gli angoli della bocca. Ella teneva il braccio destroabbandonato lungo la vestereggendo nella mano il ventaglio e i guanti. Nonporgeva più la mano ai salutatori e ai lusingatori; né dava più ascolto adalcuno. - Che aveteora? - le chieseAndrea. - Nulla. Bisogna ch'io vadadalla Van Huffel. Conducetemi a salutare Francesca; e poi accompagnatemi fingiùalla mia carrozza. Tornarono nelprimo salone. Luigi Gullìun giovine maestro venuto dalle natali Calabrie incerca di fortunanero e crespo come un araboeseguiva con molta anima la Sonatain do diesis minore di Ludovico Beethoven. La marchesa d'Ateletach'era unasua proteggitricestava in piedi accanto al pianoforteguardando la tastiera.A poco a poco la musica grave e soave prendeva tutti que' leggeri spiriti ne'suoi cerchicome un gorgo tardo ma profondo. -Beethoven - disse Elenacon un accento quasi religiosoarrestandosi esciogliendo il suo braccio da quello di Andrea. Ellacosì rimase ad ascoltarein piedipresso una delle banane. Tenendo proteso ilbraccio sinistrosi metteva un guantocon estrema lentezza. Inquell'attitudine l'arco delle sue reni appariva più svelto; tutta la figuracontinuata dallo strascicoappariva più alta ed eretta; l'ombra della piantavelava e quasi direi spiritualizzava il pallore della carne. Andrea la guardò.E le vestiper luisi confusero con la persona. "Ella sarà mia " pensavacon una specie d'ebrietàpoiché la musicapatetica gli aumentava l'eccitamento. " Ella mi terrà fra le sue bracciasul suo cuore! " Imaginò dichinarsi e di posare la bocca su la spalla di lei. - Era fredda quella pellediafana che sembrava un latte tenuissimo attraversato da una luce d'oro? - Ebbeun brivido sottile; e socchiuse le palpebrecome per prolungarlo. Gli giungevail profumo di leiuna emanazione indefinibilefresca ma pur vertiginosa comeun vapore d'aròmati. Tutto il suo essere insorgeva e tendeva con ismisurataveemenza verso la stupenda creatura. Egli avrebbe voluto involgerlaattrarlaentro di sésuggerlabeverlapossederla in un qualche modo sovrumano.Quasi constretta dal soverchiante desideriodel giovineElena si volse un poco; e gli sorrise d'un sorriso così tenuedirei quasi così immaterialeche non parve espresso da un moto delle labbrasì bene da una irradiazione dell'anima per le labbramentre gli occhirimanevan tristi pur sempree come smarriti nella lontananza d'un sognointeriore. Eran veramente gli occhi della Nottecosì inviluppati d'ombraquali per una Allegoria avrebbeli forse imaginati il Vinci dopo aver veduta inMilano Lucrezia Crivelli. Enell'attimo che durò il sorrisoAndrea si sentì solo con leiin mezzoalla moltitudine. un orgoglio enorme gli gonfiava il cuore. PoichéElena fece l'atto di mettersi l'altro guantoegli la pregò sommesso: -Nonon quello! Elena intese; elasciò nuda la mano. Una speranza erain luidi baciarle la manoprima ch'ella partisse. D'improvvisogli risorsenello spirito la visione della Fiera di maggioquando gli uomini le bevevanonel concavo delle palme il vino. Di nuovoun'acuta gelosia lo punse. -Oraandiamo - ella disseriprendendogli il braccio. Finitala Sonatale conversazioni si riannodavano più vive. Il servo annunziò altritre o quattro nomitra cui quello della principessa Issé che entrava con unpiccolo passo incertovestita all'europeasorridente dal volto ovalecandidae minuta come la figurina d'un netske. Un movimento di curiosità sipropagò pel salone. - AddioFrancesca - disse Elena. prendendo congedo dall'Ateleta. - A domani. -Così presto? - Mi aspettano in casaVan Huffel. Ho promesso di andare. -Peccato! CanteràoraMary Dyce. -Addio. A domani. - Prendi. E addio.Cugino amabileaccompagnatela. Lamarchesa le diede un mazzo di violette doppie; e si volse poi ad incontrar laprincipessa Issègraziosamente. Mary Dycevestita di rossoalta eondeggiante come una fiammaincominciava a cantare. -Sono tanto stanca! - mormorò Elenaappoggiandosi ad Andrea. - Chiedetevipregola mia pelliccia. Egli prese lapelliccia dal servo che glie la porgeva. Aiutando la dama a indossarlalesfiorò l'omero con le dita; e sentì ch'ella rabbrividiva. Tutta l'anticameraera piena di valletti in livree diverseche s'inchinavano. La voce soprana diMary Dyce portava le parole d'una Romanza di Robert Schumann: " Ichkann's nicht fassennicht glauben... " Scendevanoin silenzio. Il servo era andato innanzi a fare avanzare la carrozza fino a pièdella scala. Udivasi rintronare lo scalpitìo de' cavalli sotto l'andronesonoro. Ad ogni scalinoAndrea sentiva il premere lieve del braccio di Elenache s'abbandonava un pocotenendo il capo sollevatoanzi alquanto piegatoindietrocon gli occhi socchiusi. -Nel salirevi seguiva la mia ammirazione sconosciuta. Nel discendere viaccompagna il mio amore - le disse Andreasommessamentequasi umilmenteponendo tra le ultime parole una pausa esitante. Ellanon rispose. Ma portò alle nari il mazzo delle viole ed aspirò il profumo.Nell'attol'ampia manica del mantello scivolò lungo il bracciooltre ilgomito. La vista di quella viva carneuscente di fra la pelliccia come unamassa di rose bianche fuor della neveaccese ancor più ne' sensi del giovinela bramaper la singolar procacità che il nudo feminile acquista allor quandoè mal celato da una veste folta e grave. un piccolo fremito gli moveva lelabbra; ed egli trattenava a stento le parole desiose. Mala carrozza era pronta a piè della scalae il servo era allo sportello.- Casa Von Huffel - ordinò la duchessamontandoaiutata dal conte. Il servos'inchinòlasciando lo sportello; ed occupò il suo posto. I cavalliscalpitavano fortelevando faville. -Badate! - gridò Elenatendendo al giovine la mano; e i suoi occhi e i suoidiamanti scintillavano nell'ombra. "Essere con leilà nell'ombra e cercare con la bocca il suo collo fra lapelliccia profumata! " Egli avrebbe voluto dirle: -Prendetemi con voi! I cavalliscalpitavano. - Badate! - ripetéElena. Egli le baciò la manopremendocome per lasciarle su la cute un'impronta di passione. Quindi chiuselo sportello. Eal colpola carrozza partì rapidamentecon un alto rimbomboper tutto l'androneuscendo nel Fòro.

Libro primo - 3

 

Così ebbe principio l'avventura di Andrea Sperelli con Donna Elena Muti.Il giorno dopole sale delle venditepublichein via Sistinaerano piene di gente elegantevenuta per assistereall'annunziata contesa. Pioveva forte.In quelle stanze umide e basse entrava una luce grigia; lungo le pareti eranodisposti in ordine alcuni mobili di legno scolpito e alcuni grandi trittici edittici della scuola toscana del XIV secolo; quattro arazzi fiamminghirappresentanti la Storia di Narcissopendevano fino a terra; lemaioliche metaurensi occupavano due lunghi scaffali; le stoffeper lo piùecclesiastichestavano o spiegate su le sedie o ammucchiate su i tavoli; icimeli più rarigli avoriigli smaltii vetrile gemme incisele medagliele monetei libri di preghierei codici miniatigli argenti lavorati eranoraccolti entro un'alta vetrinadietro il banco dei periti; un odor singolareprodotto dall'umidità del luogo e da quelle cose anticheempiva l'aria.Quando Andrea Sperelli entròaccompagnandola principessa di Ferentinoebbe un segreto tremito. Pensò: " Sarà giàvenuta? " E i suoi occhi rapidamente la cercarono. Ellaera già venutainfatti. Sedeva innanzi al bancotra il cavaliere Dàvila eDon Filippo del Monte. Aveva posato su l'orlo del banco i guanti e il manicottodi lontra da cui usciva fuori un mazzo di violette. Teneva tra le dita unquadretto d'argentoattribuito a Caradosso Foppa; e l'osservava con moltaattenzione. Gli oggetti passavano di mano in manolungo il banco; il perito nefaceva le lodi ad alta voce; le persone in piedidietro la fila delle sediesichinavano per guardare; quindi incominciava l'incanto. Le cifre si seguivanorapidamente. Ad ogni trattoil perito gridava: -Si delibera! Si delibera! Qualcheamatoreincitato dal gridogittava una più alta cifraguardando gliavversarii. Il perito gridavacon alzato il martello: -Uno! Due! Tre! E percoteva il banco.L'oggetto apparteneva all'ultimo offerente. Un mormorio si propagava intorno;poi di nuovo accendevasi la gara. Il cavaliere Dàvilaun gentiluomo napoletanoche aveva le forme gigantesche e maniere quasi femineecelebre raccoglitore econoscitor di maiolichedava il suo giudizio su ciascun pezzo importante. Treveramentein quella vendita cardinaliziaeran le cose " superiori ":la Storia di Narcissola tazza di cristallo di ròccae un elmod'argento cesellato da Antonio del Pollajuoloche la Signoria di Firenze donòal conte d'Urbino nel 1472in ricompensa de' servigi da lui resi nel tempodella presa di Volterra. - Ecco laprincipessa - disse Don Filippo del Monte alla Muti. LaMuti si levò per salutare l'amica. -Di già sul campo! - esclamò la Ferentino. -Di già. - E Francesca? -Non è ancor giunta. Quattro o cinqueeleganti signoriil duca di GrimitiRoberto CasteldieriLudovico BarbarisiGiannetto Rùtolosi appressarono. Altri sopravvenivano. Lo scroscio dellapioggia copriva le parole. Donna Elenaporse la mano allo Sperellifrancamentecome ad ognuno. Egli si sentìdaquella stretta di manoallontanare. Elena gli parve fredda e grave. Tutti isuoi sogni s'agghiacciarono e precipitaronoin un attimo; i ricordi della serainnanzi si confusero; le speranze si estinsero. Che aveva ella? Non era più ladonna medesima. Vestiva una specie di lunga tunica di lontra e portava sul capouna specie di tòccoanche di lontra. Aveva nell'espressione del volto qualchecosa di aspro e quasi di sprezzante. -C'è ancóra tempoalla tazza - ella disse alla principessa; e si rimise asedere. Ogni oggetto passava per lesue mani. Un Centauro intagliato in un sardonioopera assai finaforseproveniente dal disperso museo di Lorenzo il Magnificola tentò. Ed ella preseparte alla gara. Comunicava la sua offerta al peritoa voce bassasenza levaregli occhi su di lui. A un certo puntoi competitori si arrestarono; ellaottenne la pietraa buon prezzo. -Acquisto eccellente - disse Andrea Sperelliche stava in piedidietro la sediadi lei. Elena non poté trattenere unlieve sussulto. Prese il sardonio e lo diede a vederelevando la manoall'altezza della spallasenza voltarsi. Era veramente un'assai bella cosa.- Potrebbe essere il Centauro che Donatellocopiò - soggiunse Andrea. Enell'animo di luiinsieme con l'ammirazione per la cosa bellasorsel'ammirazione per il nobile gusto della dama che ora la possedeva. " Ellaè dunquein tuttouna eletta " pensò. " Quali piaceri puòdare ella a un amante raffinato! " Colei s'ingrandivanella suaimaginazione; maingrandendosisfuggivagli. La gran sicurezza della serainnanzi mutavasi in una specie di scoraggiamento; e i dubbii primitivirisorgevano. Egli aveva troppo sognatonella nottea occhi apertinuotando inuna felicità senza finementre il ricordo d'un gestod'un sorrisod'un'ariadella testad'una piega del vestito lo prendeva e l'allacciavacome una rete.Oratutto quel mondo imaginario crollava miseramente al contatto della realtà.Egli non aveva visto negli occhi di Elena il singolar saluto a cui aveva tantopensato; egli non era stato distinto da leiin mezzo agli altricon nessunsegno. " Perché? " Si sentiva umiliato. Tutta quella gente fatuad'intornogli faceva ira; gli facevano ira quelle cose che attraevanl'attenzione di lei; gli faceva ira Don Filippo del Monte che di tratto intratto chinavasi verso di lei per mormorarle forse qualche malignità.Sopravvenne l'Ateleta. La quale eracome sempreallegra. Il suo risotra isignori che già l'attorniavanofece volgere vivamente Don Filippo. -La Trinità è perfetta - egli dissee si levò. Andreaoccupò sùbito la sediaaccanto alla Muti. Come gli giunse alle nari ilprofumo sottile delle violemormorò: -Non sono quelle di ieri sera. - No -fece Elenafreddamente. Nella suamobilitàondeggiante e carezzante come l'ondac'era sempre la minaccia delgelo inaspettato. Ella era soggetta a rigidità subitanee. Andrea tacquenoncomprendendo. - Si delibera! Sidelibera! gridava il perito. Le cifresalivano. La gara era ardente intorno l'elmo d'Antonio del Pollajuolo. Anche ilcavalier Dàvila entrava in lizza. Pareva che a poco a poco l'aria siriscaldasse e che il desiderio di quelle cose belle e rare prendesse tutti glispiriti. La mania si propagavacome un contagio. In quell'annoa Romal'amoredel bibelot e del bric-à-brac era giunto all'eccesso; tutti isaloni della nobiltà e dell'alta borghesia erano ingombri di " curiosità"; ciascuna dama tagliava i cuscini del suo divano in una pianeta o in unpiviale e metteva le sue rose in un vaso di farmacia umbro o in una coppa dicalcedonio. I luoghi delle vendite publiche erano un ritrovo preferito; e levendite erano frequentissime. Nelle ore pomeridiane del tè le signorepereleganzagiungevano dicendo: " Vengo dalla vendita del pittore Campos.Molta animazione. Magnifici i piatti arabo-ispani! Ho preso un gioiello di MariaLeczinska. Eccolo. " - Sidelibera! Le cifre salivano. Intornoal banco si accalcavano gli amatori. La gente elegante si dava ai bei parlarifra le Natività e le Annunciazioni giottesche. Le signorefraquell'odore di muffa e di anticaglieportavano il profumo delle loro pellicce esegnatamente quello delle violettepoiché tutti i manicotti contenevano unmazzolino secondo la moda leggiadra. Per la presenza di tante personeun teporedilettoso diffondevasi nell'ariacome in una umida cappella dove fossero moltifedeli. La pioggia seguitava a crosciar di fuori e la luce a diminuire. Furonoaccese le fiammelle del gas; e i due diversi chiarori lottavano. -Uno! Due! Tre! Il colpo di martellodiede il possesso dell'elmo fiorentino a Lord Humphrey Heathfield. L'incantoricominciò di nuovo su piccoli oggetiche passavano lungo il bancodi mano inmano. Elena li prendeva delicatamenteli osservava e li posava quindi innanziad Andreasenza dir nulla. Erano smaltiavoriiorologi del XVIII secologioielli d'oreficeria milanese del tempo di Ludovico il Morolibri di preghierescritti a lettere d'oro su pergamena colorita d'azzurro. Tra le dita ducaliquelle preziose materie parevano acquistar pregio. Le piccole mani avevanotalvolta un leggero tremito al contatto delle cose più desiderabili. Andreaguardava intensamente; e nella sua imaginazione egli trasmutava in una carezzaciascun moto di quelle mani. " Ma perché Elena posava ogni oggetto sulbancoinvece di porgerlo a lui? " Egliprevenne il gesto di Elenatendendo la mano. E da allora in poi gli avoriiglismaltii gioielli passarono dalle dita dell'amata in quelle dell'amantecomunicando un indefinibile diletto. Pareva ch'entrasse in loro una particelladell'amoroso fascino di quella donnacome entra nel ferro un poco della virtùd'una calamita. Era veramente una sensazione magnetica di dilettouna di quellesensazioni acute e profonde che si provan quasi soltanto negli inizii di unamore e che non paiono avere né una sede fisica né una sede spiritualeasimiglianza di tutte le altrema sì bene una sede in un elemento neutro delnostro esserein un elemento quasi direi intermediodi natura ignotamensemplice d'uno spiritopiù sottile d'una formaove la passione si raccogliecome in un ricettacoloonde la passione s'irradia come da un focolare. "E' un piacere non mai provato " pensò Andrea Sperelli anche unavolta. L'invadeva un leggero torpore ea poco a poco lo abbandonava la conscienza del luogo e del tempo. -Vi consiglio questo orologio - gli disse Elenacon uno sguardo di cui egli daprima non comprese la significazione. Erauna piccola testa di morto scolpita nell'avorio con una straordinaria potenzad'imitazione anatomica. Ciascuna mascella portava una fila di diamantie duerubini scintillavano in fondo alle occhiaie. Su la fronte era inciso un motto:RUIT HORA; su l'occipite un altro motto: TIBIHIPPOLYTA. Il cranio si aprivacome una scatolasebbene la commessura fosse quasi invisibile. L'interiorbattito del congegno dava a quel teschietto una inesprimibile apparenza di vita.Quel gioiello mortuarioofferta d'un artefice misterioso alla sua donnaavevadovuto segnar le ore dell'ebrezza e col suo simbolo ammonire gli spiriti amanti.In veritànon poteva il Piacere desiderareun più squisito e più incitante misurator del tempo. Andrea pensò: " Melo consiglia ella per noi? " E a quel pensiero tutte le speranzerinacquero e risorsero di tra l'incertezzaconfusamente. Egli si gittò nellagaracon una specie d'entusiasmo. Gli rispondevano due o tre competitoriaccanititra cui Giannetto Rùtolo cheavendo per amante Donna IppolitaAlbónicoera attratto dall'iscrizione: TIBIHIPPOLYTA. Dopopocorimasero soli a contendereil Rùtolo e lo Sperelli. Le cifre salivanooltre il prezzo reale dell'oggettomentre i periti sorridevano. A un certopuntoGiannetto Rùtolo non rispose piùvinto dalla ostinazionedell'avversario. - Si delibera! Sidelibera! L'amante di Donna Ippolitaun poco pallidogridò un'ultima cifra. Lo Sperelli aumentò. Ci fu un momentodi silenzio. Il perito guardava i due competitori; quindi levò il martelloconlentezzasempre guardando. - Uno!Due! Tre! La testa di morto rimase alconte d'Ugenta. Un mormorio si diffuse per la sala. Uno sprazzo di luce entròper la vetrata e fece splendere i fondi aurei dei tritticiavvivò la frontedolente d'una madonna senese e il cappellino grigio della principessa diFerentinocoperto di scaglie d'acciaio. -Quando la tazza? - chiese la principessa con impazienza. Gliamici guardarono i cataloghi. Non c'era più speranza che la tazza del bizzarroumanista fiorentino andasse all'incanto in quel giorno. Per la moltaconcorrenzala vendita procedeva lentamente. Rimaneva ancóra un lungo elencod'oggetti minuticome cammeimonetemedaglie. Alcuni antiquarii e il principeStroganow si disputavano ogni pezzo. Tutti gli aspettanti ebbero unadisillusione. La duchessa di Scerni si levò per andarsene. -AddioSperelli - disse. - A questa seraforse. -Perché dite " forse "? - Misento tanto male. - Che aveta mai?Ellasenza risponderesi volse agli altrisalutando. Ma gli altri seguivano il suo esempio; escivano insieme. I giovinisignori motteggiavano intorno il mancato spettacolo. La marchesa d'Ateletaridevama la Ferentino pareva di pessimo umore. I servi che aspettavano nelcorridoiofacevano avanzar le carrozzecome alla porta d'un teatro o d'unasala di concerti. - Non vieni dallaMiano? - domandò l'Ateleta ad Elena. -No; torno a casa. Ella aspettòsul'orlo del marciapiedeche il suo coupé s'avanzasse. La pioggia sidisperdeva; tra larghe nuvole bianche scorgevasi qualche intervallo d'azzurro;una zona di raggi faceva luccicare il lastrico. E la signorainvestita da quelchiaror tra biondo e roseonel mantello magnifico che scendeva con poche pieghediritte e quasi simmetricheera bellissima. Il sogno medesimo della serainnanzi sorse nello spirito d'Andreaquando egli intravide l'interno del coupétappezzato di raso come un boudoirdove luccicavano il cilindrod'argento pieno d'acqua calda destinato a tenere tiepidi i piccoli piedi ducali." Essere làcon leiin quella intimità così raccoltain quel teporefatto dal suo alitonel profumo delle violette appassiteintravedendo appenada' cristalli appannati le vie coperte di fangole case grigela gente oscura!" Ma ella inchinò lievemente ilcapo allo sportellosenza sorridere; e la carrozza partìverso il palazzoBarberinilasciandogli nell'anima una vaga tristezzauno scoramentoindefinito. - Ella aveva detto " forse ". Poteva dunque non venire alpalazzo Farnese. E allora? Questodubbio l'affliggeva. Il pensiero di non rivederla gli era insopportabile: tuttele ore passate lontano da lei già gli pesavano. Egli chiedeva a sé stesso:" L'amo io dunque già tanto? " Il suo spirito pareva chiuso in uncerchioentro cui turbinavano confusamente tutti i fantasmi delle sensazioniavute nella presenza di quella donna. D'un trattoemergevano dalla sua memoriacon una singolare esattezzauna frase di leiuna intonazione di voceun'attitudineun movimento degli occhila forma d'un divano sul quale ellasedevail Finale della Sonata del Beethovenuna nota di Mary Dycelafigura del servo cha stava allo sportellouna qualunque particolaritàunqualunque frammentoed oscuravano con la vivezza della loro imagine le cosedella esistenza in corsosi sovrapponevano alle cose presenti. Egli le parlavamentalmente; le dicevamentalmentetutto quello che poi le avrebbe detto inrealtàne' futuri colloqui. Prevedeva le scenei casile vicendetutto losvolgimento dell'amoresecondo le suggestioni del suo desiderio. - In che modosi sarebbe ella data a luila prima volta? Mentresaliva le scale del palazzo Zuccariper rientrare nel suo appartamentoglibalenava questo pensiero. - Ellacertosarebbe venuta là. La via Sistinalavia Gregorianala piazza della Trinità de' Montispecialmente in certe oreerano quasi deserte. La casa non era abitata che da stranieri. Ella avrebbedunque potuto avventurarsi senza timori. Ma come attirarla? - La sua impazienzaera tanta ch'egli avrebbe voluto poter dire: " Verrà domani! "" Ella è libera " pensò. "Non la tiene la vigilanza d'un marito. Nessuno può chiederle conto delleassenze anche lungheanche insolite. Ella è padrona d'ogni suo attosempre." Gli si presentarono allo spiritosubitamenteinteri giorni e interenotti di voluttàSi guardò intornonella stanza caldaprofondasegreta; equel lusso intenso e raffinatotutto fatto di artegli piacqueper lei.Quell'aria aspettava il suo respiro; quei tappeti chiedevano d'esserepremuti dal suo piede; quei cuscini volevano l'impronta del suocorpo. " Ella amerà la mia casa" pensò. " Amerà le cose ch'io amo. " Il pensiero gli dava unaindicibile dolcezza; e gli pareva che già un'anima nuovaconsapevole dellaimminente gioiapalpitasse sotto gli alti soffitti. Chieseil tè al servo; e s'adagiò d'innanzi al caminettoper meglio godere lefinzioni della sua speranza. Trasse dall'astuccio il piccolo teschio gemmato esi mise ad esaminarlo attentamente. Al chiaror del fuoco l'esile dentaturaadamantina brillava su l'avorio giallastro e i due rubini illuminavano l'ombradelle occhiaie. Sotto il cranio polito risonava il battito incessante del tempo.- RUIT HORA. - Quale artefice mai poteva avere avuta per una sua Ippolita quellasuperba e libera fantasia di mortenel secolo in cui i maestri smaltistiornavan di teneri idillii pastorali gli orioletti destinati a segnar pe'cicisbei l'ora de' ritrovi ne' parchi del Watteau? La scoltura rivelava una manodottavigorosapadrona d'uno stile proprio: era in tutto degna d'unquattrocentista penetrante come il Verrocchio. "Vi consiglio questo orologio. " Andrea sorrideva un pocoricordando leparole di Elena pronunziate in un modo così stranodopo un così freddosilenzio. - Senza dubbiodicendomi quella fraseella pensava all'amore: ellapensava ai prossimi convegni d'amoresenza dubbio. Ma perché poidi nuovoera diventata impenetrabile? Perché non s'era curata più di lui? Che avevaella? - Andrea si smarrì nell'indagine. Però l'aria caldala mollezza dellapoltronala luce discretale variazioni del fuocol'aroma del tètuttequelle sensazioni grate ricondussero il suo spirito agli errori dilettosi. Egliandava errando senza mètacome in un fantastico labirinto. In lui il pensieroassumeva talvolta la virtù dell'oppio: poteva inebriarlo. -Mi permetto di ricordare al signor conte che per le sette è atteso in casaDoria - disse a voce bassa il servoche aveva anche l'ufficio di rammentatore.- Tutto è preparato. Egli andò avestirsinella camera ottagonale ch'erain veritàil più elegante e comodospogliatoio desiderabile per un giovine signore moderno. Vestendosiaveva unainfinità di minute cure della sua persona. Sopra un gran sarcofago romanotrasformato con molto gusto in una tavola per abbigliamentoerano disposti inordine i fazzoletti di batistai guanti da balloi portafogligli astuccidelle sigarettele fiale delle essenzee cinque o sei gardenie fresche inpiccoli vasi di porcellana azzurra. Egli scelse un fazzoletto con le cifrebianche e ci versò due o tre gocce di pao rosa; non prese alcunagardenia perché l'avrebbe trovata alla mensa di casa Doria; empì di sigaretterusse un astuccio d'oro martellatosottilisimoornato d'uno zaffiro su lasporgenza della mollaun po' curvo per aderire alla coscia nella tasca de'calzoni. Quindi uscì. In casa Doriatra un discorso e l'altrola duchessa Angelieria proposito del recente partodella Mianodisse: - Pare che LauraMiano e la Muti sieno in rotta. -Forse per Giorgio? - chiese un'altra damaridendo. -Si dice. E' una storia incominciata a Lucernaquest'estate... -Ma Laura non era a Lucerna. - Appunto.C'era suo marito... - Credo che siauna malignità; null'altro - interruppe la contessa fiorentinaDonna BiancaDolcebuono. - Giorgio è ora a Parigi. Andreaaveva uditosebbene al suo lato destro la loquace contessa Starnina l'occupassedi continuo. Le parole della Dolcebuono non bastavano a lenirgli la punturaacutissima. Egli avrebbe volutoalmenosapere fino in fondo. Ma l'Angelieririnunziava a seguitare; e altre conversazioni si mescolavano fra i trionfi dellemagne rose di Villa Pamphily. "Chi era questo Giorgio? Forse l'ultimo amante di Elena? Ella aveva passata unaparte dell'estate a Lucerna. Ella veniva di Parigi. Ellanell'uscire dallavenditaerasi rifiutata di andare in casa Miano. " Nell'animo di Andrea leapparenze erano contro di lei tutte. Un desiderio atroce l'invasedi rivederladi parlarle. L'invito al palazzo Farnese era per le dieci; alle dieci e mezzoegli si trovava gia làaspettando. Aspettòmolto. Le sale si empivano rapidamente; le danze incominciavano: nella galleriad'Annibale Caracci le semiddie quiriti lottavan di formosità con le Ariadnecon le Galateecon le Aurorecon le Diane degli affreschi; le coppieturbinando esalavano profumi: le mani inguantate delle dame premevano la spalladei cavalieri; le teste ingemmate si curvavano o si ergevano; certe bocchesemiaperte brillavano come la porpora; certe spalle nude luccicavano sparse d'unvelo d'umidore; certi seni parevano irrompere dal bustosotto la veemenzadell'ansia. - Non ballateSperelli? -chiese Gabriella Barbarisiuna fanciulla bruna come l'oliva speciosamentre passava a braccio d'un danzatoreagitando con la mano il ventaglio e colsorriso un neo ch'ella aveva in una fossetta presso la bocca. -Sìpiù tardi - rispose Andrea. - Più tardi. Incurantedelle presentazioni e dei salutiegli sentiva crescere il suo tormentonell'attesa inutile; e girava di sala in sala alla ventura. Il " forse" gli faceva temere ch'Elena non venisse. - E s'ella proprio non veniva?Quando l'avrebbe egli riveduta? - Passò Donna Bianca Dolcebuono; esenzasapere perchéegli le si mise al fianco dicendole molte frasi cortesiprovando quasi un poco di sollievo in compagnia di lei. Avrebbe voluto parlarledi Elenainterrogarlarassicurarsi. L'orchestra diè principio a una Mazurkaassai molle; e la contessa fiorentina col suo cavaliere entrò nella danza.Allora Andrea si volse a un gruppo di giovinisignoriche stava presso una porta. Eravi Ludovico Barbarisieravi il duca diBefficon Filippo del Gallocon Gino Bommìnaco. Guardavano le coppie girare emalignavano un po' grossolanamente. Il Barberisi raccontava d'aver vedute lerotondità del petto alla contessa Lùcoliballando il Walzer. IlBommìnaco domandò: - Ma come?- Provaci. Basta chinare gli occhi nel corsage.Ti assicuro che vale la pena... -Avete badato alle ascelle di Madame Chrysoloras? Guardate! Ilduca di Beffi mostrava una danzatrice che aveva in su la fronte bianca come ilmarmo di Luni un'accensione di chiome rossea similitudine d'una sacerdotessad'Alma Tadema. Il suo busto era congiunto agli omeri da un semplice nastroe siscorgevano sotto le ascelle due ciuffi rossastri troppo abondanti. IlBommìnaco si mise a ragionare dell'odor singolare che hanno le donne rosse.- Tu lo conosci benequell'odore - disse conmalizia il Barbarisi. - Perché?- La Micigliano... Ilgiovine si compiacque manifestamente di sentir nominare una delle sue amanti.Non protestòma rise; poi volgendosi allo Sperelli: -Che hai stasera? Ti cercava tua cuginaun momento fa. Ora balla con miofratello. Eccola. - Guarda! - esclamòFilippo del Gallo. - E' tornata l'Albónico. Balla con Giannetto. -E' tornata anche la Mutida una settimana - fece Ludovico. - Che bellacreatura! - E' qui? -Non l'ho veduta ancóra. Andrea ebbeal cuore un sussultotemendo che da qualcuna di quelle bocche fosse per uscireuna malignità anche contro di lei. Ma il passaggio della principessa Isséabraccio del ministro di Danimarcadivagò gli amici. Egli nondimeno sentivasispingere da una temeraria curiosità a riallacciare il discorso sul nomedell'amataper sapereper iscoprire; ma non osò. La Mazurka finiva; ilgruppo disperdevasi. " Ella non viene! Ella non viene! "L'inquietudine interiore gli cresceva così fieramente che egli pensòd'abbandonare le salepoiché il contatto di quella folla eragli insoffribile.Volgendosivide apparire su l'ingresso dellagalleria la duchessa di Scerni a braccio dell'ambasciatore di Francia. In unattimoegli incontrò lo sguardo di lei; e gli occhi d'ambedue in quell'attimoparvero mescolarsipenetrarsibeversi. Ambedue sentirono che l'uno cercaval'altra e l'altra l'uno; ambedue sentironoad un puntoscendere su l'anima unsilenzioin mezzo a quel rumoree quasi direi aprirsi un abisso in cui tuttoil mondo circostante scomparve sotto la forza d'un pensiero unico. Ellas'avanzava nell'istoriata galleria del Caraccidov'era minore la calcaportando un lungo strascico di broccato bianco che la seguiva come un'onda gravesul pavimento. Così bianca e semplicenel passare volgeva il capo ai moltisalutimostrando un'aria di stanchezzasorridendo con un piccolo sforzovisibile che le increspava gli angoli della boccamentre gli occhi sembravanpiù larghi sotto la fronte esangue. Non la fronte sola ma tutte le linee delvolto assumevano dall'estremo pallore una tenuità quasi direi psichica. Ellanon era più né la donna seduta alla mensa degli Ateletané quella al bancodelle venditené quella diritta un'istante sul marciapiede della via Sistina.La sua bellezza aveva ora un'espressione di sovrana idealitàche megliosplendeva in mezzo alle altre dame accese in volto dalla danzaeccitatetroppomobiliun po' convulse. Alcuni uominiguardandolarimanevan pensosi. Ellametteva anche negli animi più ottusi o fatui un turbamentouna inquietudineun'aspirazione indefinibile. Chi aveva il cuor libero imaginava con un fremitoprofondo l'amore di lei; chi aveva un'amante provava un oscuro rammaricosognando un'ebrezza sconosciutanel cuore non pago; chi recava entro di sé lapiaga d'una gelosia o d'un inganno aperta da un'altra donnasentiva ben cheavrebbe potuto guarire. Ellas'avanzava cosìtra gli omaggiavvolta dallo sguardo degli uomini.All'estremità della galleriasi unì ad un gruppo di dame che parlavanovivamente agitando i ventaglisotto la pittura di Perseo e di Fineo impietrato.Eranvi la Ferentinola Massa d'Albela marchesa Daddi-Tosinghila Dolcebuono.- Perché così tardi? - le chiesequest'ultima. - Ho esitato moltoprima di venireperché non mi sento bene. -Infattisei pallida. - Credo cheriavrò le nevralgie alla facciacome l'anno scorso. -Non sia mai! - GuardaElenaMadamede la Boissière - disse Giovanella Daddicon quella sua strana voce rauca. -Non sembra un cammello vestito da cardinalecon un parrucchino giallo? -Madamoiselle Vanloo stasera perde la testa per tuo cugino - disse la Massad'Albe alla principessavedendo passare Sofia Vanloo a braccio di LudovicoBarbarisi. - L'ho sentita dianzi che supplicavadopo un giro di Polkaaccanto a me: " Ludovicne faites plus ca en dansant; je frissonnetoute... " Le dame si miseroa ridere in corotra l'agitazion de' ventagli. Giungevano dalle sale contiguele prime note d'un Walzer ungherese. I cavalieri si presentarono. Andreapoté finalmente offrire il braccio a Elena e trarla seco. -Aspettandoviho creduto di morire! Se voi non foste venutaElenaio vi avreicercata ovunque. Quando vi ho vista entrareho trattenuto a stento un grido.Questa è la seconda sera ch'io vi vedoma mi par già di amarvi non so da chetempo. Il pensiero di voiunicoincessanteè ora la vita della mia vita...Egli proferiva le parole d'amoresommessamentesenza guardarlatenendo gli occhi fissi d'innanzi a sé; ed ellale ascoltava nella stessa attitudineimpassibile in vistaquasi marmorea.Nella galleria rimanevano poche persone. Lungo le paretitra i busti deiCesarii cristalli opachi de' lumiin forma di gigliversavano un chiaroreegualenon troppo forte. La profusione delle piante verdi e fiorite davaimagine di una serra suntuosa. Le onde della musica si propagavano nell'ariacaldasoto le volte concave e sonorepassando su tutta quella mitologia comeun vento su un giardino opulento. - Miamerete voi? - chiese il giovine. - Ditemi che mi amerete! Ellarisposecon lentezza: - Son venutaqui per voi soltanto. - Ditemi che miamerete! - ripeté il giovinesentendo tutto il sangue delle sue vene affluireal cuore come un torrente di gioia. Ellarispose: - Forse. Elo guardò con lo sguardo medesimo che la sera innanzi era a lui parso unadivina promessacon quell'indefinibile sguardo che quasi dava alla carne lasensazione del tócco amoroso d'una mano. Poi ambedue tacquero; ed ascoltaronol'avviluppante musica della danzache a tratti a tratti facevasi piana come unsussurro o levavasi come un turbine improvviso. -Volete che balliamo? - domandò Andreache dentro tremava al pensiero ditenerla fra le braccia. Ella esitò unpoco. Quindi rispose: - No; nonvoglio. Vedendo entrare nella galleriala duchessa di Bugnarasua zia maternae la principessa Alberoni conl'ambasciatrice di Franciasoggiunse: -Orasiate prudente; lasciatemi. Ellagli tese la mano inguantata; e andò incontro alle tre damesolacon un passoritmico e leggero. Dava una sovrana grazia alla sua persona e al suo passo illungo strascico biancopoiché l'ampiezza e la pesantezza del broccatocontrastavano con l'esilità della cintura. Andreaseguendola con gli occhiripeteva mentalmente la frase di lei: " Son venuta per voi soltanto. "- Ella era pur così bellaper luiper lui solo! - Subitamentedal fondo delcuore gli si levò un resto dell'amarezza che vi avevano messa le paroledell'Angelieri. L'orchestra lanciavasi con impeto in una ripresa. Ed egli nondimenticò mai né quelle notené lo splendor della stoffa trascinatané unaminima piegané una minima ombrané alcuna particolarità di quel momentosupremo.

Libro primo - 4

Elenadopo pocoaveva lasciato il palazzo Farnesequasi di nascostosenzaprender congedo né da Andrea né da alcun altro. Era dunque rimasta al balloappena mezz'ora. L'amante l'aveva cercata per tutte le salea lungo e invano.La mattina seguenteegli mandò un servo alpalazzo Barberini per avere notizie di lei; e seppe ch'ella stava male. La seraandò di personasperando d'esser ricevuto; ma una camerista gli disse che lasignora soffriva molto e che non poteva vedere nessuno. Il sabatoverso lecinque del pomeriggiotornòsempre sperando. Egliusciva dalla casa Zuccaria piedi. Era un tramonto paonazzo e cinereoun po'lugubreche a poco a poco si stendeva su Roma come un velario greve. Intornoalla fontana della piazza Barberini i fanali già ardevanocon fiammellepallidissimecome ceri intorno a un feretro; e il Tritone non gittava acquaforse per causa d'un restauro o d'una pulitura. Venivano giù per la discevacarri tirati da due o da tre cavalli messi in file e torme d'operai tornantidalle opere nuove. Alcuniallacciati per le bracciasi dondolavano cantando asquarciagola una canzone impudica. Eglisi fermòper lasciarli passare. Due o tre di quelle figure rossastre e biechegli rimasero impresse. Notò che un carrettiere aveva una mano fasciata e lefasce macchiate di sangue. Anchenotò un altro carrettiere in ginocchio sulcarroche aveva la faccia lividale occhiaie cavela bocca contrattacome unuomo attossicato. Le parole della canzone si mescevano ai gridi gutturaliaicolpi delle frusteal rumore delle ruoteal tintinnio dei sonaglialleingiuriealle bestemmiealle aspre risa. Lasua tristezza s'aggravò. Egli si trovava in una disposizion di spirito strana.La sensibilità de' suoi nervi era così acuta che ogni minima sensazione a luidata dalle cose esteriori pareva una ferita profonda. Mentre un pensiero fissooccupava e tormentava tutto il suo essereegli aveva tutto il suo essereesposto agli urti della vita circostante. Contro ogni alienazione della mente edogni inerzia della volontài suoi sensi rimanevano vigili ed attivi; e diquell'attività egli aveva una conscienza non esatta. I gruppi delle sensazionigli attraversavano d'improvviso lo spiritosimili a grandi fantasmagorie in unaoscurità; e lo turbavano e sbigottivano. Le nuvole del tramontola forma delTritone cupa in un cerchio di fanali smortiquella discesa barbarica d'uominibestiali e di giumenti enormiquelle gridaquelle canzoniquelle bestemmieesasperavano la sua tristezzagli suscitavano nel cuore un timor vagonon soche presentimento tragico. Unacarrozza chiusa usciva dal giardino. Egli vide chinarsi al cristallo un volto didonnain atto di saluto; ma non lo riconobbe. Il palazzo levavasi d'innanzi aluiampio come una reggia; le vetrate del primo piano brillavano di riflessiviolacei; su la sommità indugiava un bagliore fievole; dal vestibolo uscivaun'altra carrozza chiusa. " Sepotessi vederla! " egli pensòsoffermandosi. Rallentava il passoperprolungare l'incertezza e la speranza. Ella gli pareva assai lontanaquasiperdutain quell'edificio così vasto. Lacarrozza si fermò; e un signore mise il capo fuori dello sportellochiamando:- Andrea! Erail duca di Grimitiun parente. - Vaidalla Scerni? - chiese colui con un sorriso fine. -Sì- rispose Andrea - a prendere notizie. Tu saiè malata. -Lo so. Vengo di là. Sta meglio. -Riceve? - Meno. Ma potrà forsericever te. E il Grimiti si mise aridere maliziosamentetra il fumo della sua sigaretta. -Non capisco - fece Andreaserio. -Bada; si dice già che tu sia in favore. L'ho saputo ierserain casaPallavicini; da una tua amica: te lo giuro. Andreafece un atto d'impazienza e si voltò per andarsene. -Bonne chance! - gli gridò il duca. Andreaentrò sotto il portico. In fondo a luila vanità godeva di quella diceriagià sorta. Egli ora si sentiva più sicuropiù leggeroquasi lietopienod'un intimo compiacimento. Le parole del Grimiti gli avevano d'un trattosollevato gli spiriticome un sorso d'un liquor cordiale. Mentre saliva lescalegli cresceva la speranza. Giunto avanti alla portaaspettò percontenere l'ansia. Suonò. Il servo loriconobbe; e disse sùbito: - Se ilsignor conte ha la bontà d'attendere un momentovado ad avvertire Madamoiselle.Egli assentì; e si mise a passeggiare su egiù per la vasta anticamera ove gli pareva ripercuotersi forte il tumulto delsuo sangue. Le lanterne di ferro battuto illuminavano inegualmente il cuoiodelle paretile cassapanche scolpitei busti antichi su' piedistalli dibroccatello. Sotto un baldacchino splendeva di ricami l'impresa ducale; unliocorno d'oro in campo rosso. In mezzo a un tavoloun piatto di bronzo eracolmo di biglietti; egittandovi gli occhi sopraAndrea vide quello recentedel Grimiti. " Bonne chance! " Gli risonava ancor negli orecchil'augurio ironico. Madamoiselleapparvedicendo: - La duchessa sta unpoco meglio. Credo che il conte potrà passareun momento. Vengadi graziacon me. Ella era una donna digioventù già sfioritapiuttosto sottilevestita di nerocon due occhi grigiche scintillavano singolarmente tra i falsi ricci biondicci. Aveva il passo e ilgesto lievissimiquasi furtivicome di chi abbia la consuetudine di vivereintorno agli infermi o di attendere ad uffici delicati o di eseguire ordini disegretezza. - Vengasignor conte.Ella precedeva Andrealungo le stanze appenarischiaratesu i tappeti folti che attenuavano ogni rumore; e il giovinepurnell'irrefrenabile tumulto del suo spiritoprovava contro di lei un sensoistintivo di repulsionesenza sapere perché. Giuntainnanzi a una porta che coprivano due bande di tappezzeria medìcea orlate divelluto rossoella si fermòdicendo: -Entro prima ioad annunziarla. Attenda qui. Unavoce di dentrola voce di Elenachiamò: -Cristina! Andrea si sentì tremar levene con tal furia a quel suono inaspettatoche pensò: " Eccoora vengomeno. " Aveva come l'antiveggenza indistinta d'una qualche felicitàsoprannaturalesuperante la sua aspettazioneavanzante i suoi sognisoverchiante le sue forze. - Ella era làoltre quella soglia. - Ogno nozionedella realità fuggiva dal suo spirito. Gli pareva d'averun tempopittoricamente o poeticamente imaginata una simile avventura d'amorein quellostesso modocon quello stesso apparatocon quello stesso fondocon quellostesso mistero; e un altroun suo personaggio imaginarion'era l'eroe.Oraper uno strano fenomeno fantasticoquella ideal finzione d'arteconfondevasi col caso reale; ed egli provava un senso inesprimibile dismarrimento. - Ciascuna banda di arazzo recava una figura simbolica. Il Silenzioe il Sonnodue efebisvelti e lunghi quali avrebbe potuto disegnarli ilPrimaticcio bolognesecustodivano la porta. Ed egliegli proprioeravid'innanziin attesa; ed oltre la sogliaforse nel lettorespirava la divinaamante. - Egli credeva udire il respiro di lei nel palpito delle sue arterie.Madamoiselleuscìalfine. Tenendo sollevato con la mano il grave tessutodisse a vocebassacon un sorriso: - Può entrare.E si ritrasse. Andrea entrò. Ebbeda primal'impressione d'un'aria assai caldaquasi soffocante: sentìnell'aria l'odor singolare del cloroformio; scorse qualche cosa di rossonell'ombrail damasco rosso delle paretii cortinaggi del letto; udì la vocestanca di Elenache mormorava: - ViringrazioAndread'esser venuto. Sto meglio. Unpoco esitandopoiché non vedeva distintamente le cose a quel lume fievoles'avanzò fino al letto. Ellasorridevacol capo affondato su i guancialisupinanella mezz'ombra. Una zonadi lana bianca le fasciava la fronte e le gotepassando di sotto al mentocomeun soggólo monacale; né la pelle del volto era men bianca di quella fascia.Gli angoli esterni delle palpebre si restringevano per la contrazion dolorosadei nervi infiammati; a intervalli la palpebra inferiore aveva un piccolotremolio involontario; e l'occhio era umidoinfinitamente soavecome velato dauna lacrima che non potesse sgorgarequasi implorantefra i cigli chetrepidavano. Una immensa tenerezzainvase il cuore del giovinequando la vide da presso. Elena trasse fuori unamano e gliela tesecon un gesto assai lento. Egli si chinòquasi in ginocchiocontro la proda del letto; e si mise a coprir di baci rapidi e leggeri quellamano che ardevaquel polso che batteva forte. -Elena! Elena! Mio amore! Elena avevachiuso gli occhicome per gustare più intimamente il rivo di piacere che lesaliva dal braccio e le si effondeva a sommo del petto e le s'insinuava nellefibre più segrete. Volgeva la manosotto la bocca di luiper sentire i bacisu la palmasul dossotra le ditaintorno intorno al polsosu tutte le venein tutti i pori. - Basta! - mormoròriaprendo gli occhi; e con la mano che le parve un po' intorpidita sfiorò icapelli d'Andrea. In quella carezzacosì tenue era tanto abbandono che fu su l'anima di lui la foglia di rosa sulcalice colmo. La passione traboccò. Gli tremavano le labbrasotto l'ondaconfusa di parole ch'egli non conoscevach'egli non profferiva. Aveva lasensazione violenta e divina come d'una vita che si dilatasse oltre le suemembra. - Che dolcezza! E' vero? -disse Elenasommessaripetendo quel gesto blando. E un brivido visibile lecorse la personaa traverso le coperte pesanti. PoichéAndrea fece l'atto di prenderle di nuovo la manoella pregava... -No... Cosìresta così! Mi piaci! Premendoglila tempialo costrinse a posare il capo su la spondaper modo ch'egli sentivacontro una guancia la forma del ginocchio di lei. Lo guardò quindi ella unpocopur sempre accarezzandogli i capelli; e con una voce morente di deliziamentre le passava tra' cigli qualche cosa come un baleno biancosoggiunseallungando le parole: - Quanto mipiaci! Un inesprimibile allettamentovoluttuoso era nell'apertura delle sue labbraquando pronunziava la primasillaba di quel verbo così liquido e sensuale in bocca a una donna. -Ancóra! - mormorò l'amantei cui sensi languivano di passionealla carezzadelle ditaalla lusinga della voce di lei. - Ancóra! Dimmi! Parla! -Mi piaci! - ripeteva Elenavedendo ch'egli la guardava fiso nelle labbra eforse conoscendo il fascino ch'ella emanava con quella parola. Poitacquero ambedue. L'uno sentiva la presenza dell'altra fluire e mescersi nel suosanguefinché questo divenne la vita di lei e il sangue di lei la vita sua. Unsilenzio profondo ingrandiva la stanza; il crocifisso di Guido Reni facevareligiosa l'ombra dei cortinaggi; il romore dell'Urbe giungeva come il murmured'un flutto assai lontano. Alloraconun movimento repentinoElena si sollevò sul lettostrinse fra le due palme ilcapo del giovinel'attirògli alitò sul volto il suo desideriolo baciòricaddegli si offerse. Dopounaimmensa tristezza la invase; la occupò l'oscura tristezza che è in fondo atutte le felicità umanecome alla foce di tutti i fiumi è l'acqua amara.Ellagiacendoteneva le braccia fuori dalla coperta abbandonate lungo ifianchile mani supinequasi morteagitate di tratto in tratto da un lievesussulto; e guardava Andreacon gli occhi bene aperticon uno sguardocontinuoimmobileintollerabile. A una a unale lacrime incominciarono asgorgare; e scendevano per le gote a una a unasilenziosamente. -Elenache hai! Dimmi: che hai? - le chiese l'amanteprendendole i polsichinandosi a suggerle dai cigli le lacrime. Ellastringeva forte i denti e le labbra per contenere il singulto. -Nulla. Addio. Lasciami; ti prego! Mi vedrai domani. Va. Lasua voce e il suo gesto furono così supplichevoli che Andrea obbedì. -Addio - egli disse; e la baciò in boccateneramenteprovando il sapore dellestille salsebagnandosi di quel caldo pianto. - Addio. Amami! Ricòrdati!Gli parverivarcando la sogliadi udiredietro di sé uno scoppio di singulti. Andò innanziun po' incertotitubantecome un uomo che abbia la vista malsicura. Gli persisteva nel senso l'odore delcloroformiosimile a un vapor d'ebrezza; ma ad ogni passo qualche cosa d'intimogli sfuggivasi disperdeva nella'aria; ed egliper un istintivo impulsoavrebbe voluto restringersichiudersiinvilupparsiimpedire quelladispersione. Le stanze erano deserte e muted'innanzi. A una portaMadamoisellecomparvesenza alcun rumore di passisenza alcun fruscìo di vesticome unfantasma. - Di quasignor conte. Ellanon ritrova la via. Sorrideva in unamaniera ambigua e irritante; e la curiosità rendeva più pungenti i suoi occhigrigi. Andrea non parlò. Di nuovo la presenza di quella donna gli era molestalo turbavagli suscitava quasi un vago ribrezzogli faceva ira. Appenafu sotto il porticorespirò come un uomo liberato da un'angoscia. La fontanametteva tra gli alberi un chioccolìo sommessorompendo a tratti in unostrepito sonoro; tutto il cielo risfavillava di stelle che certe nuvole lacereavvolgevano come in lunghe capigliature cineree o in vaste reti nere; fra icolossi di pietraa traverso i cancelliapparivano e sparivano i fanali dellevetture in corsa; spandevasi nell'aria fredda il soffio della vita urbana; lecampane sonavanoda lungi e da presso. Egli aveva alfine la conscienza interadella sua felicità. Una felicitàpienaobliosaliberasempre novellatenne ambeduedopo d'allora. Lapassione li avvolsee li fece incuranti di tutto ciò che per ambedue non fosseun godimento immediato. Ambeduemirabilmente formati nello spirito e nel corpoall'esercizio di tutti i più alti e più rari dilettiricercavano senza treguail Sommol'Insuperabilel'Inarrivabile; e giungevano così oltreche talvoltauna oscura inquietudine li prendeva pur nel colmo dell'oblioquasi una voced'ammonimento salisse dal fondo dell'essere loro ad avvertirli d'un ignotocastigod'un termine prossimo. Dalla stanchezza medesima il desiderio risorgevapiù sottilepiù temerariopiù imprudente; come più s'inebriavanolachimera del loro cuore ingigantivas'agitavagenerava nuovi sogni; parevanonon trovar riposo che nello sforzocome la fiamma non trova la vita che nellacombustione. Talvoltauna fonte di piacere inopinata aprivasi dentro di lorocome balza d'un tratto una polla viva sotto le calcagna d'un uomo che vada allaventura per l'intrico d'un bosco; ed essi vi bevevano senza misurafinché nonl'avevano esausta. Talvoltal'animasotto l'influsso dei desideriiper unsingolar fenomeno d'allucinazioneproduceva l'imagine ingannevole d'unaesistenza più largapiù liberapiù forte" oltrapiacere "; edessi vi s'immergevanovi godevanovi respiravano come in una loro atmosferanatale. Le finezze e le delicatezze del sentimento e dell'imaginazionesuccedevano agli eccessi della sensualità. Ambeduenon avevano alcun ritegno alle mutue prodigalità della carne e dello spirito.Provavano una gioia indicibile a lacerare tutti i velia palesare tutti isegretia violare tutti i misteria possedersi fin nel profondoa penetrarsia mescolarsia comporre un essere solo. -Che strano amore! - diceva Elenaricordando i primissimi giorniil suo malela rapida dedizione. - Mi sarei data a te la sera stessa ch'io ti vidi. Ellane provava una specie d'orgoglio. E l'amante diceva: -Quando udiiquella seraannunziare il mio nome accanto al tuosu la sogliaebbinon so perchéla certezza che la mia vita era legata alla tuapersempre! Essi credevano quel chedicevano. Rilessero insiema l'elegia romana del Goethe: " Lass dichGeliebtenicht reundass du mir so schnell dich ergeben!... Non tipentireo dilettad'esserti così prontamente concessa! Credimiio di te nonserbo alcun pensiero basso e impuro. Gli strali d'Amore han vario effetto: gliuni graffiano appenae del tossico che s'insinua il suo cuor soffre molt'anni;bene pennuti e armati d'un ferro aguzzo e vivogli altri penetrano nel midolloe subitamente infiammano il sangue. Ai tempi eroiciquando gli dei e le deeamavanoil desio seguiva lo sguardoil godimento seguiva il desio. Credi tuche la dea dell'Amore abbia a lungo meditato quando sotto i boschetti d'IdaAnchise un giorno le piacque? E la Luna? S'ella esitaval'Aurora gelosa avrebbepresto risvegliato il bel pastore! Ero vede Leandro in piena festae l'accesoamante si tuffa nell'onda notturna. Rea Silvala vergine regiava ad attingereacqua nel Tevere e la ghermisce il dio... " Comeper il divino elegiopèo di Faustinaper essi Roma s'illuminava d'una vocenovella. Ovunque passavanolasciavano una memoria d'amore. Le chiese remotedell'Aventino: Santa Sabina su le belle colonne di marmo parioil gentilverziere di Santa Maria del Prioratoil campanile di Santa Maria in Cosmedinsimile a un vivo stelo roseo nell'azzurroconoscevano il loro amore. Le villedei cardinali e dei principi: la Villa Pamphilyche si rimira nelle sue fonti enel suo lago tutta graziata e molleove ogni boschetto par chiuda un nobileidillio ed ove i baluardi lapidei e i fusti arborei gareggian di frequenza; laVilla Albanifredda e muta come un chiostroselva di marmi effigiati e museodi bussi centenariiove dai vestibili e dai porticiper mezzo alle colonne digranitole cariatidi e le ermesimboli d'immobilitàcontemplano l'immutabilesimetria del verde; e la Villa Medici che pare una foresta di smeraldoramificante in una luce soprannaturale; e la Villa Ludovisiun po' selvaggiaprofumata di violeconsacrata dalla presenza della Giunone cui Wolfgang adoròove in quel tempo i platani d'Oriente e i cipressi dell'Aurorache parveroimmortalirabbrividivano nel presentimento del mercato e della morte; tutte leville gentiliziesovrana gloria di Romaconoscevano il loro amore. Le galleriedei quadri e delle statue: la sala borghesiana delle Danae d'innanzi a cui Elenasorrideva quasi rivelatae la sala degli specchi ove l'imagine di lei passavatra i putti di Ciro Ferri e le ghirlande di Mario de' Fiori; la cameradell'Eliodoroprodigiosamente animata della più forte palpitazion di vita cheil Sanzio abbia saputo infondere nell'inerzia d'una paretee l'appartamento deiBorgiaove la grande fantasia del Pinturicchio si svolge in un miracolosotessuto d'istoriedi favoledi sognidi capriccidi artifizi e di ardiri; lastanza di Galateaper ove si diffonde non so che pura freschezza e cheserenità inestinguibile di lucee il gabinetto dell'Ermafroditoove lostupendo mostronato dalla voluttà d'una ninfa e d'un semidiostende la suaforma ambigua tra il rifulgere delle pietre fini; tutte le solitarie sedi dellaBellezza conoscevano il loro amore. Essicomprendevano l'alto grido del poeta: " Eine Welt zwar bist Duo Rom!Tu sei un mondoo Roma! Ma senza l'amore il mondo non sarebbe il mondoRomastessa non sarebbe Roma. " E la scala della Trinitàglorificata dallalenta ascensione del Giornoera la scala della Felicitàper l'ascensionedella bellissima Elena Muti. Elenaspesso piacevasi di salire per quei gradini al buen retiro del palazzoZuccari. Saliva pianoseguendo l'ombra; ma l'anima sua correva rapida allacima. Ben molte ore gaudiose misurò il piccolo teschio d'avorio dedicato adIppolitache Elena talvolta accostava all'orecchio con un gesto infantilementre premeva l'altra guancia sul petto dell'amanteper ascoltare insieme lafuga degli attimi e il battito del cuore. Andrea le pareva sempre nuovo.Talvoltaella rimaneva quasi attonita d'innanzi all'infaticabile vitalità diquello spirito e di quel corpo. Talvoltale carezze di lui le strappavano ungrido in cui esalavasi tutto il terribile spasimo dell'essere sopraffatto dallaviolenza della sensazione. Talvoltafra le braccia di luila occupava unaspecie di torpore quasi direi veggentein cui ella credeva divenireper latransfusione d'un'altra vitauna creatura diafanaleggerafluidapenetratad'un elemento immaterialepurissima; mentre tutte le pulsazioni nella lormoltitudine le davano imagine del tremito innumerevole d'un mar calmo in estate.Anchetalvoltafra le bracciasul petto di luidopo le carezzeella sentivadentro di sé la voluttà acquietarsiagguagliarsiaddormentarsiasimilitudine di un'acqua estuante che a poco a poco si posi; ma se l'amatorespirava più forte o appena appena si muovevaella sentiva di nuovo un'ondaineffabile attraversarla dal capo a' piedivibrare diminuendoe infine morire.Questa " spiritualizzazione " del gaudio carnalecausata dallaperfetta affinità dei due corpiera forse il più saliente tra i fenomenidella loro passione. Elenatalvoltaaveva lacrime più dolci dei baci. Enei baciche dolcezza profonda! Ci sono bocche di donne le quali paionoaccendere d'amore il respiro che le apre. Le invermigli un sangue ricco piùd'una porpora o le geli un pallor d'agoniale illumini la bontà d'un consensoo le oscuri un'ombra di disdegnole dischiuda il piacera o le torca lasofferenzaportano sempre in loro un enigma che turba gli uomini intellettualie li attira e li captiva. Un'assidua discordia tra l'espression delle labbra equella degli occhi genera il mistero; per che un'anima duplice vi si riveli condiversa bellezzalieta e tristegelida e passionatacrudele e misericordeumile e orgogliosaridente e irridente; e l'ambiguità suscita l'inquietudinenello spirito che si compiace delle cose oscure. Due quattrocentisti meditativiperseguitori infaticabili d'un Ideale raro e supernopsicologi acutissimi a cuisi debbon forse le più sottili analisi della fisionomia umanaimmersi dicontinuo nello studio e nella ricerca delle difficoltà più ardue e de' segretipiù occultiil Botticelli e il Vincicompresero e resero per vario modonell'arte loro tutta l'indefinibile seduzione di tali bocche. Ne'baci d'Elena erain veritàper l'amatol'elisir sublimissimo. Di tutte lemescolanze carnali quella pareva loro la più completala più appagante.Credevanotalvoltache il vivo fiore delle loro anime si disfacesse premutodalle labbraspargendo un succo di delizie per ogni vena insino al cuore; etalvoltaavevano al cuore la sensazione illusoria come d'un frutto molle eroscido che vi si sciogliesse. Tanto era la congiunzion perfettache l'unaforma sembrava il natural complemento dell'altra. Per prolungare il sorsocontenevano il respiro finché non si sentivan morire d'ambasciamentre le manidell'una tremavan su le tempie dell'altro smarritamenta. Un bacio li prostravapiù d'un amplesso. Distaccatisi guardavanocon gli occhi fluttuanti in unanebbia torbida. Ed ella dicevacon voce un po' rocasenza sorridere:-Moriremo. Talvoltariversoeglichiudeva le palpebre aspettando. Ellache conosceva quell'artifiziochinavasisopra di lui con meditata lentezzaa baciarlo. Non sapeva l'amato dove avrebbericevuto quel bacio ch'eglinella sua volontaria cecitàvagamente presentiva.In quel minuto d'aspettazione e d'incertezzaun'ansia indescrivibile gliagitava tutte le membrasimile nell'intensità al raccapriccio d'un uomobendato che sia sotto la minaccia d'un suggello di fuoco. Quando infine lelabbra lo toccavanofrenava a stento un grido. E la tortura di quel minuto glipiaceva; poiché non di rado la sofferenza fisica nell'amore attrae più dellablandizia. Elena ancheper quel singolare spirito imitativo che spinge gliamanti a rendere esattamente una carezzavoleva provare. -Mi sembra - diceva ad occhi chiusi - che tutti i pori della mia pelle sieno comeun milione di piccole bocche anelanti alla tuaspasimanti per essere eletteinvidiose l'una dell'altra... Eglialloraper equitàsi metteva a coprirla di baci rapidi e fittitrascorrendotutto il bel corponon lasciando intatto alcun minimo spazionon allentando lasua opera mai. Ella ridevafelicesentendosi cingere come d'una vesteinvisibile; rideva e gemevafollesentendo la furia di lui imperversare;rideva e piangevaperdutanon potendo più reggere al divorante ardore. Poicon uno sforzo repentinofaceva prigione il collo di lui fra le sue braccial'allacciava con i suoi capellilo tenevatutto palpitantesimile a unapreda. Eglistancoera contento di cedere e di rimaner così presto in queivincoli. Guardandoloella esclamava: -Come sei giovine! Come sei giovine! Lagiovinezza in luicontro tutte le corruzionicontro tutte le dispersioniresistevapersistevaa somiglianza d'un metallo inalterabiled'un aromaindistruttibile. Lo splendor sincero della giovinezza eraappuntola qualitàsua più preziosa. Alla gran fiamma della passionequanto in lui era piùfalsopiù tristopiù arteficiatopiù vanosi consumava come un rogo. Dopola resoluzion delle forzeprodotta dall'abuso dell'analisi a dall'azion separatadi tutte le sfere interioriegli tornava ora all'unità delle forzedell'azionedella vita; riconquistava la confidenza e la spontaneità; amava egodeva giovenilmente. Certi suoi abbandoni parevano d'un fanciulloinconsapevole; certe sue fantasie erano piene di graziadi freschezza e diardire. - Qualche volta - gli dicevaElena - la mia tenerezza per te si fa più delicata di quella d'un amante. Ionon so... Diventa quasi materna. Andrearidevaperché ella era maggiore appena di tre anni. -Qualche volta - egli diceva a lei - la comunione del mio spirito col tuo mi parcosì casta ch'io ti chiamerei sorellabaciandoti le mani. Questefallaci purificazioni ed elevazioni del sentimento avvenivano sempre neilanguidi intervalli del piacerequando sul riposo della carne l'anima provavaun bisogno vago d'idealità. Alloraancherisorgevano nel giovine le idealitàdell'arte ch'egli amava; e gli tumultuavano nell'intelletto tutte le forme untempo create e contemplatechiedendo di uscire; e le parole del monologogoethiano l'incitavano. " Che può sotto i tuoi occhi l'accesa natura? Chepuò la forma dell'arte intorno a tese la passionata forza creatrice nont'empie l'anima e non affluisce alla punta delle tue ditaincessantementeperriprodurre? " Il pensiero di dar gioia all'amantecon un verso numeroso ocon una linea nobilelo spinse all'opera. Egli scrisse La Simona; e fecele due acquefortidello Zodiaco e della Tazza d'Alessandro.Eleggevanell'esercizio dell'arteglistrumenti difficiliesattiperfettiincorruttibili: la metrica e l'incisione;e intendeva proseguire e rinnovare le forme tradizionali italianeconseveritàriallacciandosi ai poeti dello stil novo e ai pittori cheprecorrono il Rinascimento. Il suo spirito era essenzialmente formale.Più che il pensieroamava l'espressione. I suoi saggi letterarii eranoeserciziigiuochistudiiricercheesperimenti tecnicicuriosità. Eglipensavacon Enrico Tainefosse più difficile compor sei versi belli chevincere una battaglia in campo. La sua Favola d'Ermafrodito imitava nellastruttura la Favola di Orfeo del Poliziano; ed aveva strofe distraordinaria squisitezzapotenza e musicalità specialmente nei cori cantatida mostri di duplice natura: dai Centauridalle Sirene e dalle Sfingi. Questasua nuova tragediaLa Simonadi breve misuraaveva un saporsingolarissimo. Sebbene rimata negli antichi modi toscanipareva imaginata daun poeta inglese del secolo scorso d'Elisabettasopra una novella del Decamerone;chiudeva in sè qualche parte del dolce e strano incanto che c'è in certidrammi minori di Guglielmo Shakespeare. Ilpoeta segnò così la sua operanel frontespizio dell'Esemplare Unico: A. S.CALCOGRAPHUS AQUA FORTI SIBI TIBI FECIT. Ilrame l'attraeva più della carta; l'acido nitricopiù dell'inchiostro; ilbulinopiù della penna. Già uno de' suoi maggioriGiusto Sperelliavevaesperimentata l'incisione. Alcune stampe di luieseguite intorno l'anno 1520rivelavano manifestamente l'influenza di Antonio Pollajuoloper la profonditàe quasi direi acerbità del segno. Andrea praticava la maniera rembrandtesca atratti liberi e la maniera nera prediletta dagli acquafortistiinglesi della scuola del Greendel Dixondell'Earlom. Egli aveva formata lasua educazione su tutti gli esemplariaveva studiata partitamente la ricerca diciascuno intagliatoreaveva imparato da Alberto Durero e dal ParmigianodaMarc'Antonio e dall'Holbeinda Annibale Caracci e dal Marc-Ardellda Guido edal Callottadal Toschi e da Gerardo Audran; ma l'intendimento suod'innanzial rameera questo: rischiarare con gli effetti di luce del Rembrandt leeleganze di disegno de' Quattrocentisti fiorentini appartenenti alla secondagenerazione come Sandro BotticelliDomenico Ghirlandajo e Filippino Lippi.I due rami recenti rappresentavanoin dueepisodii d'amoredue attitudini della bellezza d'Elena Muti; e prendevano iltitolo dagli accessorii. Tra le cosepiù preziose possedute da Andrea Sperelli era una coperta di seta finad'uncolore azzurro disfattointorno a cui giravano i dodici segni dello Zodiaco inricamocon le denominazioni AriesTaurusGeminiCancerLeoVirgoLibraScorpiusArcitenensCaperAmphoraPisces a caratteri gotici. IlSole trapunto d'oro occupava il centro del cerchio; le figure degli animalidisegnate con uno stile un po' arcaico che ricordava quello de' musaiciavevauno splendore straordinario; tutta quanta la stoffa pareva degna d'ammantare untalamo imperiale. Essainfattiproveniva dal corredo di Bianca Maria Sforzanipote di Ludovico il Moro; la quale andò in sposa all'imperator Massimiliano.La nudità di Elena non potevain veritàavere una più ricca ammantatura. Talvoltamentre Andrea stava nell'altrastanzaella si svestiva in furiasi distendeva nel lettosotto la copertamirabile; e chiamava forte l'amante. Ed a lui che accorreva ella dava imagined'una divinità avvolta in una zona di firmamento. Anchetalvoltavolendoandare innanzi al caminoella levavasi dal letto traendo seco la coperta.Freddolosasi stringeva addosso la setacon ambo le braccia; e camminava apiedi nudicon passi breviper non implicarsi nelle pieghe abbondanti. Il Solesplendevale su la schienaa traverso i capelli disciolti; lo Scorpione leprendeva una mammella; un gran lembo zodiacale strisciava dietro di leisultappetotrasportando le roses'ella le aveva già sparse. L'acquaforterappresentava appunto Elena dormente sotto i segni celesti. La forma muliebreappariva secondata dalle pieghe della stoffacol capo abbandonato un poco fuordella proda del lettocon i capelli pioventi fino a terracon un bracciopendulo e l'altro posato lungo il fianco. Le parti non nascosteossia lafacciail sommo del petto e le braccia erano luminosissime; e il bulino avevareso con molta potenza lo scintillio dei ricami nella mezz'ombra e il misterodei simboli. Un alto levriere biancoFamulusfratel di quello che posala testa su le ginocchia della contessa d'Arundel nel quadro di Pietro PaoloRubenstendeva il collo verso la signoraguatandofermo su le quattro zampedisegnato con una felice arditezza di scorcio. Il fondo della stanza eraopulento e oscuro. L'altra acquaforteriferivasi al gran bacino d'argento che Elena Muti aveva ereditato da sua ziaFlaminia. Questo bacino era storico: esi chiamava la Tazza d'Alessandro. Fu donato alla principessa di Bisenti daCesare Borgia prima ch'ei partisse per la terra di Francia a portare la bolla didivorzio e le dispense di matrimonio a Luigi XII; e doveva esser compreso fra lesalmerie favolose che il Valentino portò seco nel suo ingresso a Chinondescritto dal signor di Brantôme. Il disegno delle figure che giravano a tornoe di quelle che sorgevano dal margine delle due estremità era attribuito alSanzio. La tazza si chiamava diAlessandro perché fu composta in memoria di quella prodigiosa a cui nei vasticonviti soleva prodigiosamente bere il Macedone. Stuoli di Sagittarii giravanointorno ai fianchi del vasocon tesi gli architumultuandonelle attitudinimirabili di quelli i quali Raffaello dipinse ignudi saettanti contro l'Erma nelfresco che sta nella sala borghesiana ornata da Giovan Francesco Bolognesi.Inseguivano una gran Chimera che sorgeva su dall'orlocome un'ansaallaestremità del vasomentre dalla parte opposta balzava il giovine sagittarioBellerofonte con l'arco teso contro il mostro nato di Tifone. Gli ornamentidella base e dell'orlo erano d'una rara leggiadria. L'interno era doratocomequel d'un ciborio. Il metallo era sonoro come uno strumento. Il peso era ditrecento libbre. La forma tutta quanta era armoniosa. Spessoper capriccioElena Muti prendeva in quella tazza il suo bagno mattutino. Ellavi si poteva bene immergerese non distenderecon tutta la persona; e nullain veritàeguagliava la suprema grazia di quel corpo raccolto nell'acqua chela doratura tingeva d'un indescrivibile tenuità di riflessipoiché il metallonon era argento ancóra e l'oro moriva. Invaghitodi tre forme diversamente eleganticioè della donnadella tazzae delveltrol'acquafortista trovò una composizion di linee bellissima. La donnaignudain piedientro il bacinoappoggiandosi con una mano su la sporgenzadella Chimera e con l'altra su quella di Bellerofonteprotendevasi innanzi adirridere il cane chepiegato in arco su le zampe anteriori abbassate e su leposteriori dirittea simiglianza di un felino quando spicca il saltoergevaverso di lei il muso lungo e sottile come quel d'un luccioargutamente. Nonmai Andrea Sperelli aveva con più ardore goduta e sofferta l'intenta ansietàdell'artefice in vigilare l'azion dell'acido cieca e irreparabile; non mai avevacon più ardore acuita la pazienza nella sottilissima opera della punta secca sule asprezze dei passaggi. Egli era natoin veritàcalcografocomeLuca d'Olanda. Possedeva una scienza mirabile (ch'era forse un raro senso) ditutte le minime particolarità di tempo e di grado le quali concorrono ainfinitamente variare sul rame l'efficacia dell'acqua forte. Non la praticanonla diligenzanon la intelligenza soltantoma specie quel natio senso quasiinfallibile l'avvertiva del momento giustodell'attimo puntualein cui lacorrosione giungeva a dare tal preciso valor d'ombra che nell'intenziondell'artefice doveva avere la stampa. E nel padroneggiar così spiritualmentequell'energia bruta e quasi direi nell'infonderle uno spirito d'arte e nelsentir non so che occulta rispondenza di misura tra il battere del polso e ilprogressivo mordere dell'acidoera il suo inebriante orgogliola suatormentosa gioia. Pareva ad Elenaesser deificata dall'amantecome l'Isotta riminese nelle indistruttibilimedaglie che Sigismondo Malatesta fece coniare in gloria di lei. Maellane' giorni appunto in cui Andrea attendeva all'operadiveniva triste etaciturna e sospirosaquasi l'occupasse un'interna angoscia. Avevad'improvvisoeffusioni di tenerezza così struggentimiste di lacrime e disinghiozzi mal frenatiche il giovine rimaneva attonitoin sospettosenzacomprendere. Una seratornavano acavallodall'Abentinogiù per la via di Santa Sabinaavendo ancóra negliocchi la gran visione dei palazzi imperiali incendiati dal tramontorossi difiamma tra i cipressi nerastri che penetrava una polvere d'oro. Cavalcavano insilenziopoiché la tristezza di Elena erasi comunicata all'amante. D'innanzi aSanta Sabinaquesti fermò il baiodicendo: -Ti ricordi? Alcune gallinechebeccavano il pace tra i ciuffi d'erbasi dispersero ai latrati di Famulus.Lo spiazzoinvaso dalle gramigneera tranquillo e modesto come il sagrato d'unvillaggio; ma i muri avevano quella luminosità singolare che riflettesi dagliedifizi di Roma " nell'ora di Tiziano " Elenaanche sostò. - Come pare lontanoquel giorno! - dissecon un po' di tremito nella voce. Infattiquella memoria si perdeva nel tempo indefinitamentequasi che il loro amoredurasse da molti mesida molti anni. Le parole di Elena avevano suscitatonell'animo di Andrea la strana illusione einsiemeuna inquietudine. Elena simise a ricordare tutte le particolarità di quella visitafatta in unpomeriggio di gennaiosotto un sole primaverile. Si diffondeva nelle minuzieinsistendo; e di tratto in tratto interrompevasi come chi seguaoltre le sueparoleun pensiero non espresso. Andrea credé sentire nella voce di lei ilrimpianto. - Che rimpiangeva ella mai? Il loro amore non vedeva d'innanzi a ségiorni anche più dolci? La primavera non teneva già Roma? - Egliperplessoquasi non l'ascoltava più. I cavalli scendevanoal passol'uno a fiancodell'altrotalvolta respirando forte dalle froge o accostando i musi come perconfidarsi un secreto. Famulus andava su e giùin perpetua corsa.- Ti ricordi - seguitava Elena - ti ricordidi quel frate che ci venne ad aprirequando sonammo la campanella? -Sìsì... - Come ci guardòstupefatto! Era piccolo piccolosenza barbatutto rugoso. Ci lasciò solinell'atrioper andare a prendere le chiavi della chiesa; e tu mi baciasti. Tiricordi? - Sì. -E tutti quei barilinell'atrio! E quell'odore di vinomentre il frate cispiegava le storie intagliate nella porta di cipresso! E poila Madonna delRosario! Ti ricordi? La spiegazione ti fece ridere; e io sentendoti riderenon potei frenarmi; e ridemmo tanto innanzi a quel poveretto che si confuse enon aprì più bocca neanche all'ultimo per dirti grazie... Dopoun intervalloella riprese: - E aSant'Alessioquando tu non volevi lasciarmi vedere la cupola pel buco dellaserratura! Come ridemmoanche là! Tacquedi nuovo. Veniva su per la strada una compagnia d'uomini con una baraseguitatada una carrozza publicapiena di parenti che piangevano. Il morto andava alcimitero degli Israeliti. Era un funerale muto e freddo. Tutti quegli uominidal naso adunco e dagli occhi rapacisi somigliavano tra loro comeconsanguinei. Affinché la compagniapassassei due cavalli si diviseroprendendo ciascuno un latorasente ilmuro; e gli amanti si guardaronoal di sopra del mortosentendosi crescere latristezza. Quando si riaccostaronoAndrea domandò: - Ma tu che hai? Ache pensi? Ella esitòprima dirispondere. Teneva gli occhi abbassati sul collo dell'animaleaccarezzandolocol pomo del frustinoirresoluta e pallida. -A che pensi? - ripeté il giovine. -Ebbenete lo dirò. Io parto mercoledìnon so per quanto tempo; forse permoltoper sempre; non so... Quest'amore si rompeper colpa mia; ma non michiedere comenon mi chiedere perchénon mi chiedere nulla: ti prego! Nonpotrei risponderti. Andrea la guardòquasi incredulo. La cosa gli pareva così impossibile che non gli fece dolore.- Tu dici per gioco; è vero Elena? Ellascosse la testanegandopoiché le si era chiusa la gola; e subitamente spinseal trotto il cavallo. Dietro di lorole campane di Santa Sabina e di SantaPrisca cominciarono a suonarenel crepuscolo. Essi trottavano in silenziosuscitando gli echi sotto gli archisotto i templinelle ruine solitarie evacue. Lasciarono a sinistra San Giorgio in Velabro che aveva ancóra unbagliore vermiglio su i mattoni del campanilecome nel giorno della felicità.Costeggiarono il Fòro romanoil Fòro di Nervagià occupati da un'ombraazzurrognolasimile a quella de' ghiacciai nella notte. Si fermarono all'Arcodei Pantanidove li attendevano gli staffieri e le carrozze. Appenafuor di sellaElena tese la mano ad Andreaevitando di guardarlo negli occhi.Pareva ch'ella avesse gran fretta di allontanarsi. -Ebbene? - le chiese Andreaaiutandola a montar nel legno. -A domani. Staserano.

Libro primo - 5

 

Il commiato su la via Nomentanaqell'adieu au grand air volutoda Elenanon isciolse alcuno de' dubbi che Andrea aveva nell'animo. -Quali erano mai le cagioni occulte di quella partenza subitanea? - Invanoegli cercava di penetrare il mistero; i dubii l'opprimevano.

Ne' primi giornigli assalti del dolore e del desiderio furono cosìcrudeli ch'egli credeva morirne. La gelosiache dopo le prime appariteerasi dileguata innanzi all'assiduo ardore di Elenarisorgeva in luidestata dalle imaginazioni impure; e il sospetto che un uomo potessenascondersi in quell'oscuro intricogli dava un tormento insopportabile.Talvoltacontro la donna lontanal'invadeva una bassa iraun rancorepien d'amarezzae quasi un bisogno di vendettacome s'ella lo avesseingannato e tradito per abbandonarsi a un altro amante. Anchetalvoltacredeva di non desiderarla piùdi non amarla piùdi non averla maiamata; ed era in lui un fenomeno non nuovo questa cessazion momentanead'un sentimentoquesta specie di sincope spirituale cheper esempioglirendeva completamente estranea in mezzo alla gente la donna diletta e glipermetteva d'assistere a un gaio pranzo un'ora dopo aver bevute le lacrimedi lei. Ma quegli oblii non duravano. La primavera romana fioriva coninaudita letizia: la città di travertino e di mattone sorbiva la lucecome un'avida selva; le fontane papali si levavano in un cielo piùdiafano d'una gemma; la piazza di Spagna odorava come un roseto; e laTrinità de' Montiin cima alla scala popolata di puttipareva un duomod'oro.

Alle incitazioni che gli venivano dalla nuova bellezza di Romaquantoin lui rimaneva del fascino di quella donnanel sangue e nell'animaravvivavasi e raccendevasi. Ed egli era turbatofin nel profondodainvincibili angosceda implacabili tumultida indefinibili languorichesomigliavano un poco quelli della pubertà. Una serain casa Dolcebuonodopo un tèessendo rimasto ultimo nel salone tutto pieno di fiori eancor vibrante d'una Cachoucha del Raffegli parlò d'amore aDonna Bianca; e non se ne pentìné in quella sera né in seguito.

La sua avventura con Elena Muti era ormai notissima comeo prima opoio più o menonella società elegante di Roma e in ogni altrasocietà son note tutte le avventure e tutte le flirtations. Leprecauzioni non valgono. Ciascuno ivi è così buon conoscitore dellamimica eroticache gli basta sorprendere un gesto o un'attitudine o unosguardo per avere un sicuro indiziomentre gli amantio coloro che sonper divenire talinon sospettano. Inoltreci sono in ogni societàalcuni curiosi che fan professione di scoprire e che vanno su le vestigiadegli amori altrui con non minor perseveranza de' segugi in traccia diselvaggina. Essi sono sempre vigili e non paiono; colgono infallibilmenteuna parola mormorataun sorriso tenueun piccolo sussultoun lieverossoreun baleno d'occhi; ne' ballinelle grandi festedove sono piùprobabili le imprudenzegirano di continuosanno insinuarsi nel piùfittocon un'arte straordinariacome nelle moltitudini i borsaiuoli; el'orecchio è teso a rapire un frammento di dialogol'occhio è prontodietro il luccicor della lentea notare una strettauna languidezzaunfremitola pression nervosa d'una mano feminea su la spalla d'undanzatore.

Un terribile segugio eraper esempioDon Filippo del Monteilcommensale della marchesa d'Ateleta. Main veritàElena Muti non sipreoccupava molto delle maldicenze mondane; e in questa sua ultimapassione era giunta a temerità quasi folli. Ella copriva ogni ardimentocon la sua bellezzacol suo lussocol suo alto nome; e passava pursempre inchinataammirataadulataper quella certa molle tolleranza cheè una delle più amabili qualità dell'aristocrazia quirite e che leviene forse appunto dall'abuso della mormorazione.

Or dunque l'avventura avevad'un trattoinalzato Andrea Sperelliinconspetto delle damea un alto grado di potere. Un'aura di favorel'avvolse; e la sua fortunain poco tempodivenne meravigliosa. Unfenomeno assai frequentenelle società moderneè il contagio deldesiderio. Un uomoche sia stato amato da una donna di pregi singolarieccita nelle altre l'imaginazione; e ciascuna arde di possederlopervanità e per curiositàa gara. Il fascino di Don Giovanni è più nellasua fama che nella sua persona. Inoltregiovava allo Sperelli quel certonome ch'egli aveva d'artista misterioso; ed erano rimasti celebri duesonettiscritti nell'albo della principessa di Ferentinone' quali comein un dittico ambiguo egli aveva lodato una bocca diabolica e una boccaangelicaquella che perde le anime e quella che dice Ave. La gentevolgare non imagina quali profondi e nuovi godimenti l'aureola dellagloriaanche pallida o falsaporti all'amore. Un amante oscuroavesseanche la forza di Ercole e la bellezza d'Ippolito e la grazia d'Ilanonmai potrà dare all'amata le delizie che l'artistaforseinconsapevolmenteversa in abondanza negli ambiziosi spiriti feminili.Gran dolcezza dev'essere per la vanità di una donna il poter dire: - Inciascuna lettera ch'egli mi scrive è forse la più pura fiamma del suointelletto a cui mi riscalderò io sola; in ciascuna carezza egli perdeuna parte della sua volontà e della sua forza; e i suoi più alti sognidi gloria cadono nelle pieghe della mia vestene' cerchi che segna il miorespiro!

Andrea Sperelli non esitò un istante d'innanzi alle lusinghe. A quellaspecie di raccoglimentoprodotto in lui dal dominio unico di Elenasuccedeva ora il dissolvimento. Non più tenute dall'ignea fascia che lestringeva ad unitàle sue forze tornavano al primitivo disordine. Nonpotendo più conformarsiadeguarsiassimilarsi a una superior formadominatricel'anima suacamaleonticamutabilefluidavirtuale sitrasformavasi difformavaprendeva tutte le forme. Egli passava dall'unoall'altro amore con incredibile leggerezza; vagheggiava nel tempo medesimodiversi amori; tessevasenza scrupolouna gran trama d'ingannidifinzionidi menzogned'insidieper raccogliere il maggior numero diprede. L'abitudine della falsità gli ottundeva la conscienza. Per lacontinua mancanza della riflessioneegli diveniva a poco a pocoimpenetrabile a sé stessorimaneva fuori del suo mistero. A poco a pocoegli quasi giungeva a non vedere più la sua vita interiorein quellaguisa che l'emisfero esterno della terra non vede il sole pur essendoglilegato indissolubilmente. Sempre vivospietatamente vivoera in lui unistinto: l'istinto del distacco da tutto ciò che l'attraeva senzaavvincerlo. E la volontàdisutile come una spada di cattiva temprapendeva al fianco di un ebro o di un inerte.

Il ricordo di Elena talvoltarisorgendo d'improvvisolo riempiva; edegli o cercava di sottrarsi alle malinconie del rimpianto o piacevasiinvece rivivere nella imaginazione viziata l'eccessività di quella vitaper averne uno stimolo ai nuovi amori. Ripeteva a sé stesso le parole dellied: " Ricorda i giorni spenti! E metti su le labbra della secondabaci soavi quanto quelli che tu davi alla primanon è gran tempo!" Ma già la seconda eragli uscita dall'anima. Egli aveva parlatod'amore a Donna Bianca Dolcebuonoda principio senza quasi pensarciistintivamente attratto forse per virtù di un indefinito riflesso che acolei veniva dall'essere amica di Elena. Forse germogliava il piccolo semedi simpatia che avevan gittato in lui le parole della contessa fiorentinaal pranzo in casa Doria. Chi sa dire per quale misterioso procedere unqualunque contatto spirituale o materiale tra un uomo e una donnaancheinsignificantepuò generare ed alimentare in ambedue un sentimentolatenteinnavvertitoinsospettatoche dopo molto tempo le circostanzefaranno emergere d'un tratto? E' il fenomeno medesimo che noi riscontriamonell'ordine intellettualequando il germe d'un pensiero o l'ombra d'unaimagine si ripresentano d'un trattodopo un lungo intervalloper unosviluppo inconscienteelaborati in imagine compiutain pensierocomplesso. Le medesime leggi governano tutte le attività del nostroessere; e le attività di cui noi siam consapevoli non sono che una partedelle nostre attività.

Donna Bianca Dolcebuono era l'ideal tipo della bellezza fiorentinaquale fu reso dal Ghirlandajo nel ritratto di Giovanna Tornabuonich'èin Santa Maria Novella. Aveva un chiaro volto ovalela fronte larga altae candidala bocca miteil naso un poco rilevatogli occhi di quelcolor tanè oscuro lodato dal Firenzuola. Prediligeva disporre i capellicon abbondanza su le tempiefino a mezzo delle guancealla foggiaantica. Ben le conveniva il cognomepoiché ella portava nella vitamondana una bontà nativauna grande indulgenzauna cortesia per tuttiegualee una parlatura melodiosa. Erainsommauna di quelle donneamabilisenza profondità né di spirito né d'intellettoun pocoindolentiche sembrano nate a vivere in piacevolezza e a cullarsi ne'discreti amori come gli uccelli su gli alberi fiorenti.

Quando udì le frasi di Andreaella esclamòcon un grazioso stupore:

- Dimenticate Elena così presto?

Poidopo alcuni giorni di graziose esitazionile piacque di cedere; enon di rado ella parlava d'Elena al giovine infedelesenza gelosiacandidamente.

- Ma perché mai sarà partita prima del solitoquest'anno? - glichiese una voltasorridendo.

- Io non so - rispose Andreasenza poter nascondere un po'd'impazienza e di amarezza.

- Tuttoproprioè finito?

- Biancavi pregoparliamo di noi! - interruppe egli con la vocealteratapoiché quei discorsi lo turbavano e irritavano.

Ella rimase un momento pensosacome se volesse sciogliere un enigma;quindi sorrise scotendo la testacome se rinunziassecon una fugaceombra di malinconia su gli occhi.

- Così è l'amore.

E rese all'amante le carezze.

Andreapossedendolapossedeva in lei tutte le gentili donnefiorentine del Quattrocentoalle quali cantava il Magnifico:

E' si vede in ogni lato

Che 'l proverbio dice il vero

Che ciascun muta pensiero

Come l'occhio è separato.

Vedesi cambiare amore:

Come l'occhio sta di lunge

Così sta di lunge il core:

Perché appresso un altro il punge.

Col qual tosto e' si congiunge

Con piacere e con diletto...

Allorchénell'estateella era per partiredisseprendendo congedosenza nascondere la sua commozione gentile:

- Io so chequando ci rivedremovoi non mi amerete più. Così èl'amore. Ma ricordatevi di un'amica!

Egli non l'amava. Purenelle giornate calde e tediosecerte mollecadenze della voce di lei gli tornavan nell'anima come la magia d'una rimae gli suscitavano la visione d'un giardin fresco d'acque pel quale ellaandasse in compagnia d'altre donne sonando e cantando come in una vignettadel Sogno di Polifilo.

E Donna Bianca si dileguò. E vennero altretalvolta in coppia:Barbarella Vitila masculache aveva una superba testa digiovinettotutta quanta dorata e fulgente come certe teste giudee delRembrandt; la contessa di Lùcolila dama delle turchesiuna Circe diDosso Dossicon due bellissimi occhi pieni di perfidiavarianti come imari d'autunnogrigiazzurririsplendenti di quella prodigiosacarnagionecomposta di lucedi rose e di latteche han soltanto i babiesdelle grandi famiglie inglesi nelle tele del Reynoldsdel Gainsborough edel Lawrences; la marchesa Du Deffanduna bellezza del DirettoriounaRécamierdal lungo e puro ovaledal collo di cignodalle mammellesaglientidalle braccia bacchiche; Donna Isotta Cellesila dama deglismeraldiche volgeva con una lenta maestà divina la sua testad'imperatrice tra lo scintillio delle enormi gemme ereditarie; laprincipessa Kalliwodala dama senza gioielliche nella fragilità dellesue forme chiudeva nervi d'acciaio per il piaceree su la cereadelicatezza dei suoi lineamenti apriva due voraci occhi leoninigli occhid'uno Scita.

Ciascuno di questi amori portò a lui una degradazione novella;ciascuno l'inebriò d'una cattiva ebrezzasenza appagarlo; ciascuno gliinsegnò una qualche particolarità e sottilità del vizio a lui ancóraignota. Egli aveva in sé i germi di tutte le infezioni. Corrompendosicorrompeva. La frode gli invescava l'animacome d'una qualche materiaviscida e fredda che ogni giorno divenisse più tenace. Il pervertimentode' sensi gli faceva ricercare e rilevare nelle sue amanti quel ch'era inloro men nobile e men puro. Una bassa curiosità lo spingeva a scieglierle donne che avevan peggior fama; un crudel gusto di contaminazione lospingeva a sedurre le donne che avean fama migliore. Fra le bracciadell'una egli si ricordava d'una carezza dell'altrad'un modo di voluttàappreso dall'altra. Talvolta (e fuin ispeciequando la notizia delleseconde nozze di Elena Muti gli riaprì per qualche tempo la ferita)piacevasi di sovrapporre alla nudità presente le evocate nudità di Elenae di servirsi della forma reale come d'un appoggio sul qual godere laforma ideale. Nutriva l'imagine con uno sforzo intensofinchél'imaginazione giungeva a possedere l'ombra quasi creata.

Pur tuttavia egli non aveva culto per le memorie dell'antica felicità.Talvoltaanziquelle gli davano un appiglio a una qualunque avventura.Nella Galleria Borgheseper esempionella memore sala degli specchiegli ottenne da Lilian Theed la prima promessa; nella Villa Medicisu perla memore scala verde che conduce al Belvedereegli intrecciò le suedita alle lunghe dita d'Angélique Du Deffand; e il piccolo teschiod'avorio appartenuto al cardinale Immenraetil gioiello mortuario segnatodel nome d'Ippolita oscuragli suscitò il capriccio di tentare DonnaIppolita Albónico.

Questa dama aveva nella sua persona una grande aria di nobiltàsomigliando un poco a Maria Maddalena d'Austriamoglie di Cosimo II de'Medicinel ritratto di Giusto Suttermansch'è in Firenzedai Corsini.Amava gli abiti suntuosii broccatii vellutii merletti. I larghicollari medìcei parevano la foggia meglio adatta a far risaltare labellezza della sua testa superba.

In una giornata di corsesu la tribunaAndrea Sperelli volevaottenere da Donna Ippolita ch'ella andasse la dimane al palazzo Zuccariper prendere il misterioso avorio dedicato a lei. Ella si schermivaondeggiando tra la prudenza e la curiosità. Ad ogni frase del giovine unpo' arditacorrugava le sopracciglia mentre un sorriso involontario lesforzava la bocca; e la sua testasotto il cappello ornato di piumebianchesul fondo dell'ombrellino ornato di merletti bianchiera in unmomento di singolare armonia.

- TibiHippolyta! Dunque venite? Io vi aspetterò tutto ilgiornodalle due fino a sera. Va bene?

- Ma siete pazzo?

- Di che temete? Io giuro alla Maestà Vostra di non toglierle nuppureun guanto. Rimarrà seduta come in un tronosecondo il suo regal costume;eanche prendendo una tazza di tepotrà non posare lo scettroinvisibile che porta sempre nella destra imperiosa. E' concessa la graziaa questi patti?

- No.

Ma ella sorridevapoiché compiacevasi di sentir rilevarequell'aspetto di regalità ch'era la sua gloria. E Andrea Sperellicontinuava a tentarlasempre in tono di scherzo o di preghieraunendoalla seduzione della sua voce uno sguardo continuosottilepenetrantequello sguardo indefinibile che sembra svestire le donnevederle ignude atraverso le vestitoccarle su la pelle viva.

- Non voglio che mi guardiate così - disse Donna Ippolitaquasioffesacon un lieve rossore.

Su la tribuna eran rimaste poche persone. Signore e signoripasseggiavano su l'erbalungo lo steccatoo circondavano il cavallovittoriosoo scommettevano coi publici scommettitori urlantisottol'incostanza del sole che appariva e spariva fra i molti arcipelaghi dellenuvole.

- Scendiamo - ella soggiunsenon accorgendosi degli occhi seguaci diGiannetto Rùtolo che stava appoggiato alla ringhiera della scala.

Quandoper discenderepassarono d'innanzi a coluilo Sperelli disse:

- Addiomarchesea poi. Correremo.

Il Rùtolo s'inchinò profondamente a Donna Ippolita; e una sùbitafiamma gli colorò la faccia. Eragli parso di sentire nel saluto del conteuna leggera irrisione. Rimase alla ringhieraseguendo sempre con gliocchi la coppia nel recinto. Visibilmentesoffriva.

- Rùtoloalle vedette! - feceglicon un riso malvagiola contessadi Lùcoli passando a braccio con Don Filippo del Montegiù per la scaladi ferro.

Egli sentì la punta nel mezzo del cuore. Donna Ippolita e il conted'Ugentadopo essere giunti fin sotto la specola dei giudicitornavanoverso la tribuna. La dama teneva il bastone dell'ombrellino su la spallagirandolo fra le dita; la cupola bianca le roteava dietro la schienacomeun'aureolae i molti merletti s'agitavano e si sollevavanoincessantemente. Entro quel cerchio mobile ella di tratto in tratto ridevaalle parole del giovine; e ancóra un lieve rossore tingeva la nobilepallidezza del suo volto. Di tratto in trattoi due si soffermavano.

Giannetto Rùtolofingendo di voler osservare i cavalli che entravanonella pistavolse il binocolo fra i due. Visibilmentegli tremavano lemani. Ogni sorrisoogni gestoogni attitudine di Ippolita gli dava unatroce dolore. Quando abbassò il binocoloegli era assai smorto. Avevasorpreso negli occhi dell'amatache si posavano su lo Sperelliquellosguardo ch'egli ben conosceva poiché n'era statoun tempoilluminato disperanza. Gli parve che tutto ruinasse intorno a lui. Un lungo amorefinivatroncato da quello sguardoirreparabilmente. Il sole non era piùil sole; la vita non era più la vita.

La tribuna si ripopolava rapidamentegià che il segnale della terzacorsa era prossimo. Le dame salivano in piedi su i sedili. Un mormoriocorreva lungo i gradisimile a un vento sopra un giardino in pendio. Lacampanella squillò. I cavalli partirono come un gruppo di saette.

- Correrò in onor vostroDonna Ippolita - disse Andrea Sperelliall'Albónicoprendendo congedo per andare a prepararsi alla seguentecorsach'era di gentiluomini. - TibiHippolytasemper!

Ella gli strinse la manoforteper augurionon pensando che ancheGiannetto Rùtolo stava fra i contenditori. Quando videpoco oltrel'amante pallido scender giù per la scalal'ingenua crudeltàdell'indifferenza le regnava nei belli occhi oscuri. Il vecchio amore lecadeva dall'animapari a una spoglia inerteper l'invasione del nuovo.Ella non apparteneva più a quell'uomo; non gli era legata da nessunlegame. Non è concepibile come prontamente e intieramente rientri nelpossesso del proprio cuore la donna che non ama più.

" Egli me l'ha presa " pensò coluicamminando verso latribuna del Jockey-clubsu l'erba che parevagli s'affondasse sottoi suoi piedi come un'arena. Davantia poca distanzacamminava l'altrocon un passo disinvolto e sicuro. La persona alta e snellanell'abitocinerinoaveva quella particolare inimitabile eleganza che sol può dareil lignaggio. Egli fumava. Giannetto Rùtolovenendo dietrosentival'odore della sigarettaad ogni buffo di fumo; ed era per lui un fastidioinsopportabileun disgusto che gli saliva dalle viscerecome contro unveleno.

Il duca Beffi e Paolo Caligàro stavano su la sogliagià in assettodi corsa. Il duca si chinava su le gambe apertecon un movimento ginnicoper provare l'elasticità de' suoi calzoni di pelle o la forza de' suoiginocchi. Il piccolo Caligàro imprecava alla pioggio della nottecheaveva reso pesante il terreno.

- Ora - disse allo Sperelli - tu hai molte probabilitàcon MichingMallecho.

Giannetto Rùtolo udì quel presagioed ebbe al cuore una fitta. Egliriponeva nella vittoria una vaga speranza. Nella sua imaginazione vedevagi effetti d'una corsa vinta e d'un duello fortunatocontro il nemico.Spogliandosiogni suo gesto tradiva la preoccupazione.

- Ecco un uomo cheprima di montare a cavallovede aperta lasepoltura - disse il duca di Beffiposandogli una mano su la spallaconun atto comico. - Ecce homo novus.

Andrea Sperelliil quale in tal momento aveva gli spiriti gairuppein un di que' suoi franchi scoppi di risach'erano la più seducenteeffusione della sua giovinezza.

- Perché ridetevoi? - gli chiese Rùtolopallidissimofuori diséfissandolo di sotto ai sopraccigli corrugati.

- Mi pare - rispose lo Sperellisenza turbarsi - che voi mi parliatein un tono assai vivocaro marchese.

- Ebbene?

- Pensate del mio riso quel che più vi piace.

- Penso che è sciocco.

Lo Sperelli balzò in piedifece un passoe levò contro GiannettoRùtolo il frustino. Paolo Caligàro giunse a trattenergli il barccioperprodigio. Altre parole irruppero. Sopravvenne Don Marcantonio Spada; udìl'altercoe disse:

- Bastafigliuoli. Sapete ambedue quel che dovrete fare domani. Oradovete correre.

I due avversari compirono la lor vestizionein silenzio. Quindiuscirono. Già la notizia del litigio s'era sparsa nel recinto e saliva super le tribunead accrescere l'aspettazion della corsa. La contessa diLùcolicon raffinata perfidiala diede a Donna Ippolita Albónico.Questanon lasciando trasparire alcun turbamentodisse:

- Mi dispiace. Parevano amici.

La diceria si diffondevatrasformandosiper le belle bocche feminee.Intorno ai publici scommettitori ferveva la folla. Miching Mallechoil cavallo del conte d'Ugentae Brummelil cavallo del marcheseRùtoloerano i favoriti; venivano poi Satirist del duca di Beffie Carbonilla del conte Caligàro. I buoni conoscidori peròdiffidavano de' due primipensando che la concitazion nervosa dei duecavalieri avrebbe certamente nociuto alla corsa.

Ma Andrea Sperelli era calmoquasi allegro.

Il sentimento della sua superiorità su l'avversario l'assicurava;inoltrequella tendenza cavalleresca alle avventure periglioseereditatadal padre byroneggiantegli faceva vedere il suo caso in una luce digloria; e tutta la nativa generosità del suo sangue giovenilerisvegliavasid'innanzi al rischio. Donna Ippolita Albónicod'untrattogli si levava in cima dell'animapiù desiderabile e più bella.

Egli andò incontro al suo cavallocon il cuor palpitantecomeincontro a un amico che gli portasse l'annunzio aspettato d'una fortuna.Gli palpò il musocon dolcezza; e l'occhio dell'animalequell'occhioove brillava tutta la nobiltà della razza per una inestinguibile fiammal'inebriò come lo sguardo magnetico di una donna.

- Mallecho- mormoravapalpandolo - è una gran giornata!Dobbiamo vincere.

Il suo trainerun omuncolo rossicciofiggendo le pupille acutesu gli altri cavalli che passavano portati a mano dai palafrenieridissecon la voce roca:

- No doubt.

Miching Mallecho esq. eraun magnifico baioproveniente dalle scuderie del barone di Soubeyran.Univa alla slanciata eleganza delle forme una potenza di renistraordinaria. Dal pelo lucido e finodi sotto a cui apparivano gliintichi delle vene sul petto e su le coscepareva esalare quasi un fuocovaporosotanto era l'ardore della sua vitalità. Fortissimo nel saltoaveva portato assai spesso nelle cacce il suo signoredi là da tutti gliostacolinon rifiutandosi d'innanzi a una triplice filagna o d'innanzi auna maceria maisempre alla coda dei caniintrepidamente. Un hopdel cavaliere l'incitava più d'un colpo di sperone; e una carezza lofaceva fremere.

Prima di montareAndrea esaminò attentamente tutta la bardaturasiassicurò d'ogni fibbia e d'ogni cinghia; quindi balzò in sellasorridendo. Il trainer dimostrò con un espressivo gesto la suafiduciaguardando il padrone allontanarsi.

Intorno alle tabelle delle quote persisteva la folla degliscommettitori. Andrea sentì su la sua persona tutti gli sguardi. Volsegli occhi alla tribuna destra per vedere l'Albónicoma non potédistinguer nulla tra la moltitudine delle dame. Salutò da presso LilianTheed a cui eran ben noti i galoppi di Mallecho dietro le volpi edietro le chimere. La marchesa d'Ateleta fece da lontano un atto dirimproveropoiché aveva saputo l'alterco.

- Com'è quotato Mallecho? - chiese egli a Ludovico Barbarisi.

Andando al punto di partenzaegli pensava freddamente al metodo cheavrebbe tenuto per vincere; e guardava i suoi tre competitoriche loprecedevanocalcolando la forza e la scienza di ciascuno. Paolo Caligàroera un demonio di maliziarotto a tutte le furberie del mestierecome unjockey; ma Carbonillasebbene veloceera di pocaresistenza. Il duca di Befficavaliere d'alta scuolache aveva vintopiù d'un match in Inghilterramontava un animale d'umordifficileche poteva rifiutarsi innanzi a qualche ostacolo. GiannettoRùtolo invece ne montava uno eccellente ed assai ben disciplinato; masebben forteegli era troppo impetuoso e prendeva parte a una corsapublica per la prima volta. Inoltredoveva trovarsi in uno stato dinervosità terribilecome da molti segni appariva.

Andrea pensavaguardandolo: " La mia vittoria d'oggi influiràsul duello di domanisenza dubbio. Egli perderà la testacertoqui elà. Io debbo essere calmosu tutt'e due i campi. " Poianchepensò: " Quale sarà l'animo di Donna Ippolita? " Gli parve cheintorno ci fosse un silenzio insolito. Misurò con l'occhio la distanzafino alla prima siepe; notò su la pista un sasso luccicante; s'accorsed'essere osservato dal Rùtolo; ebbe un fremito per tutta la persona.

La campanella diede il segnale; ma Brummel aveva già preso loslancio; e la partenza quindinon essendo stata contemporaneafuritenuta non buona. Anche la seconda fu una falsa partenzaper colpa di Brummel.Lo Sperelli e il duca di Beffi si sorrisero fuggevolmente.

La terza partenza fu valida. Brummelsùbitosi staccò dalgrupporadendo lo steccato. Gli altri tre cavalli seguirono di pariperun tratto; e saltarono la prima siepefelicemente; poila seconda.Ciascuno dei tre cavalieri faceva un gioco diverso. Il duca di Befficercava di mantenersi nel gruppo perché d'innanzi agli ostacoli Satiristfosse istigato dall'esempio. Il Caligàro moderava la foga di Carbonillaa conservarle le forze per gli ultimi cinquecento metri. Andrea Sperelliaumentava gradatamente la velocitàvolendo incalzare il suo nemico inprossimità dell'ostacolo più difficile. Poco dopoinfattiMallechoavanzò i due compagni e si diede a serrare da presso Brummel.

Il Rùtolo sentì dietro di sé il galoppo incalzantee fu preso datale ansietà che non vide più nulla. Tutto alla vista gli si confusecome s'egli fosse per perdere gli spiriti. Faceva uno sforzo immenso pertenere piantati gli speroni nel ventre del cavallo; e lo sbigottiva ilpensiero che lo forze lo abbandonassero. Aveva negli orecchi un rombocontinuoe in mezzo al rombo udiva il grido breve e secco d'AndreaSperelli.

- Hop! Hop!

Sensibilissimo alla voce più che ad ogni altra instigazioneMallechodivorava l'intervallo di distanzanon era più che a tre o quattro metrida Brummelstava per raggiungerloper superarlo.

- Hop!

Un'altra barriera attraversava la pista. Il Rùtolo non la videpoiché aveva smarrita ogni conscienzaconservando solo un furiosoistinto di aderire all'animale e di spingerlo innanzialla ventura. Brummelsaltò; manon coadiuvato dal cavaliereurtò le zampe posteriori ericadde dall'altra parte così male che il cavaliere perse le staffepurrestando in sella. Seguitò tuttavia a correre. Andrea Sperelli teneva orail primo posto; Giannetto Rùtolosenza aver recuperato le staffevenivasecondoincalzato da Paolo Caligàro; il duca di Beffiavendo soffertoda Satirist un rifiutoveniva ultimo. Passarono sotto le tribunein quest'ordine; udirono un clamore confusoche si dileguò.

Su le tribunetutti gli animi stavan sospesi nell'attenzione. Alcuniindicavano ad alta voce le vicende della corsa. Ad ogni mutamentonell'ordine dei cavallimolte esclamazioni si levavano tra un lungomormorio; e le dame ne avevano un fremito. Donna Ippolita Albónicorittain piedi sul sedileappoggiandosi alle spalle del marito il quale erasotto di leiguardava senza mai mutarsicon una meravigliosa padronanza;se non che le labbra troppo chiuse e un leggerissimo increspamento dellafronte potevan forse rivelare a un indagatore lo sforzo. A un certo puntoritrasse dalle spalle del marito le mani per tema di tradirsi con unqualche involontario moto.

- Sperelli è caduto - annunziò a voce alta la contessa di Lùcoli.

Mallechoinfattisaltandoaveva messo un piede in fallo su l'erba umida ed erasi piegatosu le ginocchiarialzandosi immediatamente. Andrea gli era passato dalcollosenza danno; e con una prontezza fulminea era tornato in sellamentre il Rùtolo e il Caligàro sopraggiungevano. Brummelsebbeneoffeso alle zampe posteriorifaceva prodigiper virtù del suo sanguepuro. Carbonilla infine spiegava tutta la sua velocitàcondottacon arte mirabile dal suo cavaliere. Mancavano circa ottocento metri allamèta.

Lo Sperelli vide la vittoria fuggirgli; ma raccolse tutti gli spiritiper riafferrarla. Teso su le staffecurvo su la crinieragittava ditratto in tratto quel grido breveèsilepenetranteche aveva tantopotere sul nobile animale. Mentre Brummel e Carbonillaaffaticati sul terreno pesanteperdevano vigoreMallechoaumentava la veemenza del suo slanciostava per riconquistare il suopostogià sfiorava la vittoria con la fiamma delle sue narici. Dopol'ultimo ostacoloavendo superato Brummelraggiungeva con latesta la spalla di Carbonilla. A circa cento metri dalla mètaradeva lo steccatoavantiavantilasciando dietro di sé e la morelladel Caligàro lo spazio di dieci " lunghezze ". La campanasquillò; un applauso risonò per tutte le tribunecome il crepitar sordodi una grandine; un clamore si propagò nella folla su la prateriainondata dal sole.

Andrea Sperelli rientrando nel recinto pensava: " La fortuna ècon meoggi. Sarà con me anche domani? " Sentendo venire a sél'aura del trionfoebbe contro l'oscuro pericolo quasi una sollevaziond'ira. Avrebbe voluto affrontarlo sùbitoin quello stesso giornoinquella stessa orasenza altro indugioper godere una duplice vittoria eper mordere quindi al frutto che gli offriva la mano di Donna Ippolita.Tutto il suo essere accendevasi d'orgoglio selvaggioal pensiero diposseder quella bianca e superba donna per diritto di conquista violenta.L'imaginazione gli fingeva un gaudio non mai provatoquasi direi unavoluttà d'altri tempiquando i gentiluomini scioglievano i capelli delleamasie con mani omicide e carezzevoliaffondandovi la fronte ancóragrondante per la fatica dell'abbattimento e la bocca ancóra amara delleprofferte ingiurie. Egli era invaso da quella inesplicabile ebrezza chedànno a certi uomini d'intelletto l'esercizio della forza fisical'esperimento del coraggiola rivelazione dell brutalità. Quel che infondo a noi è rimasto della ferocia originale torna al sommo talvolta conuna strana veemenza ed anche sotto la meschina gentilezza dell'abitomoderno il nostro cuore talvolta si gonfia di non so che smaniasanguinaria ed anela alla strage. Andrea Sperelli aspirava la calda edacre esalazion del suo cavallopienamentee nessuno di quanti delicatiprofumi egli aveva fin allora preferitinessuno aveva mai dato al suosenso un più acuto piacere.

Appena smontòfu accerchiato da amiche e da amici che sicongratulavano. Miching Mallechosfinitotutto fumante espumantesbuffava protendendo il collo e scotendo le briglie. I suoifianchi s'abbassavano e si sollevavano con un moto continuocosì forteche pareva scoppiare; i suoi muscoli sotto la pelle tremavano come lecorde degli archi dopo lo scocco; i suoi occhi iniettati di sangue edilatati avevano ora l'atrocità di quelli d'una fiera; il suo peloorainterrotto da larghe chiazze più oscuresi apriva qua e là a spigasotto i rivoli del sudore; la vibrazione incessante di tutto il suo corpofaceva pena e tenerezzacome la sofferenza d'una creatura umana.

- Poor fellow! - mormorò Lilian Theed.

Andrea gli esaminò i ginocchi per veder se la caduta li avesse offesi.Erano intatti. Allorabattendolo pianamente in sul collogli disse conun accento indefinibile di dolcezza:

- VaMallechova.

E lo riguardò allontanarsi.

Poiavendo lasciato l'abito di corsacercò di Ludovico Barbarisi edel barone di Santa Margherita.

Ambedue accettarono l'incarico di assisterlo nella questione colmarchese Rùtolo. Egli li pregò di sollecitare.

- Stabilitedentro questa seraogni cosa. Domaniall'una dopomezzogiornoio debbo essere già libero. Ma domattina lasciatemi dormirealmeno fino alle nove. Io pranzo dalla Ferentino; e passerò poi in casaGiustiniani; e poia ora tardaal Circolo. Sapete dove trovarmi. Graziee a rivederciamici.

Salì alla tribuna; ma evitò di avvicinarsi sùbito a Donna Ippolita.Sorridevasentendosi avvolgere dagli sguardi feminili. Molte belle manisi tendevano a lui; molte belle voci lo chiamavano familiarmente Andrea;alcune anzi lo chiamavan con una certa ostentazione. Le dame che avevanoscommesso per lui gli dicevano la somma della loro vincita; dieci luigiventi luigi. Altre gli domandaronocon curiosità:

- Vi batterete?

A lui pareva di aver raggiunto il culmine della gloria avventurosa inun sol giornomeglio che il duca di Buckingham e il signor di Lauzun.Egli era uscito vincitore da una corsa eroicaavava acquistata una nuovaamantemagnifica e serena come una dogaressa; aveva provocato un duellomortale; ed ora passava tranquillo e cortesené più né meno delsolitofra il sorriso di tali dame a cui egli conosceva altro che lagrazia della bocca. Non poteva egli forse indicare di molte un vezzosegreto o una particolare abitudine di voluttà? Non vedeva egliatraverso tutta quella chiara freschezza di stoffe primaveriliil neobiondosimile a una piccola moneta d'orosul fianco sinistro d'IsottaCellesi; o il ventre incomparabile di Giulia Mocetopolito come una coppad'avoriopuro come quel d'una statuaper l'assenza perfetta di ciò chenelle sculture e nelle pitture antiche rimpiangeva il poeta del Muséesecret? Non udiva nella voce sonora di Barbarella Viti un'altraindefinibile voce che ripeteva di continuo una parola invereconda; onell'ingenuo riso di Aurora Seymour un altro indefinibile suonorauco egutturaleche ricordava un poco il rantolo dei gatti in su' focolari e iltubare delle tortore ne' boschi? Non sapeva le squisite depravazioni dellacontessa de Lùcoli che s'inspirava su i libri eroticisu le pietreincise e su le miniature; o gli invincibili pudori di Francesca Daddi chene' supremi aneliticome un'agonizzanteinvocava il nome di Dio? Quasitutte le donne ch'egli aveva ingannatoo che lo avevano ingannatoeranolà e gli sorridevano.

- Ecco l'eroe! - disse il marito dell'Albónicotendendogli la manocon amabilità insolitae stringendogliela forte.

- Eroe da vero - aggiunse Donna Ippolitacol tono insignificante d'uncomplimento obbligatoparendo ignorare il dramma.

Lo Sperelli s'inchinò e passò oltreperché provava non so cheimbarazzo d'innanzi a quella strana benevolenza del marito. Un sospettogli balenò nell'animoche il marito gli fosse grato d'aver attaccatobriga con l'amante della moglie; e sorrise alla viltà di quell'uomo. Comesi volsegli occhi di Donna Ippolita s'incontraronosi mescolarono con isuoi.

Nel ritornodal mail-coach del principe di Ferentino videfuggire verso Roma Giannetto Rùtolo con un piccolo legno a due ruotealtrotto fitto d'un gran roano ch'egli guidava chinato avantitenendo latesta bassa e il sigaro tra i dentisenza curarsi delle guardie che gliintimavano di mettersi nella fila. Romain fondosi disegnava oscurasopra una zona di luce gialla come zolfo; e le statue in sommo dellabasilica di San Giovanni entro un ciel violafuor della zonagrandeggiavano. Allora ebbe Andrea la conscienza intera del male ch'eglifaceva soffrire a quell'anima.

La serain casa Giustinianidisse all'Albónico:

- Riman dunque fermo che domanidalle due alle cinqueio viaspetterò.

Ella voleva chiedergli:

- Come? non vi battetedomani?

Ma non osò. Rispose:

- Ho promesso.

Poco tempo doposi accostò ad Andrea il maritomettendoglisi abraccio con affettuosa premuraper chiedergli notizie del duello. Egliera un uomo ancor giovinebiondoelegantecon i capelli molto radiconl'occhio biancastrocon i due canini sporgenti fuor dalle labbra. Avevauna leggera balbuzie.

- Dunque? Dunque? Domanieh?

Andrea non sapeva vincere la ripugnanza; e taneva il braccio teso lungoil fiancoper dimostrare che non amava quella familiarità. Come videentrare il barone di Santa Margheritasi liberò dicendo:

- Mi preme di parlare col Santa Margherita. Scusateconte.

Il barone l'accolse con queste parole:

- Tutto è stabilito.

- Bene. Per che ora?

- Per le dieci e mezzoalla Villa Sciarra. Spada e guanto di sala. Aoltranza.

- Chi sono gli altri due?

- Roberto Casteldieri e Carlo de Souza. Ci siamo sbrigati sùbitoevitando le formalità. Giannetto aveva già pronti i suoi. Abbiamo stesoil verbale di scontroal Circolosenza discussione. Cerca di non andarea letto troppo tardi; mi raccomando. Tu devi essere stanco.

Per millanteriauscendo di casa GiustinianiAndrea andò al Circolodelle Cacce; e si mise a giocare cogli sportsmen napoletani. Versole due il Santa Margherita lo sorpreselo forzò ad abbandonare iltavoloe volle ricondurlo a piedi fino al palazzo Zuccari.

- Mio caro- ammonivain cammino - tu sei troppo temerario. In questicasiun'imprudenza può esser fatale. Per conservarsi intatta la vigoriaun buono spadaccino deve avere a sé medesimo le cure che ha un buontenore per conservarsi la voce. Il polso è delicato quanto la laringe; learticolazioni delle gambe sono delicate quanto le corde vocali. Intendi?Il meccanismo si risente d'ogni minimo disordine; lo strumento si guastanon obedisce più. Dopo una notte d'amore o di giuoco o di crapulaanchele stoccate di Camillo Agrippa non potrebbero andar diritte e la paratenon potrebbero essere né esatte né veloci. Orabasta sbagliare d'unmillimetro per prendersi tre pollici di ferro in corpo.

Erano al principio della via de' Condotti; e vedevanoal fondolapiazza di Spagna illuminata dalla piena lunala scala biancheggiantelaTrinità de' Monti alta nell'azzurro soave.

- Tucerto- seguitò il barone - hai molti vantaggi su l'avversario:tra gli altriil sangue freddo e la pratica del terreno. T'ho veduto aParigi contro il Gavaudan. Ti ricordi? Gran bel duello! Ti battesti comeun dio.

Andrea si mise a ridere di compiacenza. L'elogio di quell'insigneduello gli gonfiava il cuore d'orgogliogli metteva nei nervi unasovrabbondanza di forze. La sua manoistintivamentestringendo ilbastone faceva atto di ripetere il famoso colpo che trafisse il braccio almarchese di Gavaudan il 12 dicembre del 1885.

- Fu - egli disse - una " contro di terza " e un " filo".

E il barone riprese:

- Giannetto Rùtolosu la pedanaè un discreto tiratore; sulterrenoè di primo impeto. S'è battuto una volta solacon mio cuginoCassìbile; e n'è uscito male. Fa molto abuso di " unodue " edi " unoduetre "attaccando. Ti gioveranno gli "arresti in tempo " e specialmente le " inquartate ". Miocuginoappuntolo bucò con una " inquartata " nettaalsecondo assalto. E tu sei un tempista forte. Abbi però l'occhio semprevigilee cerca di conservar la misura. Sarà bene che tu non dimentichid'avere a fronte un uomo a cui hai presadiconol'amante e su cui hailevato il frustino.

Erano nella piazza di Spagna. La Barcaccia metteva un chioccolìo rocoed umileluccicando alla luna che vi si specchiava dall'alto dellacolonna cattolica. Quattro o cinque vetture publiche stavano fermeinfilecoi fanali accesi. Dalla via del Babuino giungeva un tintinnio disonagli e un romor sordo di passicome d'un gregge in cammino.

A piè della scalail barone s'accomiatò.

- Addioa domani. Verrò qualche minuto prima delle noveconLudovico. Tirerai due colpiper scioglierti. Penseremo noi ad avvisare ilmedico. Va; dormi profondo.

Andrea si mise su per la scala. Al primo ripiano si soffermòattiratodal tintinnio dei sonagliche s'avvicinava. Veramenteegli si sentiva unpo' stanco; a anche un po' tristein fondo al cuore. Dopo la fierezzasuscitatagli nel sangue da quel colloquio di scienza d'arme e dal ricordodella sua bravurauna specie d'inquietudine l'invadevanon benedistintamista di dubbio e di scontento. I nervitroppo tesi in quellagiornata violenta e torbidagli si rilassavano orasotto la clemenzadella notte primaverile. - Perchésenza passioneper puro capriccioper sola vanitàper sola prepotenzaerasi egli compiaciuto di sollevareun odio e di rendere dolorosa l'anima di un uomo? - Il pensiero dellaorribile pena che certo doveva affliggere il suo nemicoin una nottecosì dolcegli mosse quasi un senso di pietà. L'imagine di Elena glitraversò il cuorein un baleno; gli tornarono nella mente le angoscedurate un anno innanziquando egli l'aveva perdutae le gelosiee lecolleree gli sconforti inesprimibili. - Anche allora le notti eranochiaretranquillesolcate di profumi; e come gli pesavano! - Aspiròl'ariaper ove salivano i fiati delle rose fiorite ne' piccoli giardinilaterali; e guardò giù nella piazza passare il gregge.

La folta lana biancastra delle pecore agglomerate procedeva con unfluttuamento continuoaccavallandosia similitudine d'un'acqua fangosache inondasse il lastrico. Qualche belato tremulo mescevasi al tinitinno;altri belatipiù sottilipiù timidirispondevano; i butteri gittavanodi tratto in tratto un grido e distendevano le astecavalcando dietro ea' fianchi; la luna dava a quel passaggio d'armentiper mezzo alla grancittà addormentatanon so che mistero quasi di cosa veduta in sogno.

Andrea si ricordò che in una notte serena di febbraiouscendo da unballo dell'Ambasciata inglese nella via Venti Settembreegli ed Elenaavevano incontrata una mandra; e la carrozza aveva dovuto fermarsi. Elenachina al cristalloguardava le pecore passar rasente le ruote e indicavagli agnelli più piccoliun un'allegria infantile; ed egli teneva il suoviso accosto al viso di leisocchiudendo gli occhiascoltando loscalpiccìoi belatiil tintinno.

Perché mai gli tornavano ora tutte quelle memorie di Elena? - Ripresea salirelentamente. Sentì più gravenel salirela sua stanchezza; iginocchi gli si piegavano. Gli lampeggiò d'improvviso il pensiero dellamorte. " S'io rimanessi ucciso? S'io ricevessi una cattiva ferita en'avessi per tutta la vita un impedimento? " La sua avidità divivere e di godere si sollevò contro quel pensiero lugubre. Egli disse asé medesimo: " Bisogna vincere. " E vide tutti i vantaggich'egli avrebbe avuti da quell'altra vittoria: il prestigio della suafortunala fama della sua prodezzai baci di Donna Ippolitanuoviamorinuovi godimentinuovi capricci.

Alloradominando ogni agitazionesi mise a curare l'igiene della suaforza. Dormì fino a che non fu risvegliato dalla venuta dei due amici;prese la doccia consueta; fece distendere sul pavimento la strisciad'incerato; e invitò il Santa Margherita a tirar due " cavazioni" e quindi il Barbarisi a un breve assaltodurante il quale compìcon esattezza parecchie azioni di tempo.

- Ottimo pugno - disse il baronecongratulandosi.

Dopo l'assaltolo Sperelliprese due tazze di tè e qualche biscottoleggero. Scelse un paio di calzoni larghiun paio di scarpe comode e coltacco molto bassouna camicia poco inamidata; preparò il guantobagnandolo alquanto su la palma e spargendolo di pece greca in polvere: viunì una stringa di cuoio per fermar l'elsa al polso; esaminò la lama ela punta delle due spade; non dimenticò alcuna cautelaalcuna minuzia.

Quando fu prontodisse:

- Andiamo. Sarà bene che ci troviamo sul terreno prima degli altri. Ilmedico?

Aspetta di là.

Giù per le scaleegli incontrò il duca di Grimiti che veniva ancheda parte della marchesa d'Ateleta.

- Vi seguirò nella villae porterò poi sùbito la notizia aFrancesca - disse il duca.

Discesero tutti insieme. Il duca salì nel suo legnettosalutando. Glialtri salirono nella carrozza coperta. Andrea non ostentava il buon umoreperché i motti prima d'un duello grave gli parevano di pessimo gusto; maera tranquillissimo. Fumavaascoltando il Santa Margherita e il Barbarisidiscuterea proposito d'un recente caso avvenuto in terra di Franciasefosse o non fosse lecito adoperar la mano sinistra contro l'avversario. Ditratto in trattochinavasi allo sportello per guardar nella via.

Roma splendevanel mattino di maggioabbracciata dal sole. Lungo lacorsauna fontana illustrava del suo riso argenteo una piazzetta ancornell'ombra; il portone d'un palazzo mostrava il fondo d'un cortile ornatodi portici e di statue; dall'architrave barocco d'una chiesa di travertinopendevano i paramenti del mese di Maria. Sul ponte apparve il Teverelucido fuggente tra le case verdastreverso l'isola di San Bartolomeo.Dopo un tratto di salitaapparve la città immensaaugustaradiosairta di campanilidi colonne e d'obelischiincoronata di cupole e dirotondenettamente intagliatacome un'acropolinel pieno azzurro.

- AveRoma. Moriturus te salutat - disse Andrea Sperelligittando il residuo della sigarettaverso l'Urbe.

Poi soggiunse:

- In veritàcari amiciun colpo di spada oggi mi seccherebbe.

Erano nella Villa Sciarragià per metà disonorata dai fabricatori dicase nuove; e passavano in un viale di lauri alti e snellitra duespalliere di rose. Il Santa Margheritasporgendosi fuor dello sportellovide un'altra carrozzaferma sul piazzaled'innanzi alla villa; e disse:

- Ci aspettano già.

Guardò l'orologio. Mancavano dieci minuti all'ora precisa. Fecefermare il legno; e insieme col testimone e col chirurgo si diresseroverso gli avversari. Andrea rimase nel vialead attendere. Mentalmentesi mise a svolgere alcune azioni di offesa e di difesach'egli intendevaeseguire con probabilità di esito; ma lo distraevano i vaghi miracolidella luce e dell'ombra per l'intrico dei lauri. I suoi occhi erravanodietro le apparenze dei rami commossi dal vento mattutinomentre il suoaanimo meditava la ferita; e gli alberigentili come nelle amoroseallegorie di Francesco Petrarcagli facevano sospiri in sul capo overegnava il pensiero del buon colpo.

Sopraggiunse a chiamarlo il Barbarisidicendo:

- Siamo pronti. Il custode ha aperto la villa. Abbiamo a disposizionele stanze terrene; una gran comodità. Vieni a spogliarti.

Andrea lo seguì. Mentre si spogliavai due medici aprivano i loroastucci dove riscintillavano i piccoli strumenti d'acciaio. Uno era ancorgiovinepallidocalvocon le mani femineecon la bocca un po' crudacon un continuo visibile attrito della mandibola inferiore sviluppatastraordinariamente. L'altro era già maturofatticciosparso dilentigginicon una folta barba rossastracon un collo taurino. L'unopareva la contradizione fisica dell'altro; e la lor diversità richiamaval'attenzion curiosa dello Sperelli. Preparavanosopra un tavolole fascee l'acqua fenicata per disinfettar le lame. L'odore dell'acido spandevasinella stanza.

Quando lo Sperelli fu in assettouscì col suo testimone e con imedicisul piazzale. Ancóra una voltalo spettacolo di Roma tra lepalme attrasse i suoi sguardi e gli diede un gran palpito. L'impazienzal'invase. Egli avrebbe voluto già trovarsi in guardia e udire il comandodell'attacco. Gli pareva d'aver nel pugno il colpo decisivola vittoria.

- Pronto? - gli chiese il Santa Margheritaandandogli incontro.

- Pronto.

Il terreno scelto era a fianco della villanell'ombrasparso di finaghiaia e battuto. Giannetto Rùtolo stava già all'altra estremitàconRoberto Casteldieri e con Carlo de Souza. Ciascuno aveva assunto un'ariagravequasi solenne. I due avversarii furono posti l'uno di fronteall'altro; e si guardarono. Il Santa Margheritache aveva il comando delcombattimentonotò la camicia di Giannetto Rùtolo fortemente inamidatatroppo saldacon il colletto troppo alto; e fece osservar la cosa alCasteldierich'era il secondo. Questi parlò al suo primo; e lo Sperellivide il nemico accendersi d'improvviso nel volto e con un gesto risolutofar l'atto di scamiciarsi. Eglicon tranquillità freddaseguìl'esempio; si rimboccò i pantaloni; prese dalle mani del Santa Margheritail guantola stringa e la spada; si armò con molta curae quindi agitòl'arma per accertarsi di averla bene impugnata. In quel motoil bicipiteemerse visibilissimorivelando il lungo esercizio del braccio el'acquisito vigore.

Quando i due stesero le spade per prendere la misuraquella diGiannetto Rùtolo oscillava in un pugno convulso. Dopo l'ammonimento d'usointorno la lealtàil barone di Santa Margherita comandò con una vocesquillante e virile:

- Signoriin guardia!

I due scesero in guardia nel tempo medesimoil Rùtolo battendo ilpiedelo Sperelli inarcandosi con leggerezza. Il Rùtolo era di staturamediocreassai smilzotutto nervicon una faccia olivastra a cui davanfierezza le punte de' baffi rilevate e la piccola barba acuta in sulmentoalla maniera di Carlo I ne' ritratti del Van Dyck. Lo Sperelli erapiù altopiù slanciatopiù compostobellissimo nell'attitudinefermo e tranquillo in un equilibrio di grazia e di forzacon in tutta lapersona una sprezzatura di grande signore. L'uno guardava l'altro entrogli occhi; e ciascuno provava internamente un indefinibile brivido allavista dell'altrui carne nuda contro cui appuntavasi la lama sottile. Nelsilenzioudivasi il mormorio fresco della fontana misto al fruscìo delvento su per i rosai rampicanti ove le innumerevoli rose bianche e gialletremolavano.

- A loro! - comandò il barone.

Andrea Sperelli aspettava dal Rùtolo un attacco impetuoso; ma coluinon si mosse. Per un minutoambedue rimasero a studiarsisenza avere ilcontatto del ferroquasi immobili. Lo Sperellichinandosi ancor più su'garrettiin guardia bassasi scoperse interamentecol portar la spadamolto in terza; e provocò l'avversariocon l'insolenza degli occhi e colbatter del piede. Il Rùtolo venne innanzi con una finta di botta dirittaaccompagnandola con una vocealla maniera di certi spadaccini siciliani;e l'assalto incominciò.

Lo Sperelli non isviluppava alcuna azione decisivalimitandosi quasisempre alle paratecostringendo l'avversario a scoprire tutte leintenzionia esaurire tutti i mezzia svolgere tutte le varietà delgioco. Parava netto e velocesenza ceder terrenocon una precisionmirabilecome s'ei fosse su la pedanain un'academia di schermad'innanzi a un fioretto innocuo; mentre il Rùtolo attaccava con ardoreaccompagnando ogni botta con un grido spentosimile a quello degliabbattitori d'alberi in esercitar l'accetta.

- Alt! - comandò il Santa Margheritaa' cui vigili occhi nonisfuggiva alcun moto delle due lame.

E si accostò al Rùtolodicendo:

- Ella è toccatose non erro.

Infatticolui aveva una scalfittura su l'antibraccioma così lieveche non ci fu nemmen bisogno del taffetà. Alenava però; e la sua estremapallidezzacupa come un lividoreera un segno dell'ira contenuta. LoSperellisorridendodisse a basa voce al Barbarisi:

- Conosco ora il mio uomo. Gli metterò un garofano sotto la mammelladestra. Sta attento al secondo assalto.

Poichésenza badarciegli posò a terra la punta della spadaildottor calvoquel della gran mandibolavenne a lui con la spugnaimbevuta d'acqua fenicata e disinfettò di nuovo la lama.

- Per iddio! - mormorò Andrea al Barbarisi. - M'ha l'aria d'uniettatore. Questa lama si rompe.

Un merlo si mise a fischiare tra gli alberi. Ne' rosai qualche rosasfogliavasi e disperdevasi al vento. Alcune nuvole a mezz'aria salivanoincontro al soleradesimili a velli di pecore; e si disfacevano inbioccoli; e a mano a mano si dileguavano.

- In guardia!

Giannetto Rùtoloconscio della sua inferiorità al paragon delnemicorisolse di lavorar sotto misuraalla disperatae di romperecosì ogni azion seguita dell'altro. Egli aveva da ciò la bassa statura eil corpo agileesileflessibileche offriva assai poco bersaglio aicolpi.

- A loro!

Andrea Sperelli sapeva già che il Rùtolo sarebbesi avanzato in quelmodocon le solite finte. Egli stava in guardia inarcato come unabalestra pronta a scoccareintento per scegliere il tempo.

- Alt! - gridò il Santa Margherita.

Il petto del Rùtolo faceva un po' di sangue. La spada dell'avversarioeragli penetrata sotto la mammella destraledendo i tessuti fin quasialla costola. I medici accorsero. Ma il ferito disse sùbito alCasteldiericon voce rudein cui sentivasi un tremito di collera:

- Non è nulla. Voglio seguitare.

Egli si rifiutò di rientrare nella villa per la medicatura. Il dottorcalvodopo aver spremuto il piccolo fòroappena sanguinante e dopoavergli fatta una lavanda antisetticaapplicò un semplice pezzo didrappo; e disse:

- Può seguitare.

Il baroneper invito del Casteldierisenza indugio comandò il terzoassalto.

- In guardia!

Andrea Sperelli s'avvide del pericolo. Di fronte a lui il nemicotuttoraccolto su i garrettiquasi direi nascosto dietro la punta della sualamaappariva risoluto a un supremo sforzo. Gli occhi gli brillavanosingolarmente e la coscia sinistraper l'eccessiva tension de' muscoligli tremava forte. Andrea questa voltacontro l'impetosi preparava agittarsi da banda per ripetere il colpo decisivo del Cassìbilee ildisco bianco del drappo sul petto ostile servivagli da bersaglio. Egliambiva rimettere ivi la stoccata ma trovar lo spazio intercostalenon lacosta. D'intornoil silenzio pareva più profondo; tutti gli astantiavevano conscienza della volontà micidiale che animava que' due uomini; el'ansietà li tenevae li stringeva il pensiero di dover forse ricondurrea casa un morto o un morente. Il solevelato dalle pecorellespandevauna luce quasi lattea; le pianteor sì or nostormivano; il merlofischiava ancórainvisibile.

- A loro!

Il Rùtolo si precipitò sotto misuracon due giri di spada e con unabotta in seconda. Lo Sperelli parò e risposefacendo un passo indietro.Il Rùtolo incalzavafuriosocon stoccate velocissimequasi tuttebassenon accompagnandole più con i gridi. Lo Sperellisenzasconcertarsi a quella furiavolendo evitare un incontroparava forte erispondeva con tale acredine che ogni sua botta avrebbe potuto passar fuorfuora il nemico. La coscia del Rùtolopresso l'inguinesanguinava.

- Alt! - tuonò il Santa Margherita quando se n'accorse.

Ma in quell'attimo appunto lo Sperellifacendo una parata di quartabassa e non trovando il ferro avversarioricevé in pieno torace uncolpo; e cadde tramortito su le braccia del Barbarisi.

- Ferita toracicaal quarto spazio intercostale destropenetrante incavitàcon lesione superficiale del polmone - annuziò nella stanzaquand'ebbe osservatoil chirurgo taurino.

Libro secondo - 1

La convalescenza e' una purificazione e un rinascimento. Non mai il sensodella vita è soave come dopo l'angoscia del male; e non mai l'anima umana piùinclina alla bontà e alla fede come dopo aver guardato negli abissi dellamorte. Comprende l'uomonel guarireche il pensieroil desideriolavolontàla conscienza della vita non sono la vita. Qualche cosa è in lui piùvigile del pensieropiù continua del desideriopiù potente della volontàpiù profonda anche della conscienza; ed è la sostanzala natura dell'esseresuo. Comprende egli cha la sua vita reale è quelladirò cosìnon vissuta dalui; è il complesso delle sensazioni involontariespontaneeincoscientiistintive; è l'attività armoniosa e misteriosa della vegetazione animale; èl'impercettibile sviluppo di tutte le metamorfosi e di tutte le rinnovellazioni.Quella vita appunto in lui compie i miracoli della convalescenza: richiude lepiagheripara le perditeriallaccia le trame infranterammenda i tessutilaceratiristaura i congegni degli organirinfonde nelle vene la ricchezza delsangueriannoda su gli occhi la benda dell'amorerintreccia d'intorno al capola corona de' sogniriaccende nel cuore la fiamma della speranzariapre le alialle chimere della fantasia. Dopo lamortale feritadopo una specie di lunga e lenta agoniaAndrea Sperelli ora apoco a poco rinascevaquasi con un altro corpo e con un altro spiritocome unuomo nuovocome una creatura uscita da un fresco bagno letèoimmemore evacua. Parevagli d'essere entrato in una forma più elementare. Il passato perla sua memoria aveva una sola lontananzacome per la vista il cielo stellato èun campo eguale e diffuso sebbene gli astri sian diversamente distanti. Itumulti si pacificavanoil fango scendeva dall'imol'anima facevasi monda; edegli rientrava nel grembo della natura madresentivasi da lei maternamenteinfondere la bontà e la forza. Ospitatoda sua cugina nella villa di SchifanojaAndrea Sperelli si riaffacciavaall'esistenza in cospetto del mare. Poiché ancóra in noi la natura simpaticapersiste e poiché la nostra vecchia anima abbracciata dalla grande animanaturale palpita ancóra a tal contattoil convalescente misurava il suorespiro sul largo e tranquillo respiro del mareergeva il suo corpo asimilitudine de' validi alberiserenava il suo pensiero alla serenità degliorizzonti. A poco a pocoin quegli ozii intenti e raccoltiil suo spirito sistendevasi svolgevasi dispiegavasi sollevava dolcemente come l'erbapremuta in su' sentieri; diveniaa infine veraceingenuooriginaleliberoaperto alla pura conoscenzadisposto alla pura contemplazione; attirava in séla cosele concepiva come modalità del suo proprio esserecome forme dellasua propria esistenza; si sentiva infine penetrato dalla verità che proclamaval'Oupanischad dei Veda: "Hae omnes creaturae in totum ego sumetpraeter me aliud en s non est. " Il gran soffio d'idealità che esalanoi libri sacri indianistudiati e amati un tempopareva lo sollevasse. Etornava a risplendergli singolarmente la formula sanscritachiamata Mahavakyacioè la Gran Parola: "TAT TWAM ASI "; che significa: " Questacosa viventesei tu. " Eranoi giorni ultimi di agosto. Una quiete estatica teneva il mare; le acque aveantal transparenza che ripetevan con perfetta esattezza qualunque imagine;l'estrema linea delle acque perdevasi nel cielo così che i due elementiparevano un elemento unicoimpalpabileinnaturale. Il vasto anfiteatro deicollipopolato d'olivid'arancidi pinidi tutte le più nobili forme dellavegetazione italicaabbracciando quel silenzionon era più una moltitudune dicose ma una cosa unicasotto il comune sole. Ilgiovinedisteso all'ombra o addossato a un tronco o seduto su una pietracredeva di sentire in sé medesimo scorrere il fiume del tempo; con una speciedi tranquillità cataletticacredeva sentir vivere nel suo petto l'interomondo; con una specie di religiosa ebrietàcredeva posseder l'infinito. Quelch'ei provava era ineffabilenon esprimibile neppur con le parole del mistico:" Io sono ammesso dalla natura nel più secreto delle sue divine sediallasorgente della vita universa. Quivi io sorprendo la causa del moto e odo ilprimo canto degli esseri in tutta la sua freschezza. " La vista a poco apoco mutàvaglisi in visione profonda e continua; i rami degli alberi sul suocapo gli parevan sollevare il cieloampliare l'azzurrorisplendere come coroned'immortali poeti; ed egli contemplava ed ascoltavarespirando col mare e conla terraplacido come un dio. Dov'eranmai tutte le sue vanità e le sue crudeltà e i suoi artifici e le sue menzogne?Dov'erano gli amori e gli inganni e i disinganni e i disgusti e le incurabiliripugnanze dopo il piacere? Dov'erano quegli immondi e rapidi amori che glilasciavan nella bocca come la strana acidezza di un frutto tagliato con uncoltello d'acciaio? Egli non si ricordava più di nulla. Il suo spirito aveafatto una grande renunziazione. Un altro principio di vita entrava in lui; qualcunoentrava in luisegretoil quale sentiva la pace profondamente. Egli riposavapoiché non desiderava più. Ildesiderio avava abbandonato il suo regno; l'intelletto nell'attività seguivalibero le sue proprie leggi e rispecchiava il mondo oggettivo come un purosoggetto della conoscenza; le cose apparivano nella lor forma veranel lor verocolorenella vera ed intera lor significazione e bellezzaprecisechiarissime; spariva ogni sentimento della persona. In questa temporanea mortedel desiderioin questa temporanea assenza della memoriain questa perfettaoggettività della contemplazione appunto era la causa del non mai provatogodimento. Die Sternedie begehrt man nicht Manfreut sich ihrer Pracht. " Lestelleuom non le desidera- ma gioisce del lor fulgore. " Per la primavoltainfattiil giovine conobbe tutta l'armoniosa poesia notturna de' cieliestivi. Erano le ultime nottid'agostosenza luna. Innumerevolinella profonda concapalpitava la vitaardente delle constellazioni. Le Orseil CignoErcoleBooteCassiopeariscintillavano con un palpito così rapido e così forte che quasi parevanoessersi appressati alla terraessere entrati nell'atmosfera terrena. La ViaLattea svolgevasi come un regal fiume aereocome un adunamento di riviereparadisiachecome una immensa correntìa silenziosa che traesse nel suo "miro gurge " una polvere di minerali sidereipassando sopra un àlveo dicristallotra falangi di fiori. Ad intervallimeteore lucide rigavano l'ariaimmobilecon la discesa lievissima e tacita d'una goccia d'acqua su una lastradi diamante. Il respiro del marelento e solennebastava solo a misurare latranquillità della nottesenza turbarla; e le pause eran più dolci del suono.Ma questo periodo di visionidi astrazionidi intuizionidi contemplazioni purequesta specie di misticismo buddhistico equasi direi cosmogonicofu brevissimo. Le cause del raro fenomenooltre chenella natura plastica del giovine e nella sua attitudine alla oggettivitàeranforse da ricercarsi nella singolar tensione e nella estrema impressionabilitàdel suo sistema nervoso cerebrale. A poco a pocoegli incominciò a riprendercoscienza di sé stessoa ritrovare il sentimento della sua personaarientrare nella sua corporeità primitiva. Un giornonell'ora meridianamentrela vita delle cose pareva sospesail grande e terribile silenzio gli lasciòvedere dentrod'improvvisoabissi vertiginosibisogni inestinguibiliindistruttibili ricordicumuli di sofferenza e di rimpiantotutta la suamiseria d'un tempotutti i vestigi del suo viziotutti gli avanzi delle suepassioni. Da quel giornounamalinconia pacata ed uguale gli occupò l'anima; ed egli vide in ogni aspettodelle cose uno stato dell'anima sua. Invece di transmutarsi in altre forme diesistenza o di mettersi in altre condizioni di conscienza o di perdere l'essersuo particolare nella vita generaleora egli presentava i fenomeni contrariiinvolgendosi d'una natura ch'era una concezion tutta soggettiva del suointelletto. Il paesaggio divenne per lui un simboloun emblemaun segnounascorta che lo guidava a traverso il labirinto interiore. Segrete affinità egliscopriva tra la vita apparente delle cose e l'intima vita de' suoi desiderii ede' suoi ricordi. " To me - High mountains are a feeling. "Come nel verso di Giorgio Byron le montagneper lui erano un sentimentole marine. Chiare marine di settembre!- Il marecalmo e innocente come un fanciullo addormentatosi distendeva sottoun cielo angelico di perla. Talvolta appariva tutto verdedel fino e preziosoverde d'una malachite; esoprale piccole vele rosse somigliavano fiammelleerranti. Talvolta appariva tutto azzurrod'un azzurro intensoquasi direiaraldicosolcato di vene d'orocome un lapislàzzuli; esoprale veleistoriate somigliavano una processione di stendardi e di gonfaloni e di pavesicattolici. Anchetalvolta prendeva un diffuso luccicore metallicoun colorpallido di argentomisto del color verdiccio d'un limone maturoqualche cosad'indefinibilmente strano e delicato; esoprale vele erano pie edinnumerevoli come le ali de' cherubini ne' fondi delle ancóne giottesche.Il convalescente rinveniva sensazioni obliatedella pueriziaquell'impression di freschezza che dànno al sangue puerile glialiti del vento salsoquegli inesprimibili effetti che fanno le lucile ombrei colorigli odori delle acque su l'anima vergine. Il mare non soltanto era perlui una delizia degli occhima era una perenne onda di pace a cui siabbeveravano i suoi pensieriuna magica fonte di giovinezza in cui il suo corporiprendeva la salute e il suo spirito la nobiltà. Il mare aveva per luil'attrazion misteriosa d'una patria; ed egli vi si abbandonava con unaconfidenza filialecome un figliuol debole nelle braccia d'un padreonnipossente. E ne riceveva conforto; poiché nessuno mai ha confidato il suodoloreil suo desiderioil suo sogno al mare invano. Ilmare aveva sempre per lui una parola profondapiena di rivelazioni subitaneed'illuminazioni improvvisedi significazioni inaspettate. Gli scopriva nellasegreta anima un'ulcera ancor viva sebben nascosta e glie la faceva sanguinare;ma il balsamo poi era più soave. Gli scoteva nel cuore una chimera dormente eglie la incitava così ch'ei ne sentisse di nuovo le unghie e il rostro; ma gliela uccideva poi e glie la seppelliva nel cuore per sempre. Gli svegliava nellamemoria una ricordanza e glie l'avvivava così ch'ei sofferisse tutta l'amarezzadel rimpianto verso le cose irrimediabilmente fuggite; ma gli prodigava poi ladolcezza d'un oblio senza fine. Nulla entro quell'anima rimaneva celatoalconspetto del gran consolatore. Alla guisa che una forte corrente elettricarende luminosi i metalli e rivela la loro essenza dal color della loro fiammala virtù del mare illuminava e rivelava tutte le potenze e le potenzialità diquell'anima umana. In certe ore ilconvalescentesotto l'assiduo dominio d'una tal virtùsotto l'assiduo giogod'un tal fascinoprovava una specie di smarrimento e quasi di sbigottimentocome se quel dominio e quel giogo fossero per la sua debolezza insostenibili. Incerte ore aveva dal colloquio incessante tra la sua anima e il mare un sensovago di prostrazionecome se quel gran verbo gli facesse troppa violenzaall'angustia dell'intelletto avido di comprendere l'incomprendibile. Unatristezza delle acque lo sconvolgeva come una sventura. Ungiornoegli si vide perduto. Vapori sanguigni e maligni ardevano all'orizzontegittando sprazzi di sangue e d'oro sul fosco delle acque; un viluppo di nuvolipaonazzi ergevasi da' vaporisimile a una zuffa di centauri immani sopra unvulcano in fiamme; e per quella luce tragica un corteo funebre di veletriangolari nereggiava su l'ultimo limite. Erano vele d'una tintaindescrivibilesinistre come le insegne della morte; segnate di croci e difigure tenebrose; parevano vele di navigli che portassero cadaveri di appestatia una qualche maledetta isola popolata di avvoltoi famelici. Un senso umano diterrore e di dolore incombeva su quel mareun accasciamento d'agonia gravava suquell'aria. Il fiotto sgorgante dalle ferite de' mostri azzuffati non restavamaianzi cresceva in fiumi che arrossavano le acque per tutto lo spaziosinoalla spondafacendosi qua e là violaceo e verdastro come per corruzione. Ditratto in tratto il viluppo crollavai corpi si deformavano o si squarciavanolembi sanguinosi pendevano giù dal cratere o sparivano inghiottiti dall'abisso.Poidopo il gran crollorigeneratii giganti balzavan di nuovo alla lottapiù atroci; il cumulo si ricomponevapiù enorme; e ricominciava la stragepiù rossafinché i combattenti rimanevan esangui tra la cenere delcrepuscoloesanimidisfattisul vulcano semispento. Parevaun episodio d'una qualche titanomachia primitivauno spettacolo eroicovistoa traverso un lungo ordine di etànel cielo della favola. Andreacon l'animosospesoseguiva tutte le vicende. Abituato alle tranquille discese dell'ombrain quella declinazion serena dell'estateora si sentiva dall'insolito contrastoriscuotere e sollevare e intorbidare con una strana violenza. Da primafu comeun'angoscia confusatumultuariapiena di palpiti inconsapevoli. Affascinatodal tramonto bellicosoegli non anche giungeva a veder chiaramente in sémedesimo. Maquando la cenere del crepuscolo piovve spegnendo ogni guerra e ilmare sembrò un'immensa palude plumbeaegli credé udire nell'ombra il gridodell'anima suail grido d'altre anime. Eradentro di luicome un cupo naufragio nell'ombra. Tante tante voci chiamavano alsoccorsoimploravano aiutoimprecavano alla morte; voci notevoci ch'egliaveva un tempo ascoltate (voci di creature umane o di fantasmi?); ed ora nondistingueva l'una dall'altra! Chiamavanoimploravanoimprecavano inutilmentesentendosi perire; s'affievolivano soffocate dall'onda vorace; divenivanodebolilontaneinterrotteirriconoscibili; divenivano un gemito;s'estinguevano; non risorgevano più. Eglirestava solo. Di tutta la sua giovinezzadi tutta la sua vita interioreditutte le sue idealità non restava nulla. Dentro di lui non restava che unfreddo abisso vacuo; d'intorno a luiuna natura impassibilefonte perenne didolore per l'anima solitaria. Ogni speranza era spenta; ogni voce era muta; ogniàncora era rotta. A che vivere? Subitamentel'imagine di Elena gli risorse nella memoria. Altre imagini di donne sisovrapposero a quellasi confusero con quellala disperserosi dispersero.Egli non riuscì a cambiarne alcuna. Tutte parevano sorridered'un sorrisonemiconel dileguarsi; e tuttenel dileguarsiparevano portar seco qualchecosa di lui. Che cosa? Egli non sapeva. Un avvilimento indicibile l'oppresse: logelò quasi un senso di vecchiezza; gli occhi gli si empirono di lacrime. Unatragica ammonizione gli sonò nel cuore: " Troppo tardi! " Ledolcezze recenti della pace e della malinconia gli sembrarono già lontaneglisembrarono un'illusion già fuggita; quasi gli sembrarono essere state godute daun altro spiritonuovostranieroentrato in lui e poi scomparso. Gli sembròche il suo vecchio spirito non potesse più omai rinovellarsi né risollevarsi.Tutte le feritech'egli senza ritegno aveva aperte nella dignità del suoessere interioresanguinarono. Tutte le degradazionich'egli senza ripugnanzaaveva inflitte alla sua conscienzavennero fuori come macchie e si dilataronocome una lebbra. Tutte le violazionich'egli senza pudore aveva fatte alle sueidealitàgli suscitarono un rimorso acutodisperatoterribilecome sedentro di lui piangessero anime di sue figliuole a cui egli padre avesse toltala verginità mentre dormivano sognando. Edegli piangeva con loro; e gli sembrava che le sue lacrime non gli scendesserosul cuore come un balsamo ma gli rimbalzassero come sopra una materia viscida efredda onde il cuor suo fosse fasciato. L'ambiguitàla simulazionelafalsitàl'ipocrisiatutte le forme della menzogna e della frode nella vitadel sentimentotutte aderivano al suo cuore come un vischio tenace. Egliaveva troppo mentitoaveva troppo ingannatos'era troppo abbassato. Unribrezzo di sé e del suo vizio l'invase. - Vergogna! Vergogna! - La disonorantebruttura gli pareva indelebile; le piaghe gli parevano immedicabili; gli parevach'egli dovesse portarne la nausea per sempreper semprecome un suppliziosenza termine. - Vergogna! - Piangevachino sul davanzaleabbandonato sotto ilpeso della sua miseriaaffranto come un uomo che non veda salvezza; e nonvedeva le stelle riscintillare a una a una sul suo povero caponella seraprofonda. Al nuovo giorno egli ebbe ungrato risveglioun di que' freschi e limpidi risvegli che ha soltantol'Adolescenza nelle sue primavere trionfanti. Il mattino era una meraviglia;respirare il mattino era una beatitudine immensa. Tutte le cose vivevano nellafelicità della luce; i colli parevano avvolti in un velario diafano d'argentoscossi da un agile fremito; il mare pareva attraversato da riviere di lattedafiumi di cristalloda ruscelli di smeraldida mille vene che formavano come ilmobile intrico d'un laberinto liquido. Un senso di letizia nuziale e di graziareligiosa emanava dalla concordia del maredel cielo e della terra. Eglirespiravaguardavaascoltavaun poco attonito. Nel sonnola sua febbre eraguarita. Egli aveva chiuso gli occhinella nottecullato dal coro delle acquecome da una voce amica e fedele. Chi s'addormenta al suono di quella voce ha unriposo pieno di riparatrice tranquillità. Neanche le parole della madreinducono un sonno così puro e così benefico al figliuolo che soffre. Guardavaascoltavamutoraccoltointeneritolasciando entrare in sé qull'onda divita immortale. Non mai la musica sacra d'un altro maestroun Offertoriodi Giuseppe Haydn o un Te Deum di Volfango Mozartgli aveva data lacommozione che ora gli davano le semplici campane delle chiese di lungisalutanti l'ascension del Giorno ne' cieli del Signore Uno e Trino. Egli sentivail suo cuore colmarsi e traboccar di commozione. Qualche cosa come un sogno vagoma grande gli si levava su l'animaqualche cosa come un velo ondeggiante atraverso il quale splendesse il misterioso tesoro della felicità. Finora egliaveva sempre saputo quel che desiderava e non aveva quasi mai trovato piacere dadesiderare invano. Oranon poteva dire il suo desiderio; non sapeva. Macertola cosa desiderata deveva essere infinitamente soavepoiché era una soavitàanche desiderarla. I versi dellaChimera nel Re di Ciproantichi versiquasi obliatigli ritornaronoalla memoriagli sonarono come una lusinga. " Vuoi tu pugnare?Uccidere? Veder fiumi di sangue?gran mucchi d'oro? greggi di captivefemmine? schiavi? altrealtre prede? VuoiTu far vivere un marmo? Ergere un tempio?Comporre un immortale inno? Vuoi (m'odigiovinem'odi) vuoi divinamenteamare?" La chimera gli ripetevanel cuor segretosommessacon oscure paure:" M'odi giovinem'odi: vuoi divinamente amare?" Egli un poco sorrise. E pensò: " Amare chi? l'Arte? una donna?quale donna? " Elena gli apparve lontanaperdutamortanon più sua; lealtre gli apparvero anche più lontanemorte per sempre. Egli era liberodunque. Perché mai avrebbe di nuovo seguita una ricerca inutile e perigliosa?Era in fondo il suo cuore il desiderio di darsiliberamente e per riconoscenzaa un essere più alto e più puro. Ma dov'era questo essere? L'Ideale avvelenaogni possesso imperfetto; e nell'amore ogni possesso è imperfetto eingannevoleogni piacere è misto di tristezzaogni godimento è dimezzatoogni gioia porta in sé un germe di sofferenzaogni abbandono porta in sé ungerme di dubbio; e i dubbii guastanocontaminanocorrompono tutti i diletticome le Arpie rendevano immangiabili tutti i cibi a Fineo. Perché mai dunqueavrebbe egli di nuovo stesa la mano all'albero della scienza? "The tree of knowledge has been pluck'd- all's known. " "L'albero della scienza è stato spogliato- tutto è conosciuto " comecanta Giorgio Byron nel Don Juan. In veritàper l'avvenirela suasalute stava nella " 11111111 "cioè nella prudenzanella finezzanella cautelanella sagacità. Questo suo intendimento gli pareva bene espressoin un sonetto d'un poeta contemporaneo cheper certa affinità di gustiletterarii e comunanza di educazione esteticaegli prediligeva. Sarò comecolui che si distende sottol'ombra d'un grande albero carco ormaisazio di trar balestra od arco; ein sul capo il maturo frutto pende.Non ei scuote quel ramoné protende lamanné veglia in su le prede al varco. Giace;e raccoglie con un gesto parco ifrutti che quel ramo al suol rende.Di tal soave polpa ei nel profondo nonmordea ricercar l'intima essenza perchéteme l'amaro; anzi la fiuta poisuggecon piacer limpidosenza aviditàné triste né giocondo. La suafavola breve è già compiuta. Mala " 22222222 "se può valere ad escludere in parte dalla vita ildoloreesclude anche ogni alta idealità. La salute dunque stava in una speciedi equilibrio goethiano tra un cauto e fine epicureismo pratico e il cultoprofondo e appassionato dell'Arte. -L'Arte! L'Arte! - Ecco l'Amante fedelesempre giovineimmortale; ecco la Fontedella gioia puravietata alle moltitudiniconcessa agli eletti; ecco ilprezioso Alimento che fa l'uomo simile a un dio. Come aveva egli potuto beveread altre coppe dopo avere accostate le labbra a quell'una? Come aveva eglipotuto ricercare altri gaudii dopo aver gustato il supremo? Come il suo spiritoaveva potuto accogliere altre agitazioni dopo aver sentito in sél'indimenticabile tumulto della forza creatrice? Come le sue mani avevan potutooziare e lascivire su i corpi delle femmine dopo aver sentito erompere dalledita una forma sostanziale? Comeinfinei suoi sensi avean potuto indebolirsie pervertirsi nella bassa lussuria dopo essere stati illuminati da unasensibilità che coglieva nella apparenze le linee invisibilipercepival'impercettibileindovinava i pensieri nascosti della Natura? Unimprovviso entusiasmo l'invase. In quel mattin religiosoegli voleva di nuovoinginocchiarsi all'altare esecondo il verso del Goetheleggere i suoi atti didivozione nella liturgia d'Omero. "Ma se la mia intelligenza fosse decaduta? Se la mia mano avesse perduta laprontezza? S'io non fossi più degno? " A questo dubbiol'assalseuno sbigottimento così forte ch'eglicon una smania puerilesi mise a cercarequal potesse essere una prova immediata per aver la certezza che il suo era unirragionevole timore. Avrebbe voluto sùbito fare un esperimento reale: comporreuna strofa difficiledisegnare una figuraincidere un ramesciogliere unproblema di forme. Ebbene? E poi? non sarebbe stato quello un esperimentofallace? La lenta decadenza dell'ingegno può anche essere inconsciente: qui stail terribile. L'artista cha a poco a poco perde le sue facoltà non si accorgedella sua debolezza progressiva; poiché insieme con la potenza di produrre e diriprodurre lo abbandona anche il giudizio criticoil criterio. Egli nondistingue più i difetti dell'opera suanon sa che la sua opera è cattiva omediocre; s'illude; crede che il suo quadroche la sua statuache il suo poemasieno nelle leggi dell'Arte mentre son fuori. Qui sta il terribile. L'artistacolpito nell'intelletto può non avere conscienza della propria aberrazione. Eallora? Fu pel convalescente unaspecie di pànico. Egli si strinse le tempie fra le palme; e rimase alcuniistanti sotto l'urto di quel pensiero spaventevolesotto l'orrore di quellaminacciacome annientato. - Megliomeglio morire! - Non maicome in quelmomentoaveva sentito il divino pregio del dono; non mai come in quelmomentola scintilla gli era parsa sacra. Tutto il suo essere tremavacon una strana violenzaal solo dubbio che quel dono potesse struggersichequella scintilla potesse spegnersi. - Meglio morire! Levòil capo; scosse da sé ogni inerzia; discese nel parco; camminò lentamentesotto gli alberinon avendo un pensiero determinato. Un soffio leggero correvasu le cime; a intervallile foglie si scompigliavano con un fruscìo fortecome se per mezzo vi passasse una torma di scoiattoli; piccoli frammenti dicielo apparivano tra i ramicome occhi cerulei sotto palpebre verdi. In unluogo favoritoch'era una specie di lucus minimo in signoria di una Ermaquadrifronte intenta a una quadruplice meditazioneegli sostò; e si mise asedere sull'erbacon le spalle appoggiate alla base del simulacrocon lafaccia rivolta al mare. D'innanzi a luicerti fustidiritti e digradanti comele canne della fistola di Panesecavano l'oltramarino; intornogli acantiaprivano con sovrana eleganza i cesti delle loro foglieintagliatesimetricamente come nel capitello di Callimaco. Iversi di Salmace nella Favola d'Ermafrodito gli vennero alla memoria." Nobili acantio voi ne le terrestri selveindizi di pacealte corone dipura forma; o voisnelli canestri cheil Silenzio con lieve man compone araccogliere il fiore de' silvestri Sogniqual mai virtù sul bel garzone versasteda le foglie oscura e dolce? Eidormenudo; e il braccio il capo folce." Altri versi gli vennero alla memoriaaltri ancóraaltri ancóratumultuariamente. La sua anima si empì tutta d'una musica di rime e di sillaberitmiche. Egli gioiva; quella spontanea improvvisa agitazion poetica gli dava uninesprimibile diletto. Egli ascoltava in sé medesimo que' suonicompiacendosidelle ricche imaginidegli epiteti esattidelle metafore lucidedelle armoniericercatedelle squisite combinazioni di iati e di dieresidi tutte le piùsottili raffinatezze che variavano il suo stile e la sua metricadi tutti imisteriosi artifizii dell'endecasillabo appresi dagli ammirabili poeti del XIVsecolo e in ispecie dal Petrarca. La magia del verso gli soggiogò di nuovo lospirito; e l'emistichio sentenziale d'un poeta contemporaneo gli sorridevasingolarmente. - " Il Verso è tutto. " Ilverso è tutto. Nella imitazion della Natura nessun istrumento d'arte è piùvivoagileacutovariomultiformeplasticoobedientesensibilefedele.Più compatto del marmopiù malleabile della cerapiù sottile d'un fluidopiù vibrante d'una cordapiù luminoso d'una gemmapiù fragrante d'un fiorepiù tagliente d'una spadapiù flessibile d'un virgultopiù carezzevole d'unmurmurepiù terribile d'un tuonoil verso è tutto e può tutto. Può renderei minimi moti del sentimento e i minimi moti della sensazione; può definirel'indefinibile e dire l'ineffabile; può abbracciare l'illimitato e penetrarel'abisso; può avere dimensioni d'eternità; può rappresentare il sopraumanoil soprannaturalel'oltramirabile; può inebriare come un vinorapire comeun'estasi; può nel tempo medesimo posseder il nostro intellettoil nostrospiritoil nostro corpo; puòinfineraggiungere l'Assoluto. Un versoperfetto e assolutoimmutabileimmortale; tiene in sé le parole con lacoerenza d'un diamante ; chiude il pensiero come in un cerchio preciso chenessuna forza mai riuscirà a rompere; diviene indipendente da ogni legame daogni dominio; non appartiene più all'arteficema è di tutti e di nessunocome lo spaziocome la lucecome le cose immanenti e perpetue. Un pensieroesattamente espresso in un verso perfetto è un pensiero che già esisteva preformatonella oscura profondità della lingua. Estratto dal poetaséguita adesistere nella conscienza degli uomini. Maggior poeta è dunque colui che sadiscopriredisviluppareestrarre un maggior numero di codeste preformazioniideali. Quando il poeta è prossimo alla scoperta d'uno di tali versi eternièavvertito da un divino torrente di gioia che gli invade d'improvviso tuttol'essere. Quale gioia è più forte? -Andrea socchiuse un poco gli occhiquasi per prolungare quel particolar brividoch'era in lui foriero della inspirazione quando il suo spirito si disponevaall'opera d'artespecialmente al poetare. Poipieno d'un diletto non maiprovatosi mise a trovar rime con la èsile matita su le brevi pagine bianchedel taccuino. Gli vennero alla memoria i primi versi d'una canzone delMagnifico: Parton leggieri e pronti dalpetto i miei pensieri... Quasisempreper incominciare a comporreegli aveva bisogno d'una intonazionemusicale datagli da un altro poeta; ed egli usava prenderla quasi sempre daiverseggiatori antichi di Toscana. Un emistichio di Lapo Giannidel Cavalcantidi Cinodel Petrarcadi Lorenzo de' Mediciil ricordo d'un gruppo di rimelacongiunzione di due epitetiuna qualunque concordanza di parole belle e benesonantiuna qualunque frase numerosa bastava ad aprirgli la venaa darglipercosì direil launa nota che gli servisse di fondamento all'armoniadella prima strofa. Era una specie di topica applicata non alla ricerca degliargomenti ma alla ricerca dei preludii. Il primo settenario medìceo gli offerseinfatti la rima; ed egli vide distintamente tutto ciò ch'egli volevamostrare al suo imaginario uditore in persona dell'Erma; einsieme con lavisionenel tempo medesimosi presentò spontaneamente al suo spirito la formametrica in cui egli doveva versarecome un vino in una coppala poes ia.Poiché quel suo sentimento poetico era dupliceo meglionasceva da uncontrastocioè dal contrasto fra l'abiezion passata e la presenterisurrezionee poiché nel suo movimento lirico procedeva per elevazioneeglielesse il sonetto; la cui architettura consta di due ordini: del superiorerappresentato dalle due quartine e dell'inferiore rappresentato dalle dueterzine. Il pensiero e la passione dunquedilatandosi nel primo ordinesisarebber raccoltirinforzatielevati nel secondo. La forma del sonettopuressendo meravigliosamente bella e magnificaè in qualche parte manchevole;perché somiglia una figura con il busto troppo lungo e le gambe troppo corte.Infatti le due terzine non soltanto sono in realtà più corte dellequartineper numero di versi; ma anche sembrano più corte dellequartineper quel che la terzina ha di rapido e di fluido nell'andatura sua inconfronto alla lentezza e alla maestà della quartina. Quegli è migliorearteficeil quale sa coprire la mancanza; il qu alecioèserbando alleterzine la imagine più precisa e più visibile e le parole più forti e piùsonoreottiene che le terzine grandeggino e armonizzino con le superiori strofesenza però nulla perdere della lor leggerezza e rapidità essenziali. Idipintori del Rinascimento sapevano equilibrare una intiera figura con ilsemplice svolazzo d'un nastro o d'un lembo o d'una piega. Andreanel comporrestudiava se medesimo curiosamente. Non aveva fatto versi da grantempo. Quell'intervallo d'ozio aveva nociuto alla sua abilità tecnica? Glipareva che le rimeuscenti a mano a mano dal suo cervelloavessero un sapornuovo. La consonanza gli veniva spontaneasenza ch'ei la cercasse; e i pensierigli nascevano rimati. Poid'un trattoun intoppo arrestava il fluire; un versogli si ribellava; tutto il resto gli si scomponeva come un musaico sconnesso; lesillabe lottavano contro la constrizion della misura; una parola musicale eluminosache gli piacevaera esclusa dalla severità del ritmo ad onta d'ognisforzo; da una rima nasceva un'idea nuovainaspettataa sedurloa distrarlodall'idea primitiva; un epitetopur essendo giusto ed esattoaveva un suonodebole; la tanto cercata qualitàla coerenzamancava completamente; e lastrofa era come una medaglia riuscita imperfetta per colpa d'un fonditoreinesperto il qual non avesse saputo calcolare la quantità di metallo fusonecessaria a riempirne il cavo. Eglicon acuta pazienzarimetteva di nuova nelcrogiuolo il metalloe ricominciala l'opera da capo. La strofa alla fine gliusciva intera e precisa; qualche versoqua e làaveva una certa asprezzapiacente; a traverso le ondulazioni del ritmo appariva evidentissima lasimetria; la ripetizion delle rime faceva una musica chiararichiamando allospirito con l'accordo de' suoni l'accordo de' pensieri e rafforzando con unlegame fisico il legame morale; tutto il sonetto viveva e respirava come unorganismo indipendentenell'unità. Per passare da un sonetto all'altro egli tenevauna notacome in musica la modulazione da un tono all'altro è preparatadall'accordo di settimanel qual si tiene la nota fondamentale per farne ladominante del nuovo tono. Cosìcomponevaor rapido or lentocon un diletto non mai provato; e il luogoraccoltoin veritàpareva escito dalla fantasia d'un solitario egipane deditoai carmi. Il marementre più cresceva il giornobalenava fra i tronchi comenegli intercolunnii d'un portico di diaspro; gli acanti corintii eran come lecoronazioni abbattute di quelle colonne arboree; nell'ariaglauca come l'ombrad'un antro lacustreil sole gittava a quando a quando strali e anelli e dischid'oro. CertoAlma Tadema avrebbe ivi imaginata una Saffo dal crin di violaseduta sotto l'Erma di marmopoetante su la lira di sette cordein mezzo a uncoro di fanciulle dal crin di fiamma pallide e intente a bevere dall'adonio lacompiuta armonia di ciascuna strofe. Quandoegli ebbe condotti a termine i quattro sonettitrasse un respiro e li recitòsenza vocecon una enfasi interiore. L'apparente rottura del ritmo nel quintoverso dell'ultimocausata dalla mancanza di un accento tonico e quindi d'unaposa grave della ottava sillabagli parve efficace e la mantenne. Quindiscrisse i quattro sonetti su la base quadrangolare dell'Erma: ogni faccia unoin quest'ordine. I Erma quadratale tue quattro fronti sannomie novità meravigliose? Spirticantandoda le sedi ascose partonodel mio cor leggieri e pronti Ilcor mio prode tutte impure fonti serròcacciò da se tutt'altre cose impuretutte fiamme obbrobriose domòruppe all'assedio tutti i ponti. Spirticantandosalgono. Ben odo iol'inno; e inestinguibilepossente delperiglio di me mi prende un riso. Pallidosì ma come un reio godo sentirnel core l'anima ridente mentreil già vinto Mal rimiro fiso. II L'animaride li amor suoi lontani mentrefiso rimiro il Mal già vinto chein guei difoco intrichi aveami spinto comein boschi nudriti da vulcani. Ornel gran cerchio de' dolori umani entranovizia in veste jacinto dietrolasciando il falso laberinto ovei belli ruggìan mostri pagani. Nonpiù sfinge con unghie auree l'abbranca nongórgone la fa pietra restare nonsirena per lunga ode l'incanta. Altain sommo del cerchioun'assai bianca donnacon atto di comunicare tienfra le pure dita l'Ostia santa.III Ella fuor de l'insidie e fuor de l'ire efuor de' dannista pacata e forte comecolei che può fino a la morte sapereil Malesenza quel soffrire. -O voi che fate tutti i venti aulire ched'avete in signorìa tutte le porte iometto a' vostri piedi la mia sorte: Madonname 'l vogliate consentire! Folgorane la pura mano vostra quell'Ostiadesiatacome un sole. Nonvedrò dunque il gesto che consente? -Ed ellach'è benigna a chi si prostra comunicandodice le parole: - Offerto t'èil tuo Benanzi è presente. IV Io- dice - son l'innaturale Rosa generatadal sen de la Bellezza. Io sonche infondo la supremo ebrezza. Ioson colei che esalta e che riposa.Ara con piantianima dolorosa permietere con canti d'allegrezza. Dopoun lungo dolorla mia dolcezza passeràdi dolcezza ogni altra cosa. - -Tal siaMadonna; e dal mio cor disgorghi gransanguee i fiumi scorrano sul mondo eil dolore immortal pur gli rinnovie me stesso travolgano que'gorghi mecoprano; ma veda io dal profondo laluce che a la invitta anima piovi.- DIE XII SEPTEMBRIS MDCCCLXXXVI.

Libro secondo - 2

Schifanoja sorgeva su la collinanel punto in cui la catena dopo averseguito il litorale ed abbracciato il mare come in un anfiteatropiegava versol'interno e declinava alla pianura. Sebbene edificata dal cardinale AlfonsoCarafa d'Ateletanella seconda metà del XVIII secolola villa aveva nella suaarchitettura una certa purezza di stile. Formava un quadrilateroalto di duepianiove i portici si alternavano con gli appartamenti; e le aperture de'portici appunto davano all'edificio agilità ed eleganzapoiché le colonne e ipilastri ionici parevano disegnati e armonizzati dal Vignola. Era veramente unpalazzo d'estateaperto ai venti del mare. Dalla parte dei giardinisulpendioun vestibolo metteva su una bella scala a due rami discendente in unripiano limitato da balaustri di pietra come un vasto terrazzo e ornato di duefontane. Altre scale dalle estremità del terrazzo si prolungavano giù per ilpendio arrestandosi ad altri ripiani sinchè terminavano quasi sul mare e daquesta infe riore area presentavano alla vista una specie di settempliceserpeggiamento tra la verdura superba e tra i foltissimi rosai. Le meraviglie diSchifanoja erano le rose e i cipressi. Le rosedi tutte le qualitàdi tuttele stagionierano a bastanza pour en tirer neuf ou dix muytz d'eaue rosecome avrebbe detto il poeta del Vergier d'honneur. I cipressiacuti edoscuripiù ieratici delle piramidipiù enigmatici degli obelischinoncedevano né a quelli della Villa d'Este né a quelli della Villa Mondragone néa quanti altri simili giganti grandeggiano nelle gloriate ville di Roma. Lamarchesa d'Ateleta soleva passare a Schifanoja l'estate e parte dell'autunno;poiché ellapur essendo tra le dame una delle più mondaneamava la campagnae la libertà campestre ed ospitare amici. Ella aveva usato ad Andrea infinitecure e premuredurante la malattiacome una sorella maggiorequasi come unamadresenza stancarsi. Una profonda affezione la legava al cugino. Ella era perlui piena d'indulgenze e di perdoni; era un'amica buona e francacapace dicomprendere molte coseprontasempre gaiasempre argutaa un tempo spiritosae spirituale. Pur avendo varcata da circa un anno la trentinaconservava unamirabile vivacità giovenile e una grande piacenzapoiché possedeva il segretodella signora di Pompadourquella beauté sans traits che può avvivarsid'inaspettate grazie. Anche possedeva una virtù raraquella che comunemente sichiama " il tatto ". Un delicato genio feminile erale di guidainfallibile. Nelle sue relazioni con innumerevoli conoscenti d'ambo i sessiella sapeva semprein ogni circostanzacome contenersi; e non metteva mai errorinon pesava mai su la vita altruinon veniva mai inopportuna né diveniva maiimportunafaceva sempre a tempo ogni suo atto e diceva a tempo ogni sua parola.Il suo contegno verso Andreain questo periodo di convalescenza un po' strano einegualenon poteva esserein veritàpiù squisito. Ella cercava in tutti imodi di non disturbarlo e di ottenere che nessuno lo disturbasse; gli lasciavapienissima libertà; mostrava di non accorgersi delle bizzarrie e dellemalinconie; non l'infastidiva mai con domande indiscrete; faceva sì che la suacompagnia gli fosse leggera nelle ore obbligatorie; rinunziava perfino ai mottiin presenza di luiper evitargli la fatica d'un sorriso forzato. Andrea.che comprendeva quella finezzaera riconoscente. Il12 di settembredopo i sonetti dell'Ermaegli tornò a Schifanoja con unainsolita letizia; incontrò Donna Francesca su la scala e le baciò le manidicendole con un tono di gioco: -Cuginaho trovato la Verità e la Via. -Alleluia! - fece Donna Francescalevando le belle braccia rotonde. - Alleluia!Ed ella discese nei giardini e Andrea salìalle sue stanzecol cuor sollevato. Dopopocoegli udì battere leggermente all'uscio e la voce di Donna Francescachiedere: - Posso entrare? Ellaentrò portando nella sopravveste e tra le braccia un gran fascio di rose roseebianchegiallevermigliebrune. Alcune larghe e chiarecome quelle dellaVilla Pamphilyfreschissime e tutte imperlateavevano non so che di vitreo trafoglia e foglia; altre avevano petali densi e una dovizia di colore che facevapensare alla celebrata magnificenza delle porpore d'Elisa e di Tiro; altreparevano pezzi di neve odorante e facevano venire una strana voglia di morderlee d'ingoiarle; altre erano di carneveramente di carnevoluttuose come le piùvoluttuose forme d'un corpo di donnacon qualche sottile venatura. Le infinitegradazioni del rossodal cremisi violento al color disfatto della fragolamaturasi mescevano alle più fini e quasi insensibili variazioni del biancodal candore della neve immacolata al colore indefinibile del latte appena muntodell'ostiadella midolla d'una cannadell'argento opacodell'alabastrodell'opale. - Oggi è festa - elladisseridendo; e i fiori le coprivano il petto fin quasi alla gola. -Grazie! Grazie! Grazie! - ripeteva Andrea aiutandola a deporre il fascio sultavolosu i librisu gli albisu le custodie de' disegni. - Rosa rosarum!Ellapoi che fu liberaadunò tutti i vasisparsi per le stanze e si mise a riempirli di rosecomponendo tanti singolimazzi con una scelta che rivelava in lei un gusto raroil gusto della granconvivatrice. Scegliendo e componendoparlava di mille cose con quella sua gaiavolubilitàquasi volesse compensarsi della parsimonia di parole e di risausata fin allora con Andrea per riguardo alla malinconia taciturna di lui.Tra le altre cosedisse: -Il 15 avremo una bella ospite: Donna Maria Ferres y Capdevilala moglie delministro plenipotenziario di Guatemala. La Conosci? -Non mi pare. - Infattinon la puoiconoscere. E' tornata in Italia da pochi mesi; ma passerà l'inverno prossimo aRomaperché il marito è destinato a quel posto. E' una mia amica d'infanziamolto cara. Siamo state insieme a Firenzetre anniall'Annunziata; ma è piùgiovine di me. - Americana? -No; italiana e di Sienaper giunta. Nasce di casa Bandinellibattezzata conl'acqua della Fonte Gaia. Ma è piuttosto malinconicadi natura; e tanto dolce.La storia del suo matrimonioancheè poco allegra. Quel Ferres non èsimpatico punto. Hanno però una bambina ch'è un amore. Vedrai; pallida pallidacon tanti capellicon due occhi smisurati. Somiglia molto alla madre... GuardaAndreaquesta rosase non pare di velluto! E quest'altra? Me la mangerei. Maguardapropriose non pare una crema ideale. Che delizia! Ellaseguitava a scegliere le rose e a parlare amabilmente. Unprofumo pienoinebriante come un vino di cent'annisaliva dal mucchio; alcunecorolle si sfogliavano e si fermavano tra le pieghe della gonna di DonnaFrancesca; innanzi alla finestranel sole biondissimola punta cupa d'uncipresso accennava appena. E nella memoria di Andrea cantava con insistenzacome una frase musicaleun verso del Petrarca: " Così partìa le rosee le parole. " Due mattine dopoegli offerì in compenso alla marchesad'Ateleta un sonetto curiosamente foggiato all'antica e manoscritto in unapergamena ornata con fregi in sul gusto di quelli che ridono nei messalid'Attavante e di Liberale da Verona. Schifanoia in Ferrara (oh gloriad'Este!) ove il Cossa emulòCosimo Tura in trionfi d'iddiisu per le mura non vide maitanto gioconde feste. Tanterose portò ne la sua veste MonnaFrancesca all'ospite in pastura quantemai n'ebbe il Ciel per avventura biancheangelellea cingervi le teste. Ellaparlava ed iscegliea que'fiori contal vaghezza ch'io pensai: - Non forse venneuna Grazia per le vie del Sole? - Travidiinebriato dalli odori. Un versodel Petrarca a l'aria sorse: "Così partìa le rose e le parole. "Così Andrea cominciava a riavvicinarsi all'Artecuriosamente esperimentandosiin piccoli esercizii e in piccoli giuochima ben meditando opere meno lievi.Molte ambizioniche già un tempo l'avevano incitatotornarono ad incitarlo;molti progetti d'un tempo gli si riaffacciarono nello spirito modificati ocompleti; molte antiche idee gli si ripresentarono sotto una luce nuova o piùgiusta; molte imaginiuna volta appena intravistegli brillarono chiare enitidesenza ch'egli potesse rendersi conto di quel loro svolgimento. Pensierisubitanei insorgevano dalle profondità misteriose della conscienza e losorprendevano. Pareva che tutti i confusi elementi accumulati in fondo a luiora combinati con la disposizion particolare della volontàsi trasformasseroin pensieri con lo stesso processo per cui la digestione stomacale elabora icibi e li cangia in sostanza del corpo. Egliintendeva trovare una forma di Poema modernoquesto inarrivabile sogno di moltipoeti; e intendeva fare una lirica veramente moderna nel contenuto ma vestita ditutte le antiche eleganzeprofonda e limpidaappassionata e puraforte ecomposta. Inoltre vagheggiava un libro d'arte su i Primitivisu gli artisti cheprecorrono la Rinascenzae un libro d'analisi psicologica e letteraria su ipoeti del Dugento in gran parte ignorati. Un terzo libro avrebbe egli volutoscrivere sul Berniniun grande studio di decadenzaaggruppando intorno aquest'uomo straordinario che fu il favorito di sei papi non soltanto tuttal'arte ma anche tutta la vita del suo secolo. Per ognuna di tali operebisognavano naturalmentemolti mesimolte ricerchemolte faticheun altocalore d'ingegnouna vasta capacità di coordinazione. Inmateria di disegnoegli intendeva illustrare con acque forti la terza e laquarta giornata del Decarneroneprendendo ad esempio quella Istoria diNastagio degli Onesti ove Sandro Botticelli rivela tanta raffinatezza digusto nella scienza del gruppo e dell'espressione. Inoltre vagheggiava una seriedi Sognidi Capriccidi Grotteschidi CostumidiFavoledi Allegoriedi Fantasiealla maniera volante delCallot ma con un ben diverso sentimento e un ben diverso stileper potersiliberamente abbandonare a tutte le sue predilezionia tutte le sueimaginazionia tutte le sue più acute curiosità e più sfrenate temerità didisegnatore. Il 15 settembreunmercoledìgiunse l'ospite nuova. Lamarchesa andòinsieme con il suo primogenito Ferdinando e con Andreaadincontrar l'amica nella prossima stazione di Rovigliano. Mentre il phaetondiscendeva per la strada ombreggiata di alti pioppila marchesa parlavadell'amica ad Andrea con molta benevolenza. -Credo che ti piacerà - ella concluse. Poisi mise a riderecome per un pensiero che le attraversasse lo spiritoimprovvisamente. - Perché ridi? - lechiese Andrea. - Per un'analogia.- Quale? -Indovina. - Non so. -Ecco: pensavo a un altro annunzio di presentazione e a un'altra presentazionech'io ti fecison quasi due anniaccompagnandola con una profezia allegra. Tiricordi? - Ah! -Rido perché anche questa volta si tratta di una incognita e anche questa voltaio sarei... l'auspice involontaria. -Ohibò. - Ma il caso è diversoossiaè diverso il personaggio del possibile dramma. -Cioè? - Maria è una turriseburnea. - Io sono ora un vasspirituale. - Guarda! Dimenticavoche tu hai finalmente trovato la Verità e la Via. " L'anima ride li amorsuoi lontani... " - Tu citi imiei versi? - Li so a memoria. -Che amabilità! - Del restocarocuginoquell'" assai bianca donna " con l'Ostia in mano m'èsospetta. M'ha tutta l'aria d'una forma fittiziad'una stola senza corpochesia alla mercede di quella qualunque anima d'angelo o di demonio intenzionatad'entrarcidi amministrarti la comunione e di farti " il gesto checonsente ". - Sacrilegio!Sacrilegio! - Bada a te e fa ben laguardia alla stola e fa molti esorcismi... Ricasco nelle profezie! Proprioleprofezie sono una delle mie debolezze. -Siamo giunticugina. Ridevanoambedue. Entravano nella stazionemancando pochi minuti all'arrivo del treno.Il dodicenne Ferdinandoun fanciullo malaticcioportava un mazzo di rose perofferirlo a Donna Maria. Andreadopo quel dialogosi sentiva allegroleggerovivacissimoquasi che d'un tratto fosse rientrato nella primiera vita difrivolezza e di fatuità: era una sensazione inesplicabile. Gli pareva chequalche cosa come un soffio femineocome una tentazione indefinitagliattraversasse lo spirito. Scelse dal mazzo di Ferdinando una rosa thea e se lamise all'occhiello; diede un'occhiata rapida al suo abbigliamento estivo; siguardò con compiacenza le mani bene curate ch'eran divenute più sottili e piùbianche nella malattia. Fece tutto questo senza riflessionequasi per unistinto di vanità risvegliatosi in lui d'un tratto. -Ecco il treno - disse Ferdinando. Lamarchesa si avanzò incontro alla ben venuta; ch'era già allo sportello esalutava con la mano e accennava con la testa tutt'avvolta d'un gran velo colordi perla coprente a metà il cappello di paglia nera. -Francesca! Francesca! - ella chiamavacon una effusione tenera di gioia.Quella voce fece su Andrea un'impressionsingolare; gli ricordò vagamente una voce conosciuta. Quale? DonnaMaria discese con un atto rapido ed agile; e con un gesto pieno di graziasollevò il velo fitto scoprendosi la bocca per baciare l'amica. SùbitoperAndrea quella signora alta e ondulante sotto il mantello di viaggio e velatadicui egli non vedeva che la bocca e il mentoebbe una profonda seduzione. Tuttoil suo essereilluso in quei giorni da una parvenza di liberazioneeradisposto ad accogliere il fascino dell'" eterno feminino ". Appenasmosse da un soffio di donnale ceneri davano faville. -Mariati presento mio cuginoil conte Andrea Sperelli-Fieschi d'Ugenta.Andrea s'inchinò. La bocca della signora siaperse ad un sorrisoche sembrò misterioso poiché la lucentezza del velonascondeva il resto della faccia. Quindila marchesa presentò Andrea a Don Manuel Ferres y Capdevila. Poi disseaccarezzando i capelli della bimba che guardava il giovine con due dolci occhiattoniti: - Ecco Delfina. Nelphaeton Andrea sedeva di fronte a Donna Maria e a fianco del marito. Ellanon aveva ancor svolto il velo; teneva su le ginocchia il mazzo di Ferdinando edi tratto in tratto lo portava alle narimentre rispondeva alle domande dellamarchesa. Andrea non s'era ingannato: nella voce di lei sonavano alcuni accentidella voce di Elena Mutiperfetti. Una curiosità impaziente l'invasedivedere il volto nascostol'espressioneil colore. -Manuel - dicea elladiscorrendo - partirà venerdì. Poi verrà a riprendermipiù tardi. - Molto tardisperiamo -s'augurò cordialmente Donna Francesca. - Anzi la miglior cosa sarebbe d'andarvia tutti in un giorno. Noi resteremo a Schifanoja sino al primo di novembrenon più oltre. - Se la mamma nonm'aspettasseresterei volentieri con te. Ma ho promesso di trovarmi in tutti imodi a Siena pel 17 d'ottobrech'è il natalizio di Delfina. -Peccato! Il 20 d'ottobre c'è la festa delle donazioni a Roviglianotanto bellae strana. - Come fare? S'io mancassila mamma n'avrebbe certo un gran dolore. Delfina è l'adorata... Ilmarito taceva: doveva essere di natura taciturno. Di mezza tagliaun pocoobesoun po' calvoaveva la pelle d'un color singolared'un pallore traverdognolo e violaceosu cui il bianco dell'occhio nei movimenti dello sguardospiccava come quel d'un occhio di smalto in certe teste di bronzo antiche. Ibaffineriduri ed egualmente tagliati come i peli d'una spazzolaombravanouna cruda bocca sardonica. Egli pareva un uomo tutto irrigato di bile. Potevaaver quarant'anni o poco più. Nella sua persona era qualche cosa di ibrido e disubdoloche non isfuggiva a un osservatore; era quell'indefinibile aspetto diviziosità che portano in loro le generazioni provenienti da un miscuglio dirazze imbastarditecrescenti nella turbolenza. -GuardaDelfinagli aranci tutti fioriti! - esclamò Donna Maria stendendo lamano al passaggio per cogliere un rametto. Lastrada infatti saliva tra due boschi d'agrumiin vicinanza di Schifanoja. Lepiante eran così alte che facevano ombra. Un vento marino alitava e sospiravanell'ombracarico d'un profumo che si poteva quasi bevere a sorsi come un'acquarefrigerante. Delfina aveva posate leginocchia sul sedile e si sporgeva fuor della carrozza per afferrare i rami. Lamadre la cingeva con un braccio per reggerla. -Bada! Bada! Puoi cadere. Aspetta un poco ch'io mi tolga il velo - ella disse. -ScusaFrancesca; aiutami. E chinò latesta verso l'amica per farsi districare il velo dal cappello. In quell'atto ilmazzo di rose le cadde a' piedi. Andrea fu pronto a raccoglierlo; e nelrialzarsi a porgerlovide alfine l'intero volto della signora scoperto. -Grazie - ella disse. Aveva un voltoovaleforse un poco troppo allungatoma appena appena un pocodiquell'aristocratico allungamento che nel XV secolo gli artisti ricercatorid'eleganza esageravano. Ne' lineamenti delicati era quell'espressione tenue disofferenza e di stanchezzache forma l'umano incanto delle Vergini ne' tondifiorentini del tempo di Cosimo. Un'ombra morbidatenerasimile alla fusione didue tinte diafaned'un violetto e d'un azzurro idealile circondava gli occhiche volgevan l'iride lionata degli angeli bruni. I capelli le ingombravano lafronte e le tempiecome una corona pesante; si accumulavano e siattortigliavano su la nuca. Le ciocched'innanziavevan la densità e la formadi quelle che coprono a guisa d'un casco la testa dell'Antinoo Farnese. Nullasuperava la grazia della finissima testa che pareva esser travagliata dallaprofonda massacome da un divino castigo. -Dio mio! - esclamò ellaprovando a sollevare con le mani il peso delle trecceconstrette insieme sotto la paglia. - Ho tutta quanta la testa addolorata comese fossi rimasta sospesa pe' capelli un'ora. Non posso stare molto tempo senzascioglierli; mi affaticano troppo. E' una schiavitù -Ti ricordi- chiese Donna Francesca - in conservatorioquando eravamo in tantea volerti pettinare? Succedevano gran litiogni giorno. FiguratiAndreachecorse perfino il sangue! Ahnon dimenticherò mai la scena tra CarlottaFiordelise e Gabriella Vanni. Era una mania. Pettinar Maria Bandinelli eral'aspirazione di tutte le educandemaggiori e minori. Il contagio si sparse pertutto il conservatorio; ne vennero proibizioniammonizionirigoriminacceperfin di tonsura. Ti ricordiMaria? Tutte le nostre anime erano allacciate daquel bel serpente nero che ti pendeva fino ai calcagni. Che pianti di passionela notte! E quando Gabriella Vanniper gelosiati diede a tradimento unaforbiciata? ProprioGabriella aveva perduta la testa. Ti ricordi? DonnaMaria sorridevad'un certo sorriso malinconico e quasi direi incantato comequel d'una persona che sogni. Nella sua bocca socchiusa il labbro di sopraavanzava un poco quel di sottoma così poco che appena parevae gli angoli sichinavano in giù dolenti e nel loro incavo lieve accoglievano un'ombra. Questecose creavano un'espressione di tristezza e di bontàma temperata da quellafierezza che rivela l'elevazion morale di chi ha molto sofferto e saputosoffrire. Andrea pensò che in nessunadelle sue amiche egli aveva posseduta una tal capigliaturauna così vastaselva e così tenebrosaove smarrirsi. La storia di tutte quelle fanciulleinnamorate d'una trecciaaccese di passione e di gelosiasmanianti di mettereil pettine e le dita nel vivo tesorogli parve un gentile e poetico episodio divita claustrale; e la chiomata nell'imaginazione gli s'illuminò vagamente comel'eroina d'una favolacome l'eroina d'una leggenda cristiana in cui fossedescritta la puerizia d'una santa destinata a un martirio e a una glorificazionefutura. Nel tempo medesimogli sorgeva nello spirito una finzione d'arte.Quanta ricchezza e varietà di linee avrebbe potuto dare al disegno d'una figuramuliebre quella volubile e divisibile massa di capelli neri! Noneranoveramenteneri. Egli li guardavail giorno dopoa mensanel punto incui il riverbero del sole li feriva. Avevano riflessi di viola cupidi que'riflessi che ha la tinta del campeggio o anche talvolta l'acciaio provato allafiamma o anche certa specie di palissandro polito; e parevano aridiper modoche pur nella lor compattezza i capelli rimanevan distaccati l'uno dall'altropenetrati d'ariaquasi direi respiranti. I tre luminosi e melodiosi epitetid'Alceo andavano a Donna Maria naturalmente. " 33333333 " - Ellaparlava con finezzamostrando uno spirito delicato e inchino alle cosedell'intelligenzaalle rarità del gustoal piacere estetico. Possedeva lacoltura abondante e vanal'imaginazione sviluppatala parola colorita di chiha veduto molti paesiha vissuto in diversi climiha conosciuto genti diverse.E Andrea sentiva un'aura esotica involgere la persona di leisentiva da leipartire una strana seduzioneun incanto composto dai fantasmi vaghi delle coselontane c h'ella aveva guardatedegli spettacoli ch'ella ancóra serbava negliocchidei ricordi che le empivano l'anima. Ed era un incanto indefinibileinesprimibile; era come s'ella portasse nella sua persona una traccia della lucein cui erasi immersade' profumi ch'ella aveva respiratidegli idiomi ch'ellaaveva uditi; era come s'ella portasse in sé confusesvaniteindistinte tuttele magie di que' paesi del Sole. Laseranella gran sala che dava sul vestiboloella s'accostò al pianoforte el'aperse per provarlodicendo: -Suoni ancóratuFrancesca? - Ohno- rispose la marchesa. - Ho smesso di studiareda parecchi anni. Penso che lasemplice audizione sia una voluttà preferibile. Però mi do l'aria diproteggere l'arte; e l'inverno in casa mia presiedo sempre a un po' di buonamusica. E veroAndrea? - Mia cuginaè assai modestaDonna Maria. E' qualche cosa più che una protettrice; e unarestauratrice del buon gusto. Proprio quest'annonel febbraioin casa suapersua curasono stati eseguiti due Quintettiun Quartetto e un Trio delBoccherini e un Quartetto del Cherubini: musica quasi in tutto dimenticatamaammirabile e sempre giovine. Gli Adagio e i Minuetti delBoccherini sono d'una freschezza deliziosa; i Finali soltanto mi paionoun po' invecchiati. Voicertoconoscete qualche cosa di lui... -Mi ricordo d'aver sentito un Quintetto quattro o cinque anni faalConservatorio di Bruxelles; e mi parve magnificoe poi nuovissimopienod'episodii inaspettati. Mi ricordo bene che in alcune parti il Quintettoperl'uso dell'unisonosi riduceva a un Duo; ma gli effetti ottenuti con ladifferenza dei timbri erano d'una finezza straordinaria. Non ho ritrovato nulladi simile nelle altre composizioni strumentali. Ellaparlava di musica con sottilità d'intenditrice; e per rendere il sentimentoche una data composizione o l'intera arte di un dato maestro suscitava in leiaveva espressioni ingegnose ed imagini ardite. -Io ho eseguita ed ascoltata molta musica - diceva ella. - E di ogni Sinfoniadiogni Sonatadi ogni Notturnodi ogni singolo pezzo insommaconservo unaimagine visibileun'impressione di forma e di coloreuna figuraun gruppo difigureun paesaggio; tanto che tutti i miei pezzi prediletti portano un nomesecondo l'imagine. Io hoper esempiola Sonota delle quaranta nuore diPriamoil Notturno della Bella addormentata nel boscola Gavottadelle dame giallela Giga del mulinoil Preludio della gocciad'acquae così via. Ella si misea ridered'un tenue riso che su quella bocca afflitta aveva una indicibilegrazia e sorprendeva come un baleno inatteso. -Ti ricordiFrancescain collegiodi quanti commenti in margine affliggemmo lamusica di quel povero Chopindel nostro divino Federico? Tu eri la miacomplice. Un giorno mutammo tutti i titoli allo Schumanncon gravi discussioni;e tutti i titoli avevano una lunga nota esplicativa. Conservo ancóra quellecarteper memoria. Oraquando risuono i Myrthen e le Albumblättertutte quelle significazioni misteriose mi sono incomprensibili; la commozione ela visione sono assai diverse; ed è un fino piacere questodi poter paragonareil sentimento presente con il passatola nuova imagine con l'antica. E unpiacere simile a quello che si prova nel rileggere il proprio Giornale; ma èforse più malinconico e più intenso. Il Giornale in genere è la descrizionedegli avvenimenti realila cronaca dei giorni felici e dei giorni tristilatraccia grigia o rosea lasciata dalla vita che fugge; le note prese in margined'un libro di musicain giovinezzasono invece i frammenti del p oema segretod'un'anima che si schiudesono le effusioni liriche della nostra idealitàintattasono la storia dei nostri sogni. Che linguaggio! Che parole! TiricordiFrancesca? Ella parlava conpiena confidenzaforse con una leggera esaltazione spiritualecome una donnachelungamente oppressa dalla frequentazion forzata di gente inferiore o da unospettacolo di volgaritàabbia il bisogno irresistibile di aprire il suointelletto e il suo cuore a un soffio di vita più alta. Andrea l'ascoltavaprovando per lei un sentimento dolce che somigliava alla gratitudine. Gli parevache ellaparlando di tali cose innanzi a lui e con luigli desse una provagentile di benevolenza e quasi gli permettesse di avvicinarsi. Egli credevaintravedere lembi di quel mondo interiore non tanto pel significato delle parolech'ella dicevaquanto pe' suoni e per le modulazioni della voce. Di nuovoegliriconosceva gli accenti dell'altra. Erauna voce ambiguadirei quasi bisessualedupliceandrogìnica; di due timbri.Il timbro maschilebasso e un poco velatos'ammorbidivasi chiarivas'infemminiva talvolta con passaggi così armoniosi che l'orecchio dell'uditoren'aveva sorpresa e diletto a un tempo e perplessità. Come quando una musicapassa dal tono minore al tono maggiore o come quando una musica trascorrendo indissonanze dolorose torna dopo molte battute al tono fondamentalecosì quellavoce ad intervalli faceva il cangiamento. Il timbro feminile appunto ricordaval'altra. E il fenomeno eratanto singolare che bastava da sola ad occupare l'animo dell'uditoreindipendentemente dal senso delle parole. Le quali quanto più da un ritmo o dauna modulazione acquistano di valor musicaletanto più pèrdono di valoresimbolico. L'animo infattidopo qualche minuto d'attenzionesi piegava alfascino misterioso; e rimaneva sospeso aspettando e desiderando la cadenzasoavecome per una melodia eseguita da uno strumento. -Cantate? - chiese Andrea alla signoraquasi con timidezza. -Un poco - ella rispose. - Cantaunpoco - la pregò Donna Francesca. -Si- consenti ella - ma appena accennandoperché proprioda più d'un annoho perduta ogni forza. Nella stanzaattiguaDon Manuel giocava col marchese d'Ateletasenza romoresenza motto.Nella sala la luce si diffondeva a traverso un gran paralume giapponesetemperata e rossa. Tra le colonne del vestibolo passava l'aria marina e movevadi tratto in tratto le alte tende di Karamanieh recando il profumo dei giardinisottoposti. Negli intercolunnii apparivano Le cime dei cipressi neresolidecome di ebanosopra un cielo diafanotutto palpitante di stelle. DonnaMaria si mise al pianofortedicendo: -Già che siamo nell'antico accennerò una melodia del Paisiello nella Ninapazzauna cosa divina. Ellacantavaaccompagnandosi. Nel fuoco del canto i due timbri della sua voce sifondevano come due metalli preziosi componendo un sol metallo sonorocaldopieghevolevibrante. La melodia del Paisiellosemplicepuraspontaneapienadi soavità accorata e di alata tristezzasu un accompagnamento chiarissimosgorgando dalla bella bocca afflitta s'inalzava con tal fiamma di passione cheil convalescenteturbato fin nel profondosentì passarsi per le vene le notea una a unacome se nel corpo il sangue gli si fosse arrestato ad ascoltare. Ungelo sottile gli prendeva le radici de' capelli; ombre rapide e spesse glicadevano su gli occhi; l'ansia gli premeva il respiro. E l'intensità dellasensazionene' suoi nervi acuitiera tanta ch'egli doveva fare uno sforzo percontenere uno scoppio di lacrime. -OhMaria mia! - esclamò Donna Francescabaciando teneramente su i capelli lacantatrice quando tacque. Andrea nonparlò; rimase seduto nella poltronacon le spalle rivolte al lumecol viso inombra. - Ancóra! - soggiunse DonnaFrancesca. Ella cantò ancóra un'Ariettadi Antonio Salieri. Poi sonò una Toccata di Leonardo Leouna Gavottadel Rameau e una Giga di Sebastiano Bach. Riviveva meravigliosamentesotto le sue dita la musica del XVIII secolocosì malinconica nelle arie didanza: che paion composte per esser danzate in un pomeriggio languido d'unaestate di San Martinoentro un parco abbandonatotra fontane ammutolitetrapiedestalli senza statuesopra un tappeto di rose morteda coppie di amantiprossimi a non amar più.

Libro secondo - 3

- Gittatemi una trecciach'io salga! - gridò Andrearidendogiù dalprimo ripiano della scalaa Donna Maria che stava su la loggia contigua allesue stanzetra due colonne. Era dimattina. Ella stava al sole per farsi asciugare i capelli umidi chel'ammantavano tutta quantacome un velluto d'un bel violetto profondotra ilquale appariva il pallore opaco della faccia. La tenda di telaa metàsollevatad'un vivo colore arancionele metteva in sul capo il bel fregio nerodel lembo nello stile de' fregi che girano intorno gli antichi vasi greci dellaCampania; es'ella avesse avuto intorno le tempie corona di narcisi e da pressouna di quelle grandi lire a nove corde che portano dipinta a encausto l'effigied'Apollo e d'un levrierecerto sarebbe parsa un'alunna della scuola diMitileneuna lirista lesbiaca in atto di riposoma quale avrebbe potutoimaginarla un prerafaelita. - Voigittatemi un madrigale - rispose ellaper giocoritraendosi alquanto. -Vado a scriverlo sul marmo d'un balaustroall'ultima terrazzain vostro onore.Venite a leggerloquando sarete prontapoi. Andreaseguitò a discendere lentamente le scale che conducevano all'ultima terrazza.In quel mattino di settembrel'anima gli si dilatava col respiro. Il giornoaveva una specie di santità; il mare pareva risplendere di luce propriacomese ne' fondi vivessero magiche sorgenti di raggi; tutte le cose erano penetratedi sole. Andrea discendevadi trattoin trattosoffermandosi. Il pensiero che Donna Maria fosse rimasta su la loggiaa guardarlo gli dava un turbamento indefinitogli metteva nel petto un palpitofortequasi l'intimidivacome s'ei fosse un giovinetto in sul primo amore.Provava una beatitudine ineffabile a respirare quella calda e limpida atmosferaove respirava anch'ellaove immergevasi anche il corpo di lei. Un'onda immensadi tenerezza gli sgorgava dal cuore spargendosi su gli alberisu le pietresulmarecome su esseri amici e consapevoli. Egli era spinto come da un bisogno diadorazione sommessaumilepura; come da un bisogno di piegare i ginocchi e dicongiungere le mani e di offerire quell'affetto vago e muto ch'egli non sapevaqual fosse. Credeva sentir venire a se la bontà delle cose e mescersi alla suabontà e traboccare. - Dunque l'amo? - si chiese; e non osò di guardar dentro edi rifletterepoiché temeva che quell'incanto delicato si dileguasse e sidisperdesse come un sogno d'un'al ba. -L'amo? Ed ella che pensa? E s'ella vien solale dirò io che l'amo? - Godevainterrogar sé medesimo e non rispondere e interrompere la risposta del cuorecon una nuova domanda e prolungare quella fluttuazione tormentosa e deliziosa aun tempo. - Nonoio non le dirò che l'amo. Ella è sopra tutte le altre.Si volse; e vide ancórain sommonellaloggianel solela forma di leiindistinta. Ellaforsel'aveva seguito congli occhi e col pensiero fin là giùassiduamente. Per una curiositàinfantile egli pronunziò a voce chiara il nomesu la terrazza solitaria; loripeté due o tre volteascoltandosi. - Maria! Maria! - Nessuna parola giammainessun nome eragli parso pia soavepiù melodiosopiù carezzevole. E pensòche sarebbe stato felice s'ella gli avesse permesso di chiamarla semplicementeMariacome una sorella. Quellacreatura così spirituale ed eletta gli inspirava un senso di devozione e disommessionealtissimo. Se gli avessero chiesto quale cosa sarebbegli stata piùdolceavrebbe risposto con sincerità: - Obedirla. - Nessuna cosa gli avrebbefatto dolore quanto l'esser da lei creduto un uomo comune. Da nessuna altradonnaquanto da leiavrebbe voluto essere ammiratolodatocompreso nelleopere dell'intelligenzanel gustonelle ricerchenelle aspirazioni d'artenegli idealinei sogninella parte più nobile del suo spirito e della suavita. E l'ambizione sua più ardente era di riempirle il cuore. Giàda dieci giorni ella viveva a Schifanoja; e in quei dieci giorni comeinteramente l'aveva ella conquistato! Le loro conversazionisu le terrazze o sui sedili sparsi all'ombra o lungo i viali fiancheggiati di rosaiduravanotalvolta ore ed orementre Delfina correva come una gazelletta tra gliavvolgimenti dell'agrumeto. Ella aveva nel conversare una fluidità mirabile;profondeva un tesoro d'osservazioni delicate e penetranti; rivelavasi talvoltacon un candore pieno di grazia; in proposito de' suoi viaggitalvolta con unasola frase pittoresca suscitava in Andrea larghe visioni di paesi e di marilontani. Ed egli poneva un'assidua cura nel mostrare a lei il suo valorelalarghezza della sua culturala raffinatezza della sua educazionelasquisitezza della sua sensibilità; e un orgoglio enorme gli sollevò tuttol'essere quando ella gli disse con accento di veritàdopo la lettura della Favolad'Ermafrodito: - Nessuna musica miha inebriata come questo poema e nessuna statua mi ha data della bellezzaun'impressione più armonica. Certi versi mi perseguitano senza tregua e miperseguiteranno per lunghissimo tempoforse; tanto sono intensi. Eglioraseduto su i balaustriripensava quelle parole. Donna Maria non era piùnella loggia; anzi la tenda copriva tutto l'intercolunnio. Sarebbe forse discesatra poco. Doveva egli scriverle il madrigalesecondo la promessa? Il piccolosupplizio del versificare a furia gli parve insoffribilein quel grandioso egaudioso giardino ove il sole di settembre faceva dischiudere una specie diprimavera soprannaturale. Perché disperdere quella rara commozione in un giuocoaffrettato di rime? Perché rimpicciolire quel vasto sentimento in un brevesospiro metrico? Risolse di mancare alla promessa; e restò seduto a guardare levele sul limite estremo dell'acquache brillavano a simiglianza di fuochisoverchianti il sole. Ma un'ansietàlo stringeva come più i minuti fuggivano; ed egli volgevasi tutti i minuti avedere se in sommo della scalatra le colonne del vestiboloapparisse unaforma feminile. - Era forse quello un ritrovo d'amore? Veniva forse quella donnain quel luogo a un colloquio segreto? Imaginava ella di lui quell'ansietà?- Eccola! - il cuore gli disse. Ed era.Era sola. Scendeva pianamente. Su la primaterrazzapresso una delle fontanesi soffermò. Andrea la seguiva con gliocchisospesoprovando ad ogni motoad ogni passoad ogni attitudine di leiuna trepidazione come se il motoil passol'attitudine avessero unsignificatofossero un linguaggio. Ellasi mise per quella successione di scale e di terrazze intramezzate d'alberi e dicespugli. La sua persona appariva e scomparivaora tutta interaora dallacintola in suora emergente con la testa fuor d'un rosaio. A volte l'intricodei rami la celava per un buon tratto: si vedeva soltanto negli spazii più radipassare la sua veste oscura o brillare la paglia chiara del suo cappello. Comepiù si avvicinavapiù ella facevasi lentaindugiando per le siepiarrestandosi a guardare i cipressiinchinandosi a raccogliere un pugno difoglie cadute. Dalla penultima terrazza salutò con la mano Andrea che aspettavaritto su l'ultimo gradino; e gli gettò le foglie raccolteche sisparpagliarono come uno sciame di farfalletremolandorimanendo qual più qualmeno nell'ariaposandosi su la pietra con una mollezza di neve. -Ebbene? - chiese ellaa mezzo della branca. Andreapiegò le ginocchia sul gradinolevando le palme. -Nulla! - egli confessò. - Chiedo perdono; ma voi e il sole stamani empite icieli di troppa dolcezza. Adoremus. Laconfessione era sincera e anche l'adorazionesebbene fatte ambedue conun'apparenza di gioco; e certo Donna Maria comprese quella sincentàpoichéarrossì un pocodicendo con una singolare premura: -Alzatevialzatevi. Egli s'alzò. Ellagli tese la manosoggiungendo: - Viperdonoperché siete in convalescenza. Portavaun abito d'uno strano color di ruggined'un color di crocodisfattoindefinibile; d'uno di que' colori cosiddetti estetici che si trovano ne' quadridel divino Autunnoin quelli dei Primitivie in quelli di Dante GabrieleRossetti. La gonna componevasi dimolte pieghediritte e regolariche si partivano di sotto al braccio. Un largonastro verdemaredel pallore d'una turchese malataformava la cintura e cadevacon un solo grande cappio giù pel fianco. Le maniche ampiemolliinfittissime pieghe all'appiccaturasi restringevano intorno i polsi. Un altronastro verdemarema sottilecingeva il colloannodato a sinistra con unpiccolo cappio. Un nastro anche eguale legava l'estremità della prodigiosatreccia cadente di sotto a un cappello di paglia coronato d'una corona digiacinti simile a quella della Pandora d'Alma Tadema. Una grossa turchese dellaPersiaunico gioielloin forma d'uno scarabeoincisa di caratteri come untalismanofermava il collare sotto il mento. -Aspettiamo Delfina - ella disse. - Poi andremo fino al cancello della Cibele.Volete? Ella aveva pel convalescenteriguardi assai gentili. Andrea era ancóra molto pallido e molto scarnoe gliocchi gli si erano straordinariamente ingranditi in quella magrezza; el'espression sensuale della bocca un po' tumida faceva uno strano e attirantecontrasto con la parte superiore del viso. -Si - rispose. - Anzi vi son grato. Poidopo un poco di esitazione: - Mipermettete qualche silenziostamani? -Perché mi chiedete questo? - Mi paredi non aver la voce e di non saper dire nulla. Ma i silenziicerte voltepossono essere gravi e infastidire e anche turbare se si prolungano. Perciò vichiedo se mi permettete di tacere durante il camminoe d'ascoltarvi. -Allorataceremo insieme - disse ellacon un sorriso tenue. Eguardò in altoverso la villacon una impazienza visibile -Quanto tarda Delfina! - Francescas'era già levataquando siete discesa? - domandò Andrea. -Ohno! E' d'una pigrizia incredibile... Ecco Delfina. La vedete? Labimba discendeva rapidamenteseguita dalla sua governante. Invisibile giù perle scaleriappariva su i terrazzi ch'ella attraversava correndo. I capellidisciolti le ondeggiavano per le spallenel vento della corsasotto una largapaglia coronata di papaveri. Quando fu all'ultimo gradinoaperse le bracciaverso la madre e la baciò tante volte su le guance. Poi disse: -Buon giornoAndrea. E gli porse lafrontecon un atto infantile d'adorabile grazia. Erauna creatura fragile e vibrante come uno strumento formato di materie sensibili.Le sue membra eran così delicate che parevan quasi non poter nascondere eneppur velare lo splendor dello spirito entro viventecome una fiamma in unalampada preziosad'una vita intensa e dolce. -Amore! - susurrò la madreguardandola con uno sguardo indescrivibilenelquale esalavasi tutta la tenerezza dell'anima occupata da quell'unico affetto.E Andrea ebbe dalla paroladallo sguardodall'espressionedalla carezza una specie di gelosiauna specie di scoramentocome s'egli sentisse l'anima di lei allontanarsisfuggirgli per sempredivenire inaccessibile. La governantechiese licenza di risalire; ed essi presero il viale degli aranci. Delfinacorreva innanzispingendo un suo cerchio; e le sue gambe dirittestrette nellacalza neraun po' lunghe dell'affilata lunghezza d'un disegno efebicosimovevano con ritmica agilità. - Misembrate un po' triste ora- disse la senese al giovine - mentre dianzinelloscendereeravate lieto. Vi tormenta qualche pensiero? O non vi sentite bene?Ella chiedeva queste cose con una manieraquasi fraternagrave e soavepersuadente alla confidenza. Una voglia timidaquasi una vaga tentazioneprese il convalescentedi mettere il suo bracciosotto il braccio della donna e di lasciarsi condurre da lei in silenzioperquell'ombraper quel profumosu quel suolo consparso di zàgarein quelsentiere che misuravano i vecchi Termini vestiti di musco. Gli pareva quasid'esser tornato ai primi giorni dopo la malattiaa quei giorni indimenticabilidi languoredi felicitàd'inconscienza; e d'aver bisogno d'un appoggio amicod'una guida affettuosad'un braccio familiare. Quel desiderio gli crebbe cosìche le parole gli salivano alle labbra spontaneamente per esprimerlo. Ma invecerispose: - NoDonna Maria; mi sentobene. Grazie. E' il settembre che mi stordisce un poco... Ellalo guardò come se dubitasse della verità di quella risposta. Quindiperevitare il silenzio dopo la frase evasivadomandò: -Preferitefra i mesi neutril'aprile o il settembre? -Il settembre. E' più femininopiù discretopiù misterioso. Pareuna primavera veduta in un sogno. Tutte le pianteperdendo lentamente la forzaperdono anche qualche parte della loro realtà. Guardate il marela giù. Nondà imagine d'un'atmosfera piuttosto che d'una massa d'acqua? Maicome nelsettembrele alleanze del cielo e del mare sono mistiche e profonde. E laterra? Non so perchéguardando un paesedi questo tempopenso sempre a unabella donna che abbia partorito e che si riposi in un letto biancosorridendod'un sorriso attonitopallidoinestinguibile. E' un'impressione giusta? C'èqualche cosa dello stupore e della beatitudine puerperale in una campagna disettembre. Erano quasi alla fine delsentiere. Certe erme aderivano a certi fusti così da formar con essi quasi unsol troncoarboreo e lapideo; e i frutti numerositaluni già tutti d'oroaltri maculati d'oro e di verdealtri tutti verdipendevano in su le teste de'Termini che parean custodire alberi intatti e intangibiliesserne i geniitutelari. - Perché Andrea fu assalito da una inquietudine e da un'ansietàimprovvise avvicinandosi al luogo dovedue settimane innanziaveva scritto isonetti di liberazione? Perché lottò fra il timore e la speranza ch'ella liscoprisse e li leggesse? Perché alcuni di quei versi gli tornarono alla memoriadistaccati dagli altricome rappresentando il suo sentimento presentela suaaspirazione presenteil nuovo sogno ch'egli chiudeva nel cuore? " O voiche fate tutti i venti aulire cheavete in signoria tutte le porte iometto a' vostri piedi la mia sorte: Madonname 'l vogliate consentire! "Era vero! Era vero! Egli l'amava; egli le metteva a' piedi tutta l'anima sua;egli aveva un solo desiderioumile e immenso: - esser terra sotto le vestigiadi lei. - Com'è belloqui! -esclamò Donna Mariaentrando nel dominio dell'Erma quadrifrontenel paradisodegli acanti; - Che odore strano! Sispandeva all'aria infatti un odore di muschiocome per la presenza invisibiled'un insetto d'un rettile muschiato. L'ombra era misteriosae le linee di lucetraversanti il fogliame già tocco dal mal d'autunno erano come raggi lunaritraversanti i vetri istoriati d'una cattedrale. Un sentimento mistopagano ecristianoemanava dal luogocome da una pittura mitologica d'unquattrocentista pio. - Guardateguardate Delfina! - ella soggiunsecon nella voce la commozione di chi vede unacosa di bellezza. Delfina avevaintrecciata ingegnosamente con ramoscelli d'arancio fioriti una ghirlanda; eper una improvvisa fantasia infantileora voleva inghirlandarne la divinità dipietra. Mapoiché non giungeva al sommosi sforzava di riuscir nell'impresaalzandosi su le punte de' piedisollevando il braccioallungandosi come piùpoteva; e la sua forma gracileelegante e viva faceva contrasto con la formarigidaquadrata e solenne del simulacrocome uno stelo di giglio a piè d'unaquercia. Ogni sforzo era vano. Allorasorridendole venne in soccorso la madre. Le prese dalle mani la ghirlanda e laposò su le quattro fronti pensose. Involontariamenteil suo sguardo cadde sule inscrizioni. - Chi ha scritto qui?Voi? - domandò ad Andreasorpresa e lieta. - Sì; è la vostra scrittura.Esùbitosi mise in ginocchio su l'erba aleggere; curiosaquasi avida. Per imitazioneDelfina si chinò dietro lamadrecingendole il collo con le braccia e avanzando il viso contro una guanciadi lei e così quasi coprendola. La madre mormorava le rime. E quelle due figuremuliebrichine a piè dell'alta pietra ghirlandatanella dubbia lucetra gliacanti simbolicifacevano un componimento di linee e di colori tanto armoniosoche il poeta per qualche istante restò sotto il dominio unico del godimentoestetico e della pura ammirazione. Maancóra l'oscura gelosia lo punse. Quella creatura sottilecosì avviticchiataalla madrecosì intimamente confusa con l'anima di leigli parve una nemica;gli parve un insormontabile ostacolo che s'inalzasse contro il suo amorecontroil suo desideriocontro la sua speranza. Egli non era geloso del marito ed erageloso della figlia. Egli voleva possedere non il corpo ma l'animadi quelladonna; e possedere l'anima interacon tutte le tenerezzecon tutte le gioiecon tutti i timoricon tutte le angoscecon tutti i sognicon tutta quantainsomma la vita dell'anima; e poter dire: - Io sono la vita della sua vita.La figliainveceaveva quel possessoincontrastatoassolutocontinuo. Pareva che mancasse alla madre un elementoessenziale della sua esistenzaquando per poco l'adorata era lontana. Unatransfigurazione subitanea avveniva nella sua facciavisibilissimaquando dopoun'assenza breve ella riudiva la voce infantile. Talvoltainvolontariamenteper una segreta rispondenzaquasi direi per legge d'un comun ritmo vitaleellaripeteva il gesto della figliaun sorrisoun'attitudineun'aria del capo.Ella aveva talvoltasu la quiete o sul sonno filialemomenti di contemplazionecosì intensa che pareva aver perduta la conscienza d'ogni altra cosa perdivenir simile all'essere ch'ella contemplava. Quando ella rivolgeva la parolaall'adoratala parola era una carezza e la bocca perdeva ogni traccia didolore. Quando ella riceveva i baciun tremito le agitava le labbra e gli occhile si empivano d'un gaudio indescrivibile tra i cigli palpitanticome gli occhid'una beata in assunzione. Quando ella conversava con altri o ascoltavaparevadi tratto in tratto aver come una sospension del pensiero improvvisacome unamomentanea assenza dello spirito; ed era per la figliaper leisempre per lei." Chi mai poteva rompere quella catena ?Chi poteva conquistare una parte di quel cuoreanche minima? " Andreasoffriva come d'una perdita irrimediabilecome d'una rinunzia necessariacomed'una speranza estinta. " Anche oraanche orala figlia non toglieva alui qualche cosa? " Ella infattiper giocovoleva costringer la madre a restare in ginocchio. Le si abbandonavasopra e la premeva con le braccia intorno al collogridando fra le risa:- Nonono; tu non ti alzerai. Ecome la madre apriva la bocca per parlareella le metteva su la bocca le suepiccole mani per impedir che parlasse; e la faceva ridere; e poi la bendava conla treccia; e non voleva finireaccesa e inebriata dal gioco. GuardandolaAndrea aveva l'impressione come s'ella con quegli atti scuotesse dalla madre edevastasse e disperdesse tutto ciò che nello spirito di lei la lettura de'versi aveva forse fatto fiorire. Quandoflnalmente Donna Maria riuscì a liberarsi dalla dolce tirannellagli disseleggendogli sul volto la contrarietà: -PerdonatemiAndrea. Delfina certe volte ha di queste follie. Quindicon una mano leggeraricompose le pieghe della gonna. Era soffusa d'una tenuefiamma sotto gli occhie anche aveva il respiro un poco alenante. Soggiunsesorridente d'un sorriso che in quella insolita animazione del sangue fu d'unaluminosità singolare: - Eperdonatelain compenso del suo augurio inconsapevole; perché ella dianzi haavuta l'inspirazione di mettere una corona nuziale su la vostra poesia che cantauna comunione nuziale. Il simbolo è un suggello dell'alleanza. -A Delfina e a voigrazie - rispose Andrea che si sentiva chiamar da lei per laprima volta non col titolo gentilizio ma col semplice nome. Quellafamiliarità inaspettata e le parole buone gli rimisero nell'animo laconfidenza. Delfina s'era allontanata per uno de' vialicorrendo. -Questi versi dunque sono un documento spirituale - seguitò Donna Maria. - Me lidarete. perché io li conservi. Eglivoleva dirle: - Vengono a voiogginaturalmente. Sono vostriparlano di voipregano voi. - Ma disseinvecesemplicemente: -Ve li darò Ripresero il camminoverso la Cibele. Prima d'uscire dal dominioDonna Maria si rivolse all'Ermacome se avesse udito un richiamo; e la sua fronte pareva piena di pensiero.Andrea le chiesecon umiltà: - Chepensate? Ella rispose: -Penso a voi. - Che pensate di me?- Penso alla vostra vita d'un tempoch'ionon conosco. Avete molto sofferto? -Ho molto peccato. - E amato anchemolto? - Non so. Forse l'amore non èquale io l'ho provato. Forse io debbo ancóra amare. Non soveramente. Ellatacque. Camminaronol'uno accanto all'altraper un tratto. A destra delsentiere si leavano alti lauriinterrotti da un cipresso a intervalli eguali; eil mare or sì or no rideva in fondotra i fogliami leggerissimiazzurro comeil fiore del lino. A sinistracontro il rialto era una specie di paretesimilealla spalliera d'un lunghissimo sedile di pietraportante in cima ripetuto pertutta la lunghezza lo scudo degli Ateleta e un alerionealterni. A ciascunoscudo e a ciascuno alerione corrispondevapiù sottouna maschera scolpitadalla cui bocca usciva una cannella d'acqua versandosi nelle vasche sottostantiche avean forma di sarcofaghi posti l'uno accanto all'altroornate di storiemitologiche in basso rilievo. Le bocche dovevan esser centoperché il viale sichiamava delle Cento Fontane; ma alcune non versavano piùchiuse dal tempoaltre versavano appena. Molti scudi erano infranti e il musco aveva copertal'impresa; molti alerioni eran decapitati; le figure dei bassi riliev iapparivano tra il musco come pezzi d'argenteria mal nascosti sotto un vecchiovelluto lacerato. Nelle vaschesu l'acqua più limpida e più verde d'unosmeraldotremolava il capelvenere o galleggiava qualche foglia di rosa cadutadai cespugli di sopra; e le cannelle superstiti facevano un canto roco e soaveche correva sul romore del marecome una melodia su l'accompagnamento. -Udite? - chiese Donna Mariasoffermandositendendo l'orecchiopresaall'incanto di quei suoni. - La musica dell'acqua amara e dell'acqua dolce!Ella stava in mezzo del sentiereun po'china verso le fontaneattratta più dalla melodiacon l'indice sollevatoverso la bocca nell'atto involontario di chi teme sia turbata la suaascoltazione. Andreach'era più presso alle vaschela vedeva sorgere sopra unfondo di verdura gracile e gentile quale un pittore umbro avrebbe potuto metterdietro un'Annunciazione o una Natività. -Maria - mormorò il convalescenteche aveva il cuore gonfio di tenerezza. -MariaMaria... Egli provavaun'indicibile voluttà a mescere il nome di lei in quella musica delle acque.Ella premé l'indice su la boccaper indicargli di tacere; senza guardarlo.- Perdonatemi- egli dissesopraffattodalla commozione - ma io non reggo più. E' l'anima mia che vi chiama! Unastrana eccitazion sentimentale l'avea vinto; tutte le sommità liriche del suospirito s'erano accese e fiammeggiavano; l'orala luceil luogotutte le coseintorno gli suggerivano l'amore; dagli estremi limiti del mare insino all'umilecapelvenere delle fontiper lui si disegnava un sol circolo magico; ed eglisentiva che il centro era quella donna. -Voi non saprete mai - soggiunsecon la voce sommessaquasi temendo dioffenderla - non saprete mai fino a qual punto la mia anima è vostra. -Ella divenne anche più pallidacome se tutto tutto il sangue delle vene le sifosse raccolto sul cuore. Non disse nulla; evitò di guardarlo. Chiamòcon lavoce un poco alterata: - Delfina!La figlia non risposeperché s'era forseinternata fra gli alberi all'estremità del sentiere. -Delfina! - ripetépiù fortecon una specie di sbigottimento. Nell'aspettazionedopo il gridosi udivano le due acque cantare in un silenzio che parevaingrandirsi. - Delfina! Unfruscìo venne di tra i fogliami come pel passaggio d'un capriuolo; e la bimbasbucò dal folto dei lauri agilmenteportando tra le mani la paglia colma dipiccoli frutti rossi che aveva colti da un àlbatro. La fatica e la corsal'invermigliavano; molti pruni le restavano tra la lana della tunica; e qualchefoglia le s'impigliava nella ribellion de' capelli. -Oh mammavienivieni meco! Ellavoleva trascinare la madre a cogliere gli altri frutti. -Là giùce n'è un bosco; tanti tanti tanti. Vieni mecomamma; vieni! -Noamore; ti prego. E' tardi. -Vieni! - Ma è tardi. -Vieni! Vieni! Donna Mariadall'insistenza fu costretta a cedere e a farsi condurre per mano. -C'è una via per andare al bosco degli àlbatrisenza passare nel folto - disseAndrea. - Hai intesoDelfina? C'èuna via migliore. - Nomamma. Vienimeco! Delfina la trasse tra gliallòri selvaticidalla parte del mare. Andrea seguiva; ed era felice di poterguardare liberamente d'innanzi a sé la figura dell'amatadi poterla bevere congli occhidi poterne cogliere tutti i moti diversi e i ritmi sempre interrottidel passo sul pendio inegualetra gli ostacoli dei tronchitra gli intralcidei virgultitra le resistenze dei rami. Ma mentre i suoi occhi si pascevano diquelle cosel'anima riteneva sopra tutte le altre un'attitudineun'espressione. - Oh il palloreil pallore di dianzi quando egli avevaprofferite le parole sommesse! E il suono indefinibile di quella voce chechiamava Delfina! - E' ancóralontano? - chiese Donna Maria. - Nonomamma. Eccogià ci siamo. Unaspecie di timidezza invase il giovineal termine del camminio. Non anchedopole parolei suoi occhi s'erano incontrati con gli occhi di lei. Che pensavaella? Che sentiva? Con quale sguardo l'avrebbe ella guardato? -Eccoci! - gridò la bimba. Il lauretoinfatti andavasi diradandoil mare appariva più libero; d'un tratto il boscodei corbezzoli andracni rosseggiò come un bosco di coralli terrestri portantialla sommità de' rami ampie ciocche di fiori. -Che meraviglia! - mormorò Donna Maria. Ilbel bosco fioriva e fruttificava entro una insenatura ricurva come un ippodromoprofonda e solatìadove tutta la mitezza di quel lido raccoglievasi indelizia. I tronchi degli arbustivermigli i piùtaluni giallisorgevanosvelti portando grandi foglie lucideverdi di sopra e glauche di sottoimmobili nell'aria quieta. I grappoli floridisimili a mazzi di mughettibianchi e rosei ed innumerevolipendevano dalle cime dei rami giovini; lebacche rosse e aranciate pendevano dalle cime de' rami vecchi. Ogni pianta n'eracarica; e la magnifica pompa dei fioridei fruttidelle foglie e degli stelidispiegavasicontro il vivo azzurro marinocon la intensità e laincredibilita d'un sonnocome l'avanzo d'un orto favoloso. -Che meraviglia! Donna Maria entravalentamentenon più tenuta per mano da Delfina; che correva folle di gioiaavendo un solo desiderio: quel di spogliare tutto il bosco. -Mi perdonate? - osò dire Andrea. - Io non voleva offendervi. Anzivedendovicosì in altocosì lontana da mecosì puraio pensava che non vi avrei maimai parlato del mio segretoche non vi avrei mai chiesto un consenso né mai viavrei attraversato il cammino. Da che vi ho conosciutaho molto sognato pervoidi giorno e di nottema senza una speranza e senza un fine. Io so che voinon mi amate e che non potete amarmi. Eppurecredetemiio rinunzierei a tuttele promesse della vita per vivere in una piccola parte del vostro cuore...Ella seguitava a camminarelentamentesottoi brillanti alberi che le stendevano in sul capo le ciocche pendulei bianchi erosei grappoli delicati. - CredetemiMariacredetemi. Se ora mi dicessero di abbandonare ogni vanità ed ogniorgoglioogni desiderio ed ogni ambizionequalunque più caro ricordo delpassatoqualunque più dolce lusinga del futuroe di vivere unicamente in voie per voisenza domanisenza ierisenza alcun altro legamesenza alcunaaltra preferenzafuor del mondointeramente perduto nel vostro esserepersemprefino alla morteio non esitereiio non esiterei. Credetemi. Voi miavete guardatoparlatoe sorriso e risposto; voi vi siete seduta accanto a mee avete taciuto e pensato; e avete vissutoaccanto a medella vostra esistenzainterioredi quella invisibile e inaccessibile esistenza ch'io non conoscoch'io non conoscerò mai; e la vostra anima ha posseduta la mia fin nelprofondosenza mutarsisenza pur saperlocome il mare beve un fiume... Che vifa il mio amore? Che vi fa l'amore? E' una parola troppe volte profanataunsentimento falsato troppe volte. Io non vi offro l'amore. Ma non accetteret evoi l'umile tributodi religioneche lo spirito volge a un essere più nobilee più alto? - Ella seguitava acamminarelentamentecol capo chinopallidissimaesangueverso un sedileche stava sul limite del bosco riguardante la sponda. Come vi giunsevi sipiegò a sederecon una specie di abbandonoin silenzio; e Andrea le si miseda presso ancóra parlandole. Ilsedile era un gran semicerchio di marmo biancolimitato per tutta la lunghezzada una spallieralisciolucidosenz'altri ornamenti che una zampa di leonescolpita a ciascuna estremità in guisa di sostegno; e ricordava quelli antichisu' quali nelle isole dell'Arcipelago e nella Magna Grecia e in Pompei le donneoziavano e ascoltavano lèggere i poetiall'ombra degli oleandriin conspettodel mare. Qui gli àlbatri facevano ombra di fiori e di fruttipiù che difoglie; e gli steli di corallo pel contrasto del marmo parean più vivi. -Io amo tutte quelle cose che voi amate; voi possedete tutte quelle cose che iocerco. La pietà che mi venisse da voi mi sarebbe più cara della passione diqualunque altra. La vostra mano sul mio cuore farebbesentogerminare unaseconda giovinezzaassai più pura della primaassai più forte. Quell'eternoondeggiamentoch'è la mia vita interioresi riposerebbe in voi; troverebbe invoi la calma e la sicurtà. Il mio spirito irrequieto e scontentotravagliatoda attrazioni e da repulsioni e da gusti e da disgusti in continua guerraeternamenteirrimediabilmente solotroverebbe nel vostro un rifugio contro ildubbio che contamina ogni idealità e abbatte ogni volere e scema ogni forza.Altri sono più infelici; ma io non so se ci sia stato al mondo uomo men felicedi me. Egli faceva sue le paroled'Obermann. In quella specie d'ebrezza sentimentaletutte le malinconie glirisalivano alle labbra; e il suono stesso della sua voceumile e un po'tremantegli aumentava la commozione. -Io non oso dire i miei pensieri. Stando vicino a voiin questi pochi giornidache vi conoscoho avuto momenti d'oblio così pieno che quasi m'è parso ditornare ai primissimi tempi della convalescenzaquando viveva in me ilsentimento profondo d'un'altra vita. Il passatoil futuro non erano più; anziera come se l'uno non fosse mai stato e l'altro non dovesse mai essere. Il mondoera come un'illusione informe e oscura. Qualche cosa come un sogno vago magrande mi si levava su l'anima: un velo ondeggianteora denso ora diafanoatraverso il quale or sì or no splendeva il tesoro intangibile della felicità.Che sapevate voi di mein quei momenti? Forseeravate lontanacon l'anima;assai assai lontana! Ma purela sola presenza vostra visibile bastava a darmil'ebrezza; io la sentiva fluire nelle mie venecome un sanguee invadere ilmio spiritocome un sentimento sovrumano. Ellatacevacol capo erettoimmobilecon il busto sollevatocon le mani posate sule ginocchianell'attitudine di chi sia tenuto desto da un fiero sforzo dicoraggio contro un languor che l'invada. Ma la sua boccal'espression della suaboccainvano serrata con violenzatradiva una sorta di dolorosa voluttà.- Io non oso dire i miei pensieri. MariaMariami perdonate voi? Mi perdonate? Duepiccole manidi dietro al sedilesi stesero a bendarla e una voce palpitantedi gioia gridò: - Indovina! Indovina!Ella sorriseabbandonata alla spallieraperché Delfina l'attirava tenendole le sue dita su le palpebree Andrea videlucidamentecon una strana chiarezzaquel sorriso lieve disperdere su quellabocca tutto l'oscuro contrasto dell'espression primitivacancellar qualunquetraccia che a lui potesse parere l'indizio d'un consentimento o d'unaconfessionefugar qualunque ombra dubbia che potesse nell'anima di luiconvertirsi in barlume di speranza. E restò come un uomo che sia ingannato dauna coppa creduta quasi colmala quale non offra che aria alla sua sete.- Indovina! Lafiglia copriva di baci forti e rapidi il capo della madrecon una specie difrenesiaforse un poco facendole male. -So chi seiso chi sei - diceva la bendata. - Lasciami! -Che mi dàise ti lascio? - Quelloche vuoi. - Voglio un giumentoperportarmi le albatrelle a casa. Vieni a vedere quante! Giròil sedile e prese per mano la madre. Ella si levò con qualche fatica; epoiche fu in piedibatté più volte le palpebre come per togliersi dalla vista unbarbaglio. Anche Andrea si levò. Seguirono ambedue Delfina. Laterribile creatura aveva spogliato di frutti quasi la metà del bosco. Le piantebasse non mostravano più su i rami una bacca. Ella s'era aiutata con una cannatrovata chi sa dove e aveva fatta una raccolta prodigiosariunendo infine tuttele albatrelle ad un sol mucchio che pareva un mucchio di carboni ardentiper laintensità della tintasul suolo bruno. Ma le ciocche de' fiori non l'avevanoattratta: pendevanobiancheroseegiallettequasi diafanepiù delicate de'grappoli d'un'acaciapiù gentili de' mughettiimmerse nella vaga luce comenella trasparenza d'un latte ambrato. -OhDelfinaDelfina! - esclamò Donna Mariaguardando quella devastazione. -Che hai fatto? La bimba ridevafeliced'innanzi alla piramide vermiglia. -Bisognerà bene che tu lasci qui ogni cosa. -Nono... Ella non volevada prima.Poi ripensò; e disse quasi fra sècon gli occhi luccicanti: -Verrà la cerva a mangiare. Avevaforseveduto apparire la bella bestialibera pel parcoin quelle vicinanze; eil pensiero di aver radunato per lei il cibo l'appagò e le accesel'imaginazione già nudrita delle favole ove le cerve sono fate benigne epossenti che giacciono su cuscini di raso e bevono in coppe di zaffiro. Ellatacqueassortavedendo già forse la bella bestia bionda satollarsid'albatrellesotto le piante fiorite. -Andiamo - disse Donna Maria - ch'è tardi. TenevaDelfina per la manoe camminava sotto le piante fiorite. Sul limite del boscosi soffermòa guardare il mare. Leacqueaccogliendo i riflessi delle nuvoledavano apparenza d'una immensastoffa di setamorbidafluidacangiantemossa in larghe pieghe; e le nuvolebianche e d'orol'una divisa dall'altra ma emergenti da una comune zonasomigliavano statue criselefantine avvolte in veli tenuialzate sopra un pontesenz'archi. In silenzioAndreaspiccò da un àlbatro una ciocca che piegava il ramo col suo pesotanto erafolta; e la offerse a Donna Maria. Ellanel prenderlalo guardò; ma non aprìbocca. Si rimisero pe' sentieri.Delfina ora parlavaparlava abondantementeripetendo senza fine le stessecoseinfatuata della cervamescolando le più strane fantasieinventandolunghe storie monotoneconfondendo una favola con l'altracomponendo intrichine' quali si smarriva ella stessa. Parlavaparlavacon una specied'inconscienzaquasi che l'aria del mattino l'avesse inebriata; e intorno aquella sua cerva chiamava figli e figlie di recenerentolereginellemaghimostritutti i personaggi de' regni imaginariiin follain tumultocomenella metamorfosi continua d'un sogno. Parlava allo stesso modo che un uccellogorgheggiacon modulazioni canoretalvolta con successioni di suoni che noneran parolene' quali esalavasi l'onda musicale già iniziatacome il fremitod'una corda nella pausaquando in quello spirito infantile il legame tra ilsegno verbale e l'idea rimaneva interrotto. Glialtri due non parlavanone ascoltavano. Ma pareva loro che quella cantilenacoprisse i lor pensieriil murmure de' lor pensieripoiché pensando essiavevan l'impressione come se qualche cosa di sonoro sfuggisse dall'intimo dellor cervelloqualche cosa che nel silenzio sarebbesi potuto fisicamentepercepire; ese Delfina per poco tacevaprovavano uno strano sensod'inquietudine e di sospensionecome se il silenzio dovesse rivelare e quasidirei denudare l'anima loro. Il vialedelle Cento Fontane apparve in una prospettiva fuggenteove gli spilli e glispecchi dell'acqua mettevano un fino luccichio vitreouna mobile transparenzaialina. Un pavoneche stava posato su uno degli scudis'involò facendo caderenella vasca sottostante qualche rosa sfogliata. Andrea riconobbealcuni passipiù in làla vasca innanzi a cui Donna Maria gli aveva detto: - Udite?Nel dominio dell'Erma l'odor del muschio nonsi sentiva più. L'Ermacogitabonda sotto la ghirlandaera tutta constellatadai raggi che penetravano tra gli intervalli de' fogliami. I merli cantavanorispondendosi. Delfinapresa da unnuovo capricciodisse: - Mammarendimi la ghirlanda. - Nolasciamolali. Perché la rivuoi? - Rendimelaché la porto a Muriella. - Muriellala guasterà. - Rendimela; ti prego!La madre guardò Andrea. Egli si avvicinòalla pietrale tolse la ghirlanda e rese questa a Delfina. Ne' loro spiritiesaltati la superstizionech'è un degli oscuri turbamenti portati dall'amoreanche nelle creature intellettualidiede all'insignificante episodio lamisteriosità di una allegoria. Parve loro che in quel semplice fatto sioccultasse un simbolo. Non sapevan bene quale; ma ci pensavano. Un versotormentava Andrea. " Non vedrò dunque il gesto che consente? "Un'ansia enorme gli premeva il cuorecome più s'avvicinava il termine delsentiere; ed egli avrebbe dato metà del suo sangue per una parola della donna.Ma fu ella cento volte sul punto di parlaree non parlò. -Guardamammalà giùFerdinandoMuriellaRiccardo... - disse Delfinascorgendo in fondo al sentiere i figli di Donna Francesca; e si spiccò a corsaagitando la corona. - Muriella! Muriella! Muriella!

Libro secondo - 4

Maria Ferres era sempre rimasta fedele all'abitudine giovenile di notarcotidianamente in un suo Giornale intimo i pensierile gioiele tristezzeisognile agitazionile aspirazionii rimpiantile speranzetutte le vicendedella sua vita interioretutti gli episodii della sua vita esternacomponendoquasi un Itinerario dell'Animach'ella di tratto in tratto amava rileggere peraverne una regola nel viaggio futuro e per ritrovar la traccia delle cose dagran tempo morte. Constretta dallecircostanze a ripiegarsi di continuo su sé medesimasempre chiusa nella suapurità come in una torre d'avorio incorruttibile e inaccessibileella provavaun sollievo e un conforto in quella specie di confessione cotidiana affidataalla pagina bianca d'un libro segretissimo. Si lamentava de' suoi travaglis'abbandonava alle lacrimecercava di penetrare gli enigmi del suo cuoreinterrogava la sua conscienzariprendeva coraggio dalla preghierasiritemprava nella meditazioneallontanava da se ogni debolezza ed ogni vanaimaginemetteva il suo spirito nelle mani del Signore. E tutte le paginesplendevano d'una comune luceossia di Verità. . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . "15 settembre 1886 (Schifonoja). - Come mi sento stanca! Ilviaggio mi ha un poco affaticata e quest'aria nuova del mare e della campagnam'ha un poco stordita. Ho bisogno di riposo; e già mi par di pregustare labontà del sonno e la dolcezza del risveglio di domani. Mi sveglierò in unacasa amicanella cordiale ospitalità di Francescain questa Schifanoja che harose così belle e cipressi così grandi; e mi sveglierò avendo innanzi a mequalche settimana di paceventi giorni d'esistenza spiritualeforse più. Sonomolto riconoscente a Francescadell'invito. Rivedendolaho riveduta unasorella. Quante mutazioni in mee quanto profondedai belli anni fiorentini!Francescaa proposito de' miei capelliricordava oggi le passioni e le malinconie di quel tempoe Carlotta Fiordelisee Gabriella Vannie tutta quella storia lontana che ora non mi par vissuta maletta in un vecchio libro obliato o vista in sogno. I capelli non son cadutimason cadute da me ben altre cose più vive. Tanti capelli nel mio capotantespighe di dolore nel mio destino. Maperché mi riprende la tristezza? E perché le memorie mi dànno pena? E perchédi tratto in tratto la mia rassegnazione è scossa? E' inutile lamentarsi soprauna tomba; e il passato è come una tomba che non rende più i suoi morti. Diomiofa tu ch'io me ne ricordi una volta per sempre! Francescae ancóra giovinee conserva ancóra quella sua bella e franca giovialità chein collegio aveva un fascino così strano sul mio spirito un po' oscuro. Ella hauna grande e rara virtu: è gaiama sa intendere i dolori altrui e sa anchelenirli con la sua misericordia consapevole. Ella èsopra tuttouna donnaintellettualeuna donna d'alti gustiuna dama perfettaun'amica che non pesa.Si compiace forse un po' troppo dei motti e delle frasi acutema le sue saettehanno sempre la punta d'oro e son lanciate con una grazia inimitabile. Certofra quante signore mondane ho conosciuteella è la più fine; fra le amicheè la prediletta. I figli non lesomigliano moltonon sono belli. Ma la bimbaMuriellaè assai gentile; ha unriso chiaro e gli occhi della madre. Ha fatto gli onori di casa a Delfina conuna compitezza di piccola dama. Ellacertoerediterà la " gran maniera" materna. Delfina sembra felice.Ha esplorata già la maggior parte del giardinoè andata giù fino al mareèdiscesa per tutte le scale; è venuta a raccontarmi le meraviglieansandodivorando le parolecon negli occhi una specie di barbaglio. Ella ripetevaspesso il nome della nuova amica: Muriella. E' un grazioso nomee su la suabocca diventa più grazioso ancóra. Dormeprofondamente. Quando i suoi occhi son chiusii cigli le fanno sul sommo dellagota un'ombra lunga lunga. Si meravigliava della lunghezzastaserail cuginodi Francesca e ripeteva un verso di Guglielmo Shakespeare nella Tempestamolto bellosu i cigli di Miranda. C'ètroppo odorequi. Delfina ha voluto ch'io le lasciassi il mazzo delle roseaccanto al lettoprima d'addormentarsi. Ma ioora che dormelo toglierò e lometterò su la loggiaal sereno. Sonostancaeppure ho scritto tre o quattro pagine. Ho sonno. eppure vorreiprolungare la veglia per prolungare questo languore dell'anima indefinitoondeggiante in non so che tenerezza diffusa fuori di meintorno a me. Da tantoda tanto tempo non avevo sentito un po' di benevolenza circondarmi! Francescaè molto buonae io le sono molto riconoscente.

*

Ho portato su la loggia il vaso delle rose; e son rimasta là qualche minutoad ascoltare la nottetenuta là dal rammarico di perdere nella cecità delsonno ore che passano sotto un cielo così bello. E' strano l'accordo tra lavoce delle fontane e la voce del mare. I cipressid'innanzi a meparevano lecolonne del firmamento: le stelle brillavan proprio su le cimele accendevano.Perché di notte i profumi hanno nella loroonda qualche cosa che parlahanno un significatohanno un linguaggio? Noi fiori non dormonodi notte. 16settembre. - Pomeriggio deliziosopassato quasi tutto a conversare con Francesca su le loggesu le terrazzeperi vialiin tutti i luoghi aperti di questa villa che pare edificata da unprincipe poeta per dimenticare un affanno. Il nome del palazzo ferrarese leconvien perfettamente. Francesca mi hafatto leggere un sonetto del conte Sperelliscritto su pergamena: una ineziamolto fine. Questo Sperelli è uno spirito eletto ed intenso. Stamania tavolaha detto due o tre cose bellissime. Egli è convalescente d'una ferita mortaleavuta in un duelloa Romanello scorso maggio. Ha negli attinelle parolenello sguardo quella specie d'abbandono affettuoso e delicato ch'è proprio de'convalescentidi quelli che sono usciti dalle mani della morte. Dev'esseremolto giovine; ma deve aver molto vissutoe d'una vita inquieta. Porta i segnidella lotta.

*

Serata deliziosadi conversazione intimadi musica intimadopo il pranzo.Ioforseho parlato troppo; oper lo menotroppo caldamente. Ma Francesca miascoltava e mi secondava; e il conte Sperellianche. Uno de' più alti piacerinella conversazione non volgareappunto è sentire che uno stesso grado dicalore anima tutte le intelligenze presenti. Allora soltantole parole prendonoil suono della sincerità e dànno a chi le profferisce e a chi le ode ilsupremo diletto. II cugino diFrancescaèin musicaun conoscitore raffinato. Ama molto i maestrisettecentisti e in ispecietra i compositori per clavicembaloDomenicoScarlatti. Ma il suo più ardente amore è Sebastiano Bach. Lo Chopin gli piacepoco; il Beethoven gli penetra troppo a dentro e lo turba troppo. Nella musicasacra non trova da paragonare al Bach altri che il Mozart. - Forse - egli hadetto - in nessuna Messa la voce del soprannaturale giunge alla religiosità ealla terribilità a cui è giunto il Mozart nel Tuba mirum del Requiem.Non è vero che sia un grecoun platonicoun puro ricercatore della graziadella bellezzadella serenitàchi ebbe così profondo il senso delsoprannaturale da crear musicalmente il fantasma del Commendatore e chicreandoDon Giovanni e Donna Annaseppe spinger tant'oltre l'analisi dell'essereinterno... Egli ha detto queste paroleed altrecon quel singolare accento che hanno nel parlar d'arte gli uomini iquali sono di continuo assorti nella ricerca delle cose elevate e difficili.Poinell'ascoltarmiaveva una stranaespressionecome di stuporee qualche volta d'ansietà. Io mi rivolgevo quasisempre a Francescacon gli occhi; eppuresentivo lo sguardo di lui fisso su dime con una insistenza che mi dava fastidio ma non mi offendeva. Egli dev'essereancóra malatodebolein preda alla sua sensibilità. M'ha chiesto infine: -Cantate? - allo stesso modo che m'avrebbe chiesto: - Mi amate? Hocantato un'Aria del Paisiello e una del Salieri. Ho suonato un po' di settecento.Avevo la voce calda e la mano felice. Eglinon mi ha fatto alcun elogio. E' rimasto in silenzio. Perché? Delfinadormiva giàquassù. Quando son salita a vederlal'ho trovata che dormiva macon le ciglia umide come s'ella avesse pianto. Povero amore! Dorothy m'ha dettoche la mia voce giungeva fin qui distintamente e che Delfina s'è scossa dalprimo sopore e s'è messa a singhiozzare e voleva discendere. Semprequando iocantoella piange. Ora dorme; ma ditratto in tratto il suo respiro divien più vivosomiglia un singhiozzo spentoe mette nel mio stesso respiro un affanno vagoquasi un bisogno di rispondere aquel singhiozzo inconscioa quella pena che non s'è acquietata nel sonno.Povero amore! Chi suonagiùilpianoforte? Qualcuno accennacon la sordinala Gavotta di Luigi Rameauuna gavotta piena di affascinante malinconiaquella ch'io sonavo dianzi. Chipuò essere? Francesca è risalita con me; è tardi. Misono affacciata alla loggia. La sala del vestibolo è buia; è chiara soltantola sala attigua dove il marchese e Manuel giocano ancóra. LaGavotta cessa. Qualcuno scende per la scalanel giardino. MioDioperché son così attentacosì vigilantecosì curiosa? Perchè i rumorimi scuotono così a dentroquesta notte? Delfinasi svegliami chiama. 17 settembre.- Stamani è partito Manuel. Siamo stati ad accompagnarlo fino alla stazione diRovigliano. Verso il 10 di ottobre egli tornerà a prendermi; e andremo a Sienada mia madre. Io e Delfina rimarremo a Siena probabilmente fino all'anno nuovo:due o tre mesi. Rivedrò la Loggia del Papa e la Fonte Gaia e il mio bel Duomobianco e nerola casa diletta della Beata Vergine Assuntadove una partedell'anima mia è ancóra a pregareaccanto alla cappella Chiginel luogo chesa i miei ginocchi. Ho sempre lucidanella memoria l'imagine del luogo; e quando tornerò m'inginocchierò nel puntopreciso dove io solevaesattamentemeglio che se ci fossero rimasti due caviprofondi. E là ritroverò quella parte dell'anima mia a pregare ancórasottola volta azzurra constellata che si specchia nel marmo come un cielo notturno inun'acqua tranquilla. Nullacertoèmutato. Nella cappella preziosapiena d'un'ombra palpitanted'una oscuritàanimata da' riflessi gemmei delle pietreardevano le lampade; e la luce parevaraccogliersi tutta nel breve cerchio d'olio in cui si nutriva la fiammellacomein un topazio limpido. A poco a pocosotto il mio sguardo intentoil marmoeffigiato prendeva un pallor men freddoquasi direi un tepore d'avorio; a pocoa poco entrava nel marmo la pallida vita delle creature celestie nelle formemarmoree si diffondeva la vaga trasparenza d'una carne angelicale. Quantoera ardente e spontanea la mia preghiera! S'io leggeva la Filotea di SanFrancescomi sembrava che le parole scendessero sul mio cuore come le lacrimedi mielecome stille di latte. S'io mi metteva in meditazionemi sembrava dicamminare per le vie segrete dell'anima come per un giardino di delizia ove gliusignoli cantassero su gli alberi fiorenti e le colombe tubassero in riva airuscelli della Grazia divina. La divozione m'infondeva una calma piena difreschezza e di profumimi faceva dischiudere nel cuore le sante primavere dei Fiorettim'inghirlandava di rose mistiche e di gigli soprannaturali. E nella mia vecchiaSienanella vecchia città della Vergineio udiva sopra tutte le voci irichiami delle campane. 18settembre. - Ora di torturaindefinibile. Mi par d'esser condannata a riappezzarea riappiccarea riunirea ricomporre i frammenti d'un sognodel quale una parte sia per avverarsiconfusamente fuori di me e l'altra si agiti confusamente in fondo al mio cuore.E m'affatico m'affaticosenza riescir mai a ricomporlo per intiero. 19settembre. - Altra tortura.Qualcuno mi cantògran tempo indietro; e non terminò la sua canzone. Qualcunoora mi cantariprendendo la canzone dal punto in cui fu interrotta; ma da grantempo io ho dimenticato il principio. E l'anima inquietamentre cerca diricordarsene per collegarlo al proseguimentosi smarrisce; e non ritrova gliantichi accenti né gode i nuovi. 20settembre. - Oggidopo lacolazioneAndrea Sperelli ha fatto a me e a Francesca l'invito di andare aveder nelle sue stanze i disegni che gli giunsero ieri da Roma. Sipuò dire che tutta un'arte sia passata oggi sotto i nostri occhitutta un'artestudiata e analizzata dalla matita d'un disegnatore. Ho avuto un de' piùintensi godimenti della mia vita. Questidisegni sono di mano dello Sperelli; sono i suoi studiii suoi schizzii suoiappuntii suoi ricordi presi qua e là in tutte le gallerie d'Europa; sonodirò cosìil suo breviarioun meraviglioso breviario nel quale ogni anticomaestro ha la sua pagina supremala pagina ov'è compendiata la manieraoveson notate le bellezze dell'opera più alte e più originaliov'e colto il punctumsaliens di tutta quanta la produzione. Scorrendo questa larga raccoltaionon soltanto mi son fatta un'idea precisa delle diverse scuoledei diversimovimentidelle diverse correntidelle diverse influenze per cui si sviluppala Pittura in una data regione; ma son penetrata nell'intimo spiritonellaessenziale sostanza dell'arte d'ogni singolo pittore. Come profondamente oracomprendoper esempioil XIV e il XV secoloi Trecentisti e iQuattrocentistii semplici i nobili i grandi Primitivi! Idisegni sono conservati in belle custodie di cuoio inciso con borchie e fermaglid'argento imitanti quelli dei messali. La varietà della tecnica èingegnosissima. Certi disegnidal Rembrandtsono eseguiti su una specie dicarta un po' rossastrariscaldata con matita sanguignaacquerellata conbistro; e le luci son rilevate con bianco a tempera. Certi altri disegnidaimaestri fiamminghisono eseguiti su una carta rugosa molto simile alla cartapreparata per la pittura a oliodove l'acquerello di bistro prende il caratteredegli schizzi a bitume. Altri sono a matita sanguignaa matita neraa trematite con qualche tocco di pastelloacquerellati con bistro su tratti a pennaacquerellati con inchiostro di Chinasu carta biancasu carta giallasu cartagrigia. Talvolta la matita sanguigna par che contenga porpora; la matita neradà un segno vellutato; il bistro è caldofulvobiondod'un color ditartaruga fina. Tutte questeparticolarità le ho dal disegnatore; provo uno strano piacere a ricordarleascriverle; mi par d'essere inebriata di arte; ho il cervello pieno di millelineedi mille figure; e in mezzo al tumulto confuso vedo pur sempre ledonne dei Primitivile indimenticabili teste delle Sante e delle Verginiquelle che sorridevano alla mia infanzia religiosanella vecchia Sienadaifreschi di Tadaeo e di Simone. Nessuncapolavoro d'un'arte più avanzata e più raffinata lascia nell'animoun'impressione così fortecosì durevolecosì tenace. Quei lunghi corpisnelli come steli di gigli; quei colli sottili e reclinati; quelle fronticonvesse e sporgenti; quelle bocche piene di sofferenza e di affabilità; quellemani (o Memling!) affilatecereediafane come un'ostiapiù significative diqualunque altro lineamento; e quei capelli rossi come il ramefulvi come l'orobiondi come il mielequasi distinti a uno a uno dalla religiosa pazienza delpennello; e tutte quelle attitudini nobili e gravi o nel ricevere un fiore da unangelo o nel posar le dita sopra un libro aperto o nel chinarsi verso l'infanteo nel sostener su' ginocchi il corpo di Gesù o nel benedire o nell'agonizzare onell'ascendere al Paradisotutte quelle cose puresincere e profondeinteneriscono e impietosiscono fin nell'intimo spinto; e s'imprimono per semprenella memoriacome uno spettacolo di tristezza umana veduto nella realitàdella vitanella realità della morte. Auna a unaoggipassavano le donne dei Primitivisotto i nostri occhi. Io eFrancesca eravamo sedute in un divano bassoavendo d'innanzi a noi un granleggìo sul quale posava la custodia di cuoio con i disegni che il disegnatoreseduto incontrosvolgeva lentamentecomentando. Ad ogni trattoio vedevo lasua mano prendere il foglio e posarlo su l'altra faccia della custodia con unadelicatezza singolare. Perchéad ogni trattosentivo dentro di me unprincipio di brivido come se quella mano stesse per toccarmi? Aun certo puntotrovando forse incomoda la sediaegli s'è messo in ginocchiosul tappeto e ha seguitato a svolgere. Parlandosi dirigeva quasi sempre a me;e non aveva l'aria di ammaestrarmi ma di ragionare con una egual conoscitrice; ein fondo a me si moveva un poco di compiacenzamista di riconoscenza. Quando iofaceva una esclamazione di meravigliaegli mi guardava con un sorriso cheancóra ho presente e che non so definire. Due o tre volte Francesca haappoggiato il braccio su la spalla di luicon familiaritàsenza badarci.Vedendo la testa del primogenito di Mosèpresa dal fresco di Sandro Botticellinella Cappella Sistinaella ha detto: - Ha un po' della tua ariaquando seimalinconico. - Vedendo la testa dell'arcangelo Micheleche è un frammentodella Madonna di Paviadel Peruginoella ha detto: - Somiglia GiuliaMoceto; è vero? - Egli non ha risposto e ha voltato il foglio con minorlentezza. Allora ella ha soggiuntoridendo: - Lungi le imagini del peccato!Questa Giulia Moceto è forse una donna cheun tempo egli amò? Voltato il foglioho provato un incomprensibile desideriodi rivedere l'arcangelo Micheledi esaminarlo con maggiore attenzione. Eracuriosità soltanto? Io non so. Nonoso guardarmi dentronel segreto; amo meglio indugiareingannando me stessa;non penso che o prima o poi tutte le terre vaghe cadono in dominio del Nemico;non ho il coraggio di affrontare la lotta; son pusillanime. Intantol'ora è dolce. Ho una imaginosa eccitazione intellettualecome se avessibevute molte tazze di tè forte. Non ho nessuna volontà di coricarmi. La notteè tiepidissimacome in agosto; il cielo è chiaro ma velatosimile a untessuto di perle; il mare ha una respirazione lenta e sommessama le fontaneriempiono le pause. La loggia m'attira. Sogniamo un poco! Quali sogni? Gliocchi delle Vergini e delle Sante mi perseguitano. Vedo ancóra quegli occhicavilunghi e stretticon le palpebre abbassatedi sotto a cui guardano conuno sguardo affascinantemite come quel d'una colombaun po' obliquo come queld'una serpe. " Sii semplice come la colomba e prudente come la serpe "ha detto Gesù Cristo. Sii prudente.Pregacòricati e dormi. 21settembre. - Ahimèbisogna pursempre ricominciar l'opera durarisalire l'erta già salitariconquistare ilsuolo già conquistato ricombattere la battaglia già vinta! 22settembre. - Egli mi ha donato unsuo libro di poesiaLa Favola d`Ermafroditoil ventunesimo deiventicinque soli esemplaritirato su pergamenacon due prove del frontispizioavanti lettera. E' una singolareoperaove si chiude un senso misterioso e profondosebbene l'elemento musicaleprevalga trascinando lo spirito in una magia inaudita di suoni e avvolgendo ipensieri; che splendono come una polvere d'oro e di diamante in un fiumelimpido. I cori dei CentauridelleSirene e delle Sfingi dànno un turbamento indefinibilesvegliano nell'orecchioe nell'anima una inquietudine e una curiosita non appagateprodotte dalcontinuo contrasto d'un sentimento dupliced'una aspirazione duplicedellanatura umana e della natura bestiale. Ma con qual purezzae come visibilel'ideal forma dell'Androgine si delinea tra gli agitati cori dei mostri! Nessunamusica mi ha inebriata come questo poema e nessuna statua mi ha data dellabellezza un'impressione più armonica. Certi versi mi perseguitano senza treguae mi perseguiteranno per lunghissimo tempoforse; tanto sono intensi.

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Egli mi conquista l'intelletto e l'animaogni giorno piùogni ora piùsenza treguacontro la mia volontàcontro la mia resistenza. Le sue paroleisuoi sguardii suoi gestii suoi minimi moti entrano nel mio cuore. 23settembre. - Quando parliamoinsiemetalvolta io sento che la sua voce è come l'eco dell'anima mia. Accadetalvolta che io mi senta spingere da un subitaneo fascinoda un'attrazioneciecada una violenza irragionevoleverso una fraseverso una parola chepotrebbe rivelare la mia debolezza. Mi salvo per prodigio; e viene allora unintervallo di silenzionel quale io sono agitata da un terribile tremitointeriore. Se riprendo a parlareio dico una cosa frivola e insignificanteconun tono leggero; ma mi pare che una fiamma mi corra sotto la pelle del visoquasi ch'io sia per arrossire. S'egli cogliesse quell'attimo per guardarmirisolutamente negli occhisarei perduta.

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Ho suonato molta musicadi Sebastiano Bach e di Roberto Schumann. Egli stavasedutocome quella seraalla mia destraun poco indietrosu la poltrona dicuoio. Di tratto in trattoalla fine d'ogni pezzoegli si levava echino allemie spallesfogliava il libro per indicarmi un'altra Fugaun altro Intermezzoun altro Improvviso. Quindi si metteva di nuovo a sedere; ed ascoltavasenza muoversiprofondamente assortocon gli occhi fissi sopra di mefacendomi sentire la sua presenza. Intendevaegli quanto di miodel mio pensierodella mia tristezzadel mio essereintimopassava nella musica altrui?

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" Musica- chiave d'argento che apri la fontana delle lacrimeove lospirito beve finché la mente si smarrisce; soavissima tomba di mille timoriove la loro madrel'Inquietudinesimile a un fanciullo che dormagiace sopitane' fiori... " SHELLEY. La notteè minacciosa. Un vento caldo e umido soffia nel giardino; e il fremito cupo siprolunga nell'oscuritàpoi cadepoi ricomincia più forte. Le vette deicipressi oscillano sotto un cielo quasi nerodove le stelle appaionosemispente. Una striscia di nuvole attraversa lo spaziodall'uno all'altroorizzontefrastagliatacontortapiù nera del cielosimile alla capigliaturatragica di una Medusa. Il mare nell'oscurità è invisibile; ma singhiozzacomeun immenso e inconsolabile doloresolo. Cheè mai questo sbigottimento? Mi sembra che la notte mi ammonisca d'una sciaguraprossima e che all'ammonizione risponda in fondo a me un rimorso indefinito. Il Preludiodi Sebastiano Bach ancóra m'incalza; si mesce nell'anima mia con il fremito delvento e con il singhiozzo del mare. Nonpiangevadianziqualche cosa di me in quelle note? Qualcunopiangevagemevaoppresso dall'angoscia; qualcuno piangevagemevachiamavaDiodomandava il perdonoimplorava l'aiutopregava con una preghiera chesaliva al cielo come una fiamma. Chiamava ed era ascoltatopregava ed eraesaudito; riceveva la luce dall'altogittava gridi d'allegrezzastringevaalfine la Verità e la Pacesi riposava nella clemenza del Signore.

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Sempremia figlia mi conforta; e mi guarisce da ogni febbre; come un balsamosublime. Ella dormenell'ombrarischiarata dalla lampada che è mite come una luna. La sua facciabianca dellafresca bianchezza d'una rosa biancaquasi si sprofonda nell'abbondanza de'capelli oscuri. Pare che il fino tessuto delle sue palpebre appena appena riescaa nascondere nell'interno gli occhi luminosi. Io mi piego su leila riguardo; etutte le voci della notte si estinguonoper me; il silenzio per me non èmisurato che dalla respirazione ritmica della sua vita. Ellasente la vicinanza della madre. Leva un braccio e lo lascia ricadere; sorridedalla bocca che si schiude come un fiore perlifero e per un istante tra i cigliappare uno splendore simile all'umido splendore argenteo della polpa d'unasfodelo. Come più la contemplodiventa alla mia vista una creaturaimmaterialeun essere formato dell'elemento as dreams are made on.Perchéa dare un'idea della sua bellezza edella sua spiritualitàsorgono spontanee nella memoria imagini e parole diGuglielmo Shakespearedi questo possente selvaggio atroce poeta che ha cosìmelliflue labbra? Ella crescerànutrita e avvolta dalla fiamma del mio amoremio grande unico amore...Oh DesdemonaOfeliaCordeliaGiulietta! OhTitania! Oh Miranda! 24 settembre.- Io non so prendere una risoluzionenon so fare un proposito. Io mi abbandonoun poco a questo nuovissimo sentimentochiudendo gli occhi sul pericololontanochiudendo gli orecchi alle ammonizioni savie della conscienzacon iltrepidante ardire di chiper cogliere le violettes'avventura su l'orlo d'unabisso in fondo a cui rugge un fiume vorace. Eglinon saprà nulla dalla mia bocca; io non saprò nulla dalla sua. Le Animesaliranno insiemeun breve trattosu per le colline dell'Idealebeverannoqualche sorso alle fonti perenni; quindi ciascuna riprenderà la sua viaconmaggior confidenzacon minor sete.

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Che tranquillità nell'ariadopo il mezzogiorno! Il mare ha il color biancoazzurrognolo latteo d'un opaled'un vetro di Murano: ed è qua e là come uncristallo appannato da un alito.

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Leggo Percy Shelleyun poeta ch'egli amail divino Ariele che si nutre diluce e parla nella lingua degli Spiriti. E' notte. Questa allegoria mi si levad'innanzi visibile. " Una portadi cupo diamante si spalanca sul gran cammino della vita da noi tuttiesercitatouna caverna immensa e corrosa. Intorno imperversa una perpetuaguerra di ombresimili alle nuvole inquiete che s'affollano nella fenditurad'una qualche montagna scoscesaperdendosi in alto fra i turbini del cielosuperiore. E molti passano con passo incuranted'innanzi a quel porticononsapendo che un'ombra segue i vestigi d'ogni passeggero insino al luogo ove imorti aspettano in pace il lor compagno novello. Altri peròmossi da unpensier più curiososi fermano a riguardare. Sono costoro in esilissimonumero; ed ivi ben poco apprendonose non che ombre li seguono ovunque eglinovadano. " Dietro di mecosì dapresso che quasi mi toccaè l'Ombra. Io la sentoche mi guarda; allo stessomodo che ieri sonandosentivo lo sguardo di luisenza vederlo. 25settembre. - Mio Diomio Dio!Quando egli mi ha chiamatacon quella vocecon quel tremitoio ho creduto che il cuore mi si fosse disciolto nel petto ech'io fossi per venir meno. - Voi non saprete mai - egli ha detto - non sapretemai fino a qual punto la mia anima è vostra. Eravamonel viale delle fontane. Io ascoltavo le acque. Non ho visto più nulla; non houdito più nulla; m'è parso che tutte le cose si allontanassero e che il suolosi affondasse e che si dileguasse con loro la mia vita. Ho fatto uno sforzosovrumano; e m'è venuto alle labbra il nome di Delfinae m'è venuto un impetofolle di correre a leidi fuggiredi salvarmi. Ho gridato tre volte quel nome.Negli intervalliil mio cuore non palpitavai miei polsi non battevanodallamia bocca non usciva il respiro... 26settembre.- E vero? Non è uninganno del mio spirito fuorviato? Ma perché l'ora di ieri mi par cosìlontanacosì irreale? Egliparlòdi nuovoa lungostandomi vicinomentre io camminava sotto glialberitrasognata. Sotto quali alberi? Era come s'io camminassi nelle viesegrete dell'anima miatra fiori nati dall'anima miaascoltando le paroled'uno Spirito invisibile che un tempo si fosse nutrito dell'anima mia. Odoancóra le parole soavi e tremende. Eglidiceva: - Io rinunzierei a tutte le promesse della vita per vivere in unapiccola parte del vostro cuore... Diceva:- ... fuor del mondointeramente perduto nel vostro essereper semprefinoalla morte... Diceva: - La pietà chemi venisse da voi mi sarebbe più cara della passione di qualunque altra...- La sola presenza vostra visibile bastava adarmi l'ebrezza; e io la sentiva fluire nelle mie venecome un sangueeinvadere il mio spiritocome un sentimento sovrumano... 27settembre. - Quandosul limitedel boscoegli colse questo fiore e me l'offersenon lo chiamai Vita dellamia vita? Quando ripassammo pelviale delle fontaned'innanzi a quella fontanadove egli prima aveva parlatonon lo chiamai Vita della mia vita? Quandotolse la ghirlanda dall'Erma e la rese a mia figlianon mi fece intendere chela Donna inalzata ne' versi era già decaduta e che io solaio sola ero la suasperanza? Ed io non lo chiamai Vita della mia vita? 28settembre. - Com'è stato lungo avenireil raccoglimento! In tante oredopo quell'oraho lottatoho penatoper rientrar nella mia vera conscienzaper veder le cose nella vera lucepergiudicare l'accaduto con fermo e calmo giudizioper risolvereper decidereper riconoscere il dovere. Io sfuggivo a me stessa; la mente si smarriva; lavolontà si ripiegava; ogni sforzo era vano. Quasi per istintoevitavo dirimaner sola con luimi tenevo sempre vicina a Francesca e a mia figliaorimanevo qui nella stanzacome in un rifugio. Quando i miei occhis'incontravano con i suoimi pareva di legger ne' suoi una profonda esupplichevole tristezza. Non sa egli quantoquantoquanto io l'ami? Nonlo sa; non lo saprà mai. Così voglio. Debbo così. Coraggio ! MioSignoreaiutatemi voi. 29settembre. - Perché ha parlato?Perché ha voluto rompere l'incanto del silenzio ove l'anima mia si cullavasenza quasi rimorso e senza quasi paura? Perché ha voluto strappare i velivaghi dell'incertezza e mettermi in conspetto del suo amore svelato? Ormai nonposso più indugiarenon posso più illuderminé concedermi una mollezzanéabbandonarmi a un languore. Il pericolo è lacertoapertomanifesto; em'attira con la vertiginecome un abisso. Un attimo di languoredi mollezzaeio sono perduta.

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Io mi domando: - E' un dolor sincero il mioè un sincero rammaricoperquella rivelazione inattesa? Perché penso sempre a quelle parole? E perchéquando le ripeto in me stessaun'onda ineffabile di voluttà mi attraversa? Eperché un brivido mi corre per tutte le midollese imagino che potrei udirealtre parolealtre parole ancóra?

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Un verso di Guglielmo Shakespearenel As you like it: " Whoever lov'dthat lov'd not at first sight? " Notte. - I moti delmio spirito prendono forma d'interrogazionidi enigmi. Io interrogo di continuome stessa e non rispondo mai. Non ho avuto il coraggio di guardar proprio infondodi conoscere con esattezza il mio statodi prendere una risoluzioneveramente forte e leale. Io sono pusillanimeio sono vile; ho paura del dolorevoglio soffrire il meno possibile; voglio ancóra ondeggiaretemporeggiarepalliaresalvarmi con sotterfuginascondermiinvece d'affrontare a visoaperto la battaglia decisiva. Il fattoè questo: che io temo di rimaner sola con luid'aver con lui uncolloquio gravee che la mia vita qui è ridotta una continuazione di piccoleastuziedi piccoli ripieghidi piccoli pretesti per evitare la sua compagnia.L'artificio è indegno di me. O voglio assolutamente rinunziare a questo amore;ed egli udrà la mia parola triste ma ferma. O voglio accettarlonella suapurità; ed egli avrà il mio consenso spirituale. Oraio mi domando: - Che voglio? Quale scelgo delle due vie? Rinunziare? Accettare?Mio Diomio Diorispondete voi per meilluminatemi voi! Rinunziare è omaicome strappar con le mie unghie una parte viva del mio cuore. L'angoscia saràsupremalo spasimo passerà i limiti d'ogni sofferenza; ma l'eroismoper lagrazia di Dioverrà coronato dalla rassegnazioneverrà premiato dalla divinadolcezza che segue ogni forte elevazion moraleogni trionfo dell'anima su lapaura di soffrire. Rinunzierò. Miafiglia manterrà il possesso di tutto tutto il mio esseredi tutta tutta la miavita. Questo è il dovere. " Ara con piantianima dolorosa permietere con canti d'allegrezza!" 30 settembre. - Scrivendo queste paginemi sento un poco piùcalma: riacquistoalmeno momentaneamenteun poco di equilibrio e considero conmaggior lucidità il mio infortunio e mi par che il cuore si alleggerisca comedopo una confessione. Ohs'io potessiconfessarmi! S'io potessi chiedere consiglio e aiuto al mio vecchio amicoalmio vecchio consolatore! In questeturbolenzemi sostiene più d'ogni altra cosa il pensiero ch'io rivedrò frapochi giorni Don Luigi e che gli parlerò e che gli mostrerò tutte le miepiaghee gli scoprirò tutte le mie paure e gli chiederò un balsamo per tuttii miei malicome un tempo; come quando la sua parola mite e profonda chiamavalacrime di tenerezza su' miei occhi che ancóra non conoscevano il sale amarod'altre lacrime o l'arsioneben più terribiledell'aridità. Micomprendera egli ancóra? Comprenderà le oscure angosce della donna allo stessomodo che comprendeva le malinconie della fanciulla indefinite e fugaci? Rivedròinchinarsi verso di mein atto di misericordia e di compatimentola sua bellafronte incoronata di capelli bianchiilluminata di santitàpura come l'ostianel ciboriobenedetta dalla mano del Signore?

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Ho sonatosu l'organo della cappellamusica di Sebastiano Bach e delCherubinidopo la messa. Ho sonato il Preludio dell'altra sera. Qualcunopiangevagemevaoppresso dall'angoscia; qualcuno piangevagemevachiamavaDiodomandava il perdonoimplorava l'aiutopregava con una preghiera chesaliva al cielo come una fiamma. Chiamava ed era ascoltatopregava ed eraesaudito; riceveva la luce dall'altogittava gridi d'allegrezzastringevaalfine la Verità e la Pacesi riposava nella clemenza del Signore. Quest'organonon è grandela cappella non è grande; eppure la mia anima s'è dilatata comein una basilicas'è inalzata come in una cupola immensaha toccato il culminedell'aguglia ideale ove splende il segno dei segninell'azzurro paradisiaconell'etere sublime. Io penso aimassimi organi delle cattedrali massimea quelli di Amburgodi StrasburgodiSivigliadella badia di Weingartendella badia di Subiacodei Benedettini inCataniadi Montecassinodi San Dionigi. Qual vocequal coro di vociqualmoltitudine di grida e di preghierequal canto e qual pianto di popoli eguagliala terribilità e la soavità di questo prodigioso istrumento cristiano che puòriunire in se tutte le intonazioni da orecchio umano percettibili e leimpercettibili ancóra? Io sogno: - unDuomo solitarioimmerso nell'ombramisteriosonudosimile alla profonditàd'un cratere spento che riceva dall'alto una luce siderale; e un'Anima ebrad'amoreardente come quella di san Paolodolce come quella di san Giovannimolteplice come mille anime in unabisognosa d'esalar la sua ebrietà in unavoce sopraumana; e un organo vasto come una foresta di legno e di metallochecome quel di San Sulpizioabbia cinque tastiereventi pedalicento ottoregistripiù di settemila cannetutti i suoni. Notte.- Invano! Invano! Nessuna cosa mi calma; nessuna cosa mi dà un'oraun minutoun attimo di oblio; nessuna cosa mai mi guarirà; nessun sogno della mia mentecancellerà il sogno del mio cuore. Invano! Lamia angoscia è mortale. Io sento che il mio male è incurabile; il cuore miduole come se proprio me l'avessero strettome l'avessero premutomel'avessero guasto per sempre; il dolore morale è così intenso che si cangia indolore fisicoin uno spasimo atroceinsostenibile. Io sono esaltatalo so; iosono in preda a una specie di follia; e non posso vincerminon possocontenerminon posso riprendere la mia ragione; non possonon posso. Questoè dunque l'amore? Egli e partitostamania cavallocon un servosenza ch'io l'abbia veduto. La mia mattina èpassata quasi tutta nella cappella. Per l'ora della colazione egli non èritornato. La sua assenza mi faceva soffrire così ch'io era stupitadell'acutezza di quel soffrire. Son venuta qui nella stanza; per diminuir lapenaho scritta una pagina del Giornaleuna pagina religiosariscaldandomi alricordo della mia fede matutina; poi ho letto qualche brano dell'Epipsychidiondi Percy Shelley; poi son discesa nel parco a cercar di mia figlia. In tuttiquesti attiil pensiero vivo di lui mi tenevami occupavami tormentava senzatregua. Quando ho riudita la sua voceio era sulla prima terrazza. Egli parlava con Francescasul vestibolo.Francesca s'è affacciatachiamandomi dall'alto: - Vieni su. Risalendola scalasentivo che le ginocchia mi si piegavano. Salutandomiegli mi ha tesala mano; e deve aver notato il tremito della mia perché ho visto qualche cosapassargli nello sguardorapidamente. Ci siamo seduti su le lunghe sedie dipaglianel vestibolorivolti al mare. Egli ha detto d'essere molto stanco; es'è messo a fumareraccontando la sua cavalcata. Era giunto sino a Vicomìledove aveva fatto una sosta. -Vicomìle - ha detto - possiede tre meraviglie: una pinetauna torree unostensorio del Quattrocento. Figuratevi una pineta tra il mare e il colletuttapiena di stagni che moltiplicano il bosco all'infinito; un campanile di stillombardo barbaroche risale certo al XI secolouno stelo di pietra carico disirenedi paonidi serpentidi Chimered'ippogrifidi mille mostri e dimille fiori; e un ostensorio d'argento doratosmaltatointagliato e cesellatodi foggia gotico-bizantina con un presentimento della Rinascenzaopera delGallucciartefice quasi ignotoch'è un gran precursore di Benvenuto...Egli si rivolgeva a meparlando. E' stranocome io ricordo esattamente tutte le sue parole. Potrei scrivere per intera lasua conversazionecon le particolarità più insignificanti e minute; se cifosse un mezzopotrei riprodurre ogni modulazione della sua voce. Eglici ha mostrato due o tre piccoli disegni a matitasul suo taccuino. Poi haseguitato a parlare delle meraviglie di Vicomìlecon quel calore ch'egli haquando parla di cose bellecon quell'entusiasmo d'artech'è una delle suepiù alte seduzioni. - Ho promesso alCanonico che sarei tornato domenica. Andremo; è veroFrancesca? Bisogna cheDonna Maria conosca Vicomìle. Ohilmio nome su la sua bocca! Se ci fosse un modopotrei riprodurre esattamentel'attitudinel'apertura delle sue labbra nel profferire ciascuna sillaba delledue parole: - Donna Maria. - Ma non mai potrei esprimere la mia sensazione; nonpotrei mai mai ridire tutto ciò che di sconosciutod'inopinatod'insospettatosi va risvegliando nel mio essere alla presenza di quell'uomo. Siamorimasti là sedutifino all'ora del pranzo. Francesca parevacontro il suosolitoun poco malinconica. A un certo puntoil silenzio è caduto su noigravemente. Ma tra lui e me è incominciato un di que' colloqui di silenzioove l'anima esala l'Ineffabile e intende il murmure dei pensieri. Egli mi dicevacose che mi facevano languir di dolcezza sopra il cuscino: cose che la sua boccanon potrà mai ripetermi e il mio orecchio non potrà mai udire. D'innanzii cipressi immobilileggeri alla vista quasi fossero immersi in un eteresublimanteaccesi dal soleparevano portare una fiamma alla sommitàcome itorchi votivi. Il mare aveva il color verde d'una foglia d'aloee qua e là ilcolor mavì d'una turchina liquefatta: una indescrivibile delicatezza dipalloriuna diffusion di luce angelicataove ogni vela dava imagine d'unangelo che nuotasse. E la concordia dei profumi illanguiditi dall'Autunno eracome lo spirito e il sentimento di quello spettacolo pomeridiano. Ohmorte serena di settembre! Anchequesto mese è finitoè perdutoè caduto nell'abisso. Addio. Unatristezza immensa mi opprime. Quanta parte di me porta seco questa parte ditempo! Ho vissuto più in quindici giorni che in quindici anni; e mi sembra chenessuna delle mie lunghe settimane di dolore eguagli in acutezza di spasimoquesta breve settimana di passione. Il cuore mi duole; la testa mi si perde; unacosa oscura e bruciante è in fondo a meuna cosa ch'è apparsa d'improvvisocome un'infezione di morbo e che incomincia a contaminarmi il sangue e l'animacontro ogni volontàcontro ogni rimedio: il Desiderio. Ion'ho vergogna e raccapricciocome d'un disonorecome d'un sacrilegiocomed'una violazione; io n'ho una paura disperata e follecome d'un nemicofraudolento che a penetrar nella cittadella conosca vie da me stessa nonconosciute. E intanto io veglionellanotte; escrivendo questa pagina nell'orgasmo in cui gli amanti scrivono leloro lettere d'amorenon odo il respiro di mia figlia che dorme. Ella dorme inpace; ella non sa quanto l'anima della madre sia lontana... 1ottobre. - I miei occhi vedono inlui quel che prima non vedevano. Quando egli parlaio guardo la sua bocca; el'attitudine e il colore delle labbra mi occupano più che il suono e ilsignificato delle parole. 2 ottobre.- Oggi è sabato: oggi è l'ottavo giorno dal giorno indimenticabile: - 25SETTEMBRE I886.

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Per un caso singolaresebbene io ora non eviti di trovarmi sola con luisebbene anzi io desideri che venga il momento terribile ed eroico; per un casosingolareil momento non è venuto. Francescaè rimasta sempre con meoggi. Stamani abbiamo fatto una cavalcata per la viadi Rovigliano. E abbiamo passato il pomeriggio quasi tutto al pianoforte. Ellaha voluto ch'io le sonassi alcune danze del XVI secolopoi la Sonata in fadiesis minore e la celebre Toccata di Muzio Clementipoi due o tre Capriccidi Domenico Scarlatti; e ha voluto ch'io le cantassi alcune parti dei Frauenliebedi Roberto Schumann. Che contrasti! Francescanon è più gaiacome una voltacom'era anche ai primi giorni della mia dimoraqui. Spessoella è pensosa; quando ridequando scherzala sua gaiezza misembra artificiale. Le ho chiesto: - Hai qualche pensiero che ti tormenta? -Ella mi ha rispostomostrando di meravigliarsi: - Perché? Io ho soggiunto: -Ti vedo un po' triste. - Ed ella: - Triste? Oh no; t'inganni. - Ed ha risomad'un riso involontariamente amaro. Questacosa mi affligge e mi dà una inquietudine vaga.

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Andremo dunque domani a Vicomìledopo mezzogiorno. Egli mi ha domandato: -Avreste forza di venire a cavallo? A cavallo potremmo traversare tutta lapineta... Poi anche mi ha detto: -Rileggetetra le liriche dello Shelley a Janela Recollection. Dunqueandremo a cavallo; verrà a cavallo anche Francesca. Gli altricompresaDelfinaverranno in mail-coach. Inche disposizion di spirito strana mi trovo io stasera! Ho come un'ira sorda eacre in fondo al cuoree non so perché; ho come una insofferenza di me e dellamia vita e di tutto. L'eccitazion nervosa è così forte che mi prende di trattoin tratto un pazzo impeto di gridaredi ficcarmi le unghie nella carnedirompermi le dita contro la paretedi provocare un qualunque spasimo materialeper sottrarmi a questo insopportabile malessere interiorea questoinsopportabile affanno. Mi par d'avere un nodo di fuoco a sommo del pettolagola chiusa da un singhiozzo che non vuole uscirela testa vacuaora freddaora ardente; e di tratto in tratto mi sento attraversare da una specied'ansierà subitaneada uno sbigottimento irragionevole che non riesco arespingere mai né a reprimere. Ea voltea traverso il mio cervello guizzanoimagini e pensieri involontarii che sorgono chi sa da quali profonditàdell'essere: imagini e pensieri indegni. E languo e vengo menocome una che siaimmersa in un amore allacciante; e pur tuttavia non è un piacerenon è unpiacere! 3 ottobre.Com'è debole e misera l'anima nostrasenza difesa contro i risvegli e gliassalti di quanto men nobile e men puro dorme nella oscurità della nostra vitainconscientenell'abisso inesplorato ove i ciechi sogni nascono dalle ciechesensazioni! Un sogno può avvelenareun'anima; un sol pensiero involontario può corrompere una volontà.

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Andiamo a Vicomìle. Delfina è in letizia. La giornata è religiosa. Oggi èla festa di Maria Vergine del Rosario. Coraggioanima mia! 4ottobre. - Nessun coraggio.La giornata di ieri fu per me così piena dipiccoli episodii e di grandi commozionicosì lieta e così tristecosìstranamente agitata che io mi smarrisco nel ricordarla. E già tutti tutti glialtri ricordi impallidiscono e si dileguano innanzi ad un solo. Dopoaver visitata la torre ed avere ammirato l'ostensorioci accingemmo a ripartirda Vicomìle verso le cinque e mezzo. Francesca era stanca; e le piacquepiuttosto che rimontare a cavallotornar col mail-coach. Noi seguimmoper un trattocavalcando ora indietro ora ai lati. Di sul legnoDelfina eMuriella agitavano verso noi lunghe canne fiorite e ridevano minacciandoci con ibei pennacchi violacei. Era una seratranquillissimasenza vento. Il sole stava per cadere dietro il colle diRoviglianoin un cielo tutto rosato come un cielo dell'Estremo Oriente. Roserose rose piovevano da per tuttolentespessemollia simiglianza d'unanevata in un'aurora. Quando il sole scomparvele rose si moltiplicaronosidiffusero fin quasi all'orizzonte oppostoperdendosisciogliendosi in unazzurro chiarissimoin un azzurro argentinoindefinibilesimile a quello ches'incurva su le cime delle montagne coperte di ghiacci. Eraegli che di tratto in tratto mi diceva: - Guardate la torre di Vicomìle.Guardate la cupola di San Consalvo... Quandola pineta fu in vistaegli mi chiese: - Attraversiamo? Lastrada maestra costeggiava il boscodescrivendo una larga curva e avvicinandosial marefin quasi sul lidonella sommità dell'arco. Il bosco appariva giàtutto cupod'un verde tenebrosocome se l'ombra si fosse accumulata su lechiome degli alberi lasciando ancor limpida l'aria superiore; maper entroglistagni risplendevano d'una luce intensa e profondacome frammenti d'un cieloassai più puro di quello che si diffondeva sul nostro capo. Senzaaspettare la mia rispostaegli disse a Francesca: -Noi attraversiamo la pineta. Ci ritroveremo su la stradaal ponte del Convitodall'altra parte. E trattenne ilcavallo. Perché acconsentii? Perchéentrai con lui? Io aveva negli occhi una specie di abbagliamento; mi parevad'essere sotto l'influenza d'una fascinazione confusa; mi pareva che quelpaesaggioquella lucequel fattotutta quella combinazione di circostanze nonfossero per me nuovi ma già un tempo esistitiquasi direi in una mia esistenzaanterioreed ora riesistenti... L'impressione è inesprimibile. Mi parevadunque che quell'orache quei momentiessendo stati già da me vissutinon sisvolgesserofuori di meindipendenti da mema mi appartenesseroma avesserocon la mia persona un legame naturale e indissolubile così ch'io non potessisottrarmi a riviverli in quel dato modo ma dovessi anzi necessariamenteriviverli. Io aveva chiarissimo il sentimento di questa necessità. L'inerziadella mia volontà era assoluta. Era come quando un fatto della vita ritorna inun sogno con qualche cosa di più della veritàe di diverso dalla verità. Nonriesco nemmeno a rendere una minima parte di quel f enomeno straordinario.E una segreta rispondenzaun'affinitàmisteriosa era tra l'anima mia e il paesaggio. L'imagine del bosco nelle acquedegli stagni pareva infatti l'imagine sognata della scena reale. Comenella poesia di Percy Shelley ciascuno stagno pareva essere un breve cielo ches'ingolfasse in un mondo sotterraneo; un firmamento di luce roseadisteso su laterra oscurapiù infinito dell'infinita notte e più puro del giorno; dove glialberi si sviluppavano allo stesso modo che nell'aria superiore ma di forme e ditinte più perfetti che qualunque altro di quelli in quel luogo ondeggianti. Evedute soaviquali non mai si videro nel nostro mondo di soprav'eran dipintedall'amor dell'acque per la bella foresta; e tutta la lor profondità erapenetrata d'un chiarore elisiod'un'atmosfera senza mutamentod'un vespro piùdolce che quel di sopra. Da chelontananza del tempo era venuta a noi quell'ora? Andavamoal passonel silenzio. I rari gridi delle gazzel'andatura e il respiro deicavalli non turbavano la tranquillità che pareva di minuto in minuto farsi piùgrande e più magica. Perché volleegli rompere la magia da noi stessi generata? Egliparlò; egli mi versò sul cuore un'onda di parole ardentifolliquasiinsensateche in quel silenzio degli alberi mi sbigottivano poiché prendevanoqualche cosa di non umanoqualche cosa d'indefinibilmente strano eaffascinante. Non fu umile e sommesso come nel parco; non mi disse le suesperanze timide e scoratele sue aspirazioni quasi mistichele sue tristezzeincurabili; non pregònon implorò. Egli aveva la voce della passioneaudacee forte; una voce ch'io non gli conosceva. -Voi mi amatevoi mi amate; voi non potete non amarmi! Ditemi che miamate! Il suo cavallo camminavarasente al mio. Ed io mi sentivo da lui sfiorare; e credevo anche di sentire sula guancia il suo alitol'ardore delle sue parole; e credevo di venir meno peril grande orgasmo e di cadergli fra le braccia. -Ditemi che mi amate! - egli ripetevaostinatamentesenza pietà. - Ditemi chemi amate! Nella terribileesasperazione datami dalla sua voce incalzanteio credo che dissinon so secon un grido o con un singultofuori di me: -Vi amovi amovi amo! E spinsi ilcavallo di carriera per la via appena tracciata nella densità de' tronchinonsapendo che facessi. Egli mi seguivagridandomi: - MariaMariafermatevi!Vi farete male... Non mi fermai; nonso come il mio cavallo evitò i tronchi; non so come non caddi. Io non so ridirel'impressione che mi dava nella corsa la foresta cupa interrotta dalle larghemacchie lucenti degli stagni. Quando infine uscii su la stradaalla parteoppostapresso il ponte del Convitomi sembrò escire da un'allucinazione.Egli mi dissecon un po' di violenza:- Volevate uccidervi? Udimmoil romore della carrozza avvicinarsi; e movemmo incontro. Egli voleva ancóraparlarmi. - Tacetevi prego; perpietà! - imploraipoiché sentivo che non avrei potuto regger più oltre.Egli tacque. Poicon una sicurezza che mistupìdisse a Francesca: - Peccatoche tu non sia venuta! Era un incanto... Eseguitò a parlarefrancamentesemplicementecome se nulla fosse accaduto;anzi con una certa gaiezza. E io gli ero grata della dissimulazione che parevami salvassepoiché certose avessi dovuto io parlaremi sarei tradita; e ilsilenzio d'ambedue sarebbe stato forse per Francesca sospetto. Incominciòdopo qualche tempola salita verso Schifanoja. Nella serache immensamalinconia! Il primo quarto della luna brillava in un ciel delicatoun po'verdeove i miei occhiforse i miei occhi soltantovedevano ancóra una lieveapparenza di roseodel roseo che illuminava gli stagnilà giùnellaforesta. 5 ottobre.- Egli ora sa che io l'amo; lo sa dalla mia bocca. Io non ho più scampo chenella fuga. Eccodove son giunta. Quandomi guardaha in fondo agli occhi un luccicore singolare che prima non aveva.Oggiin un minuto in cui Francesca non era presentemi ha presa la manofacendo l'atto di baciarmela. Io son riuscita a ritrarla; ed ho visto le suelabbra agitate da un piccolo tremito; ho sorpreso su le sue labbrain unattimoquasi direi la figura del bacio non iscoccatoun'attitudine che m'èrimasta nella memoria e non mi va più vianon mi va più via! 6ottobre. - Il 25 di settembresulsedile di marmonel bosco degli àlbatriegli mi disse: - Io so che voi non miamate e che non potete amarmi. - E il 3 di ottobre: - Voi mi amatevoimi amatevoi non potete non amarmi.

*

In presenza di Francescam'ha chiesto se gli permettevo di fare uno studiodelle mie mani. Ho consentito. Incomincerà oggi. Eio sono trepidante e ansiosacome se dovessi prestar le mie mani a una torturasconosciuta. Notte.- E' incominciata la lentasoaveindefinibile tortura. Disegnavaa matita nera e a matita sanguigna. La mia mano destra posava sopra un pezzo divelluto. Sul tavolo era un vaso coreanogiallastro e maculato come la pelled'un pitone; e nel vaso era un mazzo d'orchideedi quei fiori grotteschi emultiformi che son la ricercata curiosità di Francesca. Taluneverdidi quelverdedirò cosìanimale che hanno certe locustependevano in forma dipiccole urne etruschecon il coperchio un po' sollevato. Altre portavano incima a uno stelo d'argento un fiore a cinque petali con in mezzo un calicettogiallo di dentro e bianco di fuori. Altre portavano una piccola ampolla violaceae ai lati dell'ampolla due lunghi filamenti; e facevano pensare a un qualcheminuscolo re delle favoleassai gozzutocon la barba divisa in due trecce allafoggia orientale. Altre infine portavano una quantità di fiori giallisimiliad angelette in veste lunga librate a volo con le braccia alte e con l'aureoladietro il capo. Io le guardavaquandomi pareva di non poter più sostenere il supplizio; e le loro forme rare mioccupavano un istantemi suscitavano un ricordo fuggevole de' paesi originalimi mettevano nello spirito non so che momentaneo smarrimento. Egli disegnavasenza parlare; i suoi occhi andavano di continuo dalle carte alle mie mani; poidue o tre voltesi sono rivolti al vaso. A un certo puntolevandosi egli hadetto: - Perdonatemi. Eha preso il vaso e l'ha portato lontanosopra un altro tavolo; non so perché.Allora s'è messo a disegnare con maggiorfranchezzacome liberato da un fastidio. Ionon so dire quel che i suoi occhi mi facevano provare. Mi pareva di non offrirealla sua indagine una mano nudasì bene una parte nuda dell'anima; e ch'eglime la penetrasse con lo sguardo sino al fondoscoprendone tutti i più ripostisegreti. Non mai io aveva avuto della mia mano un tal sentimento; non mai m'eraparsa così vivacosì espressivacosì intimamente legata al mio cuorecosìdipendente dalla mia interna esistenzacosì rivelatrice. Me l'agitava unavibrazione impercettibile ma continuasotto l'influenza dello sguardo; e lavibrazione si propagava insino all'intimo del mio essere. Talvolta il fremitodiveniva più forte e visibile; es'egli guardava con troppa intensitàmiprendeva un moto istintivo di ritrarla; e talvolta il moto era di pudore.Talvolta egli rimaneva lungamente fisosenzadisegnare; ed io avevo l'impressione che egli bevesse per le pupille qualchecosa di me o che mi accarezzasse con una carezza più molle del velluto sulquale si posava la mia mano. Di tratto in trattomentre stava chino sul foglioad infondere forse nella linea quel ch'egli aveva da me bevutoun sorrisolievissimo gli passava su la boccama così lieve che appena io potevacoglierlo. E quel sorrisonon so perchémi dava a sommo del petto un tremoliodi piacere. Ancóradue o tre volteho veduto riapparire su la sua bocca lafigura del bacio. Di tratto in trattola curiosità mi vinceva; e io domandavo: - Ebbene? Francescastava seduta al pianofortecon le spalle rivolte a noi; e toccava i tasticercando di ricordarsi la Gavotta di Luigi Rameaula Gavotta delledame giallequella che ho tanto sonata e che rimarrà come la memoriamusicale della mia villeggiatura a Schifanoja. Smorzava le note col pedale; es'interrompeva spesso. E le interruzioni dell'aria a me familiare e dellecadenzeche l'orecchio compiva precorrendoerano per me un'altra inquietudine.D'improvvisoella ha battuto forte un tastoripetutamentecome sotto l'urtodi un'impazienza nervosa; e s'è levataed e andata a chinarsi sul disegno.L'ho guardata. Ho compreso. Mancavaancóra quest'amarezza. Dio mi riserbava all'ultimo la prova più crudele. Siafatta la sua volontà. 7 ottobre.- Io non ho che un solo pensieroun solo desiderioun solo proposito: partirepartirepartire. Sono all'estremodelle forze. Io languoio muoio del mio amore; e l'inaspettata rivelazionemoltiplica le mie mortali tristezze. Che pensa ella di me? Che crede? Elladunque lo ama? E da quando? Ed egli lo sa? O non ne ha pure un sospetto?...Mio Diomio Dio! La ragione mi si smarriscele forze mi abbandonano; il senso della realità mi sfugge. A intervalli il miodolore ha una pausasimile alle pause degli uragani quando le furie deglielementi si equilibrano in una terribile immobilità per irrompere poi con piùviolenza. Io rimango in una specie di stupefazionecon la testa pesantecon lemembra stanche e rotte come se qualcuno mi avesse battuta; e mentre il dolore siraccoglie per darmi un nuovo assaltoio non riesco a raccogliere la miavolontà. Che pensa ella di me? Chepensa? Che crede? Esser disconosciutada leidalla mia amica miglioreda quella che m'è più carada quella a cuiil mio cuore fu sempre aperto! E' la suprema amarezza; è la prova più crudeleriserbata da Dio a chi ha fatto del sacrificio la legge della sua vita. Bisognache io le parliprima di partire. Bisogna ch'ella sappia tutto da mech'iosappia tutto da lei. Questo è il dovere. Notte.- Ellaverso le cinquem'ha proposto una passeggiata in carrozza per la via diRovigliano. Siamo andate solein una carrozza scoperta. Io pensavatremando: -Ora le parlerò. - Ma il tremito interno mi toglieva ogni coraggio. Aspettavaella forse che io parlassi? Non so. Siamorimaste a lungo taciturneascoltando il trotto eguale de' due cavalliguardando gli alberi e le siepi che limitavano la via. Di tratto in trattoconuna frase breve o con un cennoella mi faceva notare una particolarità delpaese autunnale. Tutto l'umano incantodell'Autunno si diffondeva in quell'ora. I raggi obliqui del vespro accendevanoper la collina la sorda e armoniosa ricchezza dei fogliami prossimi a morire.Pel soffio costante del greco nella nuova lunaun'agonia precoce prende glialberi delle terre litoranee. L'orol'ambrail crocoil giallo di solfol'ocral'arancioil bistroil rameil verderamel'amarantoil paonazzolaporporale tinte più disfattele gradazioni più violente e più delicate simescolavano in un accordo profondo che nessuna melodia di primavera passerà maidi dolcezza. Indicandomi un gruppo dirobinieella ha detto: - Guarda se non sembrano fiorite! Giàsecchebiancheggiavano d'un bianco un po' roseocome grandi mandorli di marzocontro il cielo turchino che già pendeva nel cinerino. Dopoun intervallo di silenzioho detto ioper cominciare: - Manuel verràcertosabato. Aspetto per domani il suo telegramma. E domenica partiremocol trenodella mattina. Tu sei stata tanto buona con mein questi giorni; io ti sontanto grata... La voce mi tremavaunpoco; una immensa tenerezza mi gonfiava il cuore. Ella m'ha presa la mano e l'hatenuta nella suasenza parlarmisenza guardarmi. E siamo rimaste a lungotaciturnetenendoci per mano. Ellam'ha chiesto: - Quanto tempo ti tratterrai da tua madre? Iole ho risposto: - Sino alla fin dell'annospero; e forse più. -Tanto tempo? Di nuovoabbiamotaciuto. Sentivo già che non avrei avuto il coraggio di affrontare laspiegazione; ed anche sentivo ch'era men necessariaora. Mi pareva ch'ella orami si riavvicinassem'intendessemi riconoscessediventasse la mia sorellabuona. La mia tristezza attraeva la sua tristezzacome la luna attrae le acquedel mare. - Ascolta - ella ha detto;poiché veniva un canto di donne del paeseun canto largospiegatoreligiosocome un canto gregoriano. Più oltreabbiam visto le cantatrici. Escivano da un campo di girasoli secchicamminandoin filacome una teoria sacra. E i girasoli in cima ai lunghi steli sulfureisenza foglie portavano i larghi dischi non coronati di petali né carichi disemima somiglianti nella lor nudità ad emblemi liturgicia pallidiostensorii d'oro. La mia commozione ècresciuta. Il canto dietro di noi si dileguava nella sera. Abbiamo attraversatoRovigliano dove già i lumi si accendevano; poi siam di nuovo uscite nellastrada maestra. Dietro di noi si dileguava il suono delle campane. Un ventoumido correva nelle cime degli alberi che mettevano su la strada bianca un'ombraazzurrognola e nell'aria un'ombra direi quasi liquida come in un'acqua. -Non hai freddo? - ella m'ha chiesto; e ha ordinato al lacché di spiegare un plaide al cocchiere di voltare i cavalli pel ritorno. Nelcampanile di Rovigliano una campana rintoccava ancóracon larghi rintocchicome per una solennità religiosa; e pareva propagare nel vento con l'onda delsuono un'onda di gelo. Per un sentimento concordenoi ci siamo strette l'unacontro l'altratirandoci la coperta su i ginocchicomunicandoci il brivido avicenda. E la carrozza entrava nel borgoal passo. -Che sarà quella campana? - ella ha mormoratocon una voce che non pareva piùla sua. Ho risposto: - Se nonm'ingannoesce il Viatico... Piùoltreinfattiabbiamo visto il prete entrare in una porta mentre un chiericoteneva sollevato l'ombrello e due altri tenevano le lanterne accesediritticontro gli stipitisu la soglia. In quella casa una sola finestra erailluminatala finestra del cristiano che agonizzava aspettando l'Olio Santo.Ombre tenui apparivano sul chiarore; si disegnava lievissimamente su quelrettangolo di luce gialla tutto il dramma silenzioso che si muove intorno a chista per entrare nella morte. Uno de'due servi ha chiesto a bassa vocechinandosi un poco dall'alto: - Chi muore? -L'interrogato ha risposto un nome di donnanel suo dialetto. Eio avrei voluto attenuare il romor delle ruote su i ciottoliavrei volutorendere tacito il nostro passaggio in quel luogo ov'era per passare il soffiod'uno spirito. Francescacertoaveva lo stesso sentimento. Lacarrozza ha raggiunta la strada di Schifanojariprendendo il trotto. La lunacerchiata di alonisplendeva come un opale in un latte diafano. Una catena dinuvole sorgeva dal mare e si svolgeva a poco a poco in forma di globicome unfumo volubile. Il mare mosso copriva col suo rombo tutti gli altri romori. Nonmaipensouna più grave tristezza strinse due anime. Ioho sentito su le mie gote fredde un teporee mi son rivolta a Francesca pervedere s'ella si fosse accorta che piangevo. Ho incontrati i suoi occhi pieni dipianto. E siam rimaste mutel'una accanto all'altracon la bocca serratastringendoci le manisapendo di piangere per lui; e le lacrime scendevano agoccia a gocciasilenziosamente. Invicinanza di Schifanojaio ho asciugate le mie; ellale sue. Ciascunanascondeva la propria debolezza. Eglieracon Delfinacon Muriella e con Ferdinandoad attenderci nell'atrio.Perché ho provato in fondo al cuoreverso di luiun senso vago di diffidenzacome se un istinto mi avvertisse d'un oscuro danno? Quali dolori mi riserbal'avvenire? Potrò io sottrarmi alla passione che m'attira abbacinandomi?Purequanto bene mi hanno fatto quelle pochelacrime! Mi sento meno oppressameno riarsapiù fidente. E provo unatenerezza indicibile nel ripetere da me sola l'Ultima PasseggiatamentreDelfina dorme felice di tutti i folli baci che le ho dati nella faccia e mentresorridono su' vetri le malinconie della luna che dianzi mi ha vista piangere.8 ottobre.- Questa notte ho dormito? Ho vegliato? Io non so dirlo. Oscuramentea traverso il mio cervellocome ombre spesseguizzavano terribili pensieriimagini di dolore insostenibili; e il mio cuore aveva urti e sussultiimprovvisie io mi ritrovava con gli occhi aperti nelle tenebresenza saperese uscivo da un sogno o se fino allora ero stata desta a pensare e a imaginare.E questa specie di dubbio dormivegliaassai più torturante dell'insonnioduravaduravadurava. Nondimenoquando ho udita la voce matutina di mia figlia chiamarminon ho risposto; hofinto di dormire profondamenteper non levarmiper rimanere ancóra làpertemporeggiareper allontanare ancóra un poco da me l'inesorabile certezzadelle realità necessarie. Le torture del pensiero e dell'imaginazione miparevano pur sempre men crudeli delle torture imprevedibili che in questi dueultimi giorni mi prepara la vita. DopopocoDelfina è venuta in punta di pieditrattenendo il respiroa guardarmi;e ha detto a Dorothycon una voce mossa da un gentile tremito: - Come dorme!Non la svegliamo. Notte.- Mi pare di non aver più una goccia di sangue nelle vene. Mentre salivo lescale mi pareva chead ogni sforzo per superare un gradinoil sangue e la vitami fuggissero da tutte le vene aperte. Sono debole come una morente... Coraggiocoraggio! ancóra poche ore rimangono; Manuel giungerà domattina; partiremodomenica; lunedì saremo da mia madre. Horesodianzia lui due o tre libri che mi aveva prestati. Nellibro di Percy Shelleyalla fine d'una strofaho inciso con l'unghia due versie ho messo un segnale visibile alla pagina. I versi dicono: " And forgetmefor I can never Be thine!" " E dimenticamiperché io non posso mai esser tua! " 9ottobrenotte. - Tutto il giornotutto il giorno egli ha cercato unmomento per parlarmi. La sua sofferenza era manifesta. E tutto il giorno io hocercato di sfuggirgliperché egli non mi gittasse nell'anima altri semi didoloredi desideriodi rimpiantodi rimorso. Ho vinto; sono stata forte ederoica. Vi ringraziomio Dio! Questaè l'ultima notte. Domattina partiremo. Tutto sarà finito. Tuttosarà finito? Una voce mi parlanel profondo; e io non comprendoma so che miparla di sciagure lontaneignote eppure inevitabilimisteriose eppureinesecrabili come la morte. L'avvenire è lugubrecome un campo pieno di fossegià scavate e pronte per ricevere cadaveri; e sul campo qua e là ardonopallidi fanali ch'io appena scorgo; e non so se ardano per attrarmi nel pericoloo per mostrarmi una via di salvezza. Horiletto il Giornaleattentamentelentamentedal 15 di settembredal giornoch'io giunsi. Quanta differenza da quella prima notte a quest'ultima! Ioscriveva: " Mi sveglierò in una casa amicanella cordiale ospitalità diFrancescain questa Schifanoja che ha rose così belle e cipressi così grandi;e mi sveglierò avendo innanzi a me qualche settimana di paceventi giornid'esistenza spiritualeforse più... " Ahimèdov'è andata la pace? E lerosecosì belleperché sono state anche così perfide? Troppoforsehoaperto il cuore ai profumiincominciando da quella nottesu la loggiamentreDelfina dormiva. Ora la luna d'ottobre allaga il cielo; e io vedo a traverso ivetri le punte dei cipressinere e immutabiliche in quella notte toccavano lestelle. Una sola frase di quelpreludio io posso ripetere in questa fine trista. " Tanti capelli nel miocapotante spighe di dolore nel mio destino. " Le spighe si moltiplicanos'inalzanoondeggiano come un mare; e non è anche estratto dalle miniere ilferro per foggiar la falce. Io parto.Che accadrà di luiquando io sarò lontana? Che accadrà di Francesca? Ilmutamento di Francesca è pur sempre incomprensibileinesplicabile; è unenigma che mi tortura e mi confonde. Ella lo ama! E da quando? Ed egli losa? Anima miaconfessa la nuovamiseria. Un'altra infezione ti avvelena. Tu sei gelosa. Maio son preparata ad ogni più atroce sofferenza; io so il martirio che miaspetta; io so che i supplizi di questi giorni non son nulla al confronto deisupplizi prossimidella terribile croce a cui i miei pensieri legherannol'anima mia per divorarla. Io son preparata. Chiedo soltanto una treguaoSignoreuna breve tregua per le ore che rimangono. Avrò bisogno di tutta lamia forzadomani. Come stranamentenelle diverse vicende della vitatalvolta le circostanze esterne sirassomiglianosi riscontrano! Staseranella sala del vestibolomi parevad'esser tornata alla sera del 16 settembrequando cantai e sonai; quando egliincominciò ad occuparmi. Anche stasera io sedeva al pianoforte; e la stessaluce cupa illuminava la sala e nella stanza attigua Manuel e il marchesegiocavano; ed ho sonato la Gavotta delle dame giallequella che piacetanto a Francescaquella che il 16 settembre udii ripetere mentre vegliavonelle prime vaghe inquietudini notturne. Certedame biondettenon più giovini ma appena escite di giovinezzavestite d'unasmorta seta color d'un crisantemo giallola danzano con cavalieri adolescentivestiti di roseoun po' svogliati; i quali portano nel cuore l'imagine d'altredonne più bellela fiamma d'un nuovo desio. E la danzano in una sala troppovastache ha tutte le pareti coperte di specchi; la danzano sopra un pavimentointarsiato d'amaranto e di cedrosotto un gran lampadario di cristallo dove lecandele stanno per consumarsi e non si consumano mai. E le dame hanno nellebocche un poco appassite un sorriso tenue ma inestinguibile; e i cavalieri hannonegli occhi un tedio infinito. E un oriuolo a pendolo segna sempre un'ora; e glispecchi ripetono ripetono ripetono sempre le stesse attitudini; e la Gavottacontinuacontinuacontinuasempre dolcesempre pianasempre egualeeternamentecome una pena. Quellamalinconia m'attira. Non so perchéla mia anima tende a quella forma di supplizio; è sedotta dalla perpetuitàd'un dolore unicodalla uniformitàdalla monotonia. Accetterebbe volentieriper tutta la vita una gravezza enormema definita e immutabileinvece dellamutabilitàdelle imprevedibili vicendedelle imprevedibili alternative. Puressendo abituata alla sofferenzaha paura dell'incertoteme le sorpresetemegli urti improvvisi. Senza esitare un istantein questa notte accetterebbequalunque più grave condanna di dolore a patto d'essere assicurata contro gliignoti agguati dell'avvenire. Mio Diomio Dioda che mi viene una paura così cieca? Assicuratemi voi! Metto la miaanima nelle vostre mani. E ora bastaquesto tristo vaneggiare che pur troppo addensa l'angoscia invece di alleviarla.Ma io so già che non potrò chiudere gli occhi sebbene mi dolgano. Eglicertonon dorme. Quando io sono venuta suegliinvitatostava per prendereil posto del marchese al tavolo del giuocodi fronte a mio marito. Giocanoancóra? Forse egli pensa e soffregiocando. Quali saranno i suoi pensieri?Quale sarà la sua sofferenza? Non hosonnonon ho sonno. Vado su la loggia. Voglio sapere se giocano ancóra; os'egli è tornato nelle sue stanze. Le sue finestre sono all'angolonel secondopiano.

*

La notte è lucida e umida. La sala del giuoco è illuminata; e io sonrimasta làsu la loggialungamentea guardare in giù verso il chiarore chesi rifletteva contro un cipresso mescendosi al chiarore della luna. Tremo tutta.Io non so ridire l'impressione quasi tragica che mi fanno quelle finestreilluminatedietro le quali i due uomini giocanol'uno di fronte all'altronelgran silenzio della notte appena interrotto dai singhiozzi spenti dal mare. Egiocheranno forse fino all'albas'egli vorrà compiacere la terribile passionedi mio marito. Saremo in tre a vegliare fino all'albasenza requieper lapassione. Ma che pensa egli? Qual èla sua tortura? Io non so che dareiin questo momentoper poterlo vedereperpoter restare fino all'alba a guardarloanche a traverso i vetrinell'umiditàdella nottetremando come tremo. I pensieri più folli mi balenano dentro e miabbaglianorapidiconfusi; ho come un principio di cattiva ebrezza; provo comeuna instigazione sorda a far qualche cosa d'audace e d'irreparabile; sento comeil fascino della perdizione. Mi togliereisentodal cuore questo peso enormemi toglierei dalla gola questo nodo che mi soffocase oranella nottenelsilenziocon tutte le forze dell'anima io mi mettessi a gridare che l'amochel'amoche l'amo."

Libro terzo - 1

Alla partenza dei Ferres seguì dopo pochi giorni la partenza degliAteleta e dello Sperelli per Roma. Donna Francesca volle abbreviare la suavilleggiatura a Schifanojacontro il solito.

Andreadopo una breve sosta a Napoligiunse a Roma il 24 ottobreunadomenicacon la prima gran pioggia mattutina d'autunno. Rientrando nelsuo appartamento della casa Zuccarinel prezioso e delizioso buenretiroprovò un piacere straordinario. Gli parve di ritrovare inquelle stanze qualche parte di séqualche cosa che gli mancava. Il luogonon era quasi in nulla mutato. Tuttointornoconservava ancóraperluiquella inesprimibile apparenza di vita che acquistano gli oggettimateriali tra mezzo a cui l'uomo ha lungamente amatosognatogoduto esofferto. La vecchia Jenny e Terenzio avevano preso cura delle minimeparticolarità; Stephen aveva preparato con alta squisitezza il comfortpel ritorno del signore.

Pioveva. Per qualche tempoegli rimase con la fronte contro i vetridella finestra a guardare la sua Romala grande città dilettacheappariva in fondo cinerea e qua e là argentea tra le rapide alternativedella pioggia spinta e respinta dal capriccio del vento in un'atmosferatutta egualmente grigiaove ad intervalli si diffondeva un chiaroresùbito dopo spegnendosicome un sorridere fugace. La piazza dellaTrinità de' Monti era desertacontemplata dall'obelisco solitario. Glialberi del viale lungo il muro che congiunge la chiesa alla Villa Medicisi agitavano già seminudinerastri e rossastri al vento e alla pioggia.II Pincio ancóra verdeggiavacome un'isola in un lago nebbioso.

Egliguardandonon aveva un pensiero determinato ma un confusoviluppo di pensieri; e gli occupava l'anima un sentimento soverchianteogni altro: il pieno e vivace risveglio del suo vecchio amore per Romaper la dolcissima Romaper l'immensa augusta unica Romaper la cittàdelle cittàper quella ch'è sempre giovine e sempre novella e sempremisteriosacome il mare.

Piovevapioveva. Sul Monte Mario il cielo si oscuravale nuvole siaddensavanodiventavano d'un color ceruleo cupo d'acqua raccoltasidilatavano verso il Gianicolosi abbassavano sul Vaticano. La cupola diSan Pietro toccava con la sommità quella enorme adunazione e parevasostenerlasimile a una gigantesca pila di piombo. Tra le innumerevolirighe oblique dell'acqua si avanzava piano un vaporea similitudine d'unvelo tenuissimo che passasse a traverso corde d'acciaio tese econtinuamente vibranti. La monotonia del croscio non era interrotta daalcun altro strepito più vivo.

- Che ora è? - chiese egli a Stephenvolgendosi.

Erano le novecirca. Egli si sentiva un po' stanco. Pensò di mettersia dormire. Poianchepensò di non veder nessunonella giornatae dipassar la sera a casa in raccoglimento. Ricominciava per lui la vita dicittàla vita mondana. Egli volevaprima di riprendere quel vecchioeserciziodarsi a una piccola meditazione e a una piccola preparazionestabilire una regoladiscutere seco medesimo qual dovesse essere lacondotta futura.

Ordinò a Stephen:

- Se viene qualcuno a chiedere di meditegli che non sono ancóratornato. Avvisate il portiere. Avvisate James che non ho più bisogno dilui oggi ma che venga a prendere gli ordini questa sera. Fatemi prepararela colazione per le treleggerissimae il pranzo per le nove. Nientealtro.

S'addormentò quasi sùbito. Alle dueil domestico lo svegliò; e gliannunzio che prima di mezzogiorno era venuto il duca di Grimitiavendosaputo dalla marchesa d'Ateleta il ritorno.

- Ebbene?

- Il signor duca ha lasciato detto che sarebbe tornato di sera.

- Piove ancóra? Aprite interamente gli scuri.

Non pioveva più. Il cielo s'era rischiarato. Una zona di sole pallidoentrò nella stanzadiffondendosi su l'arazzo della Vergine colbambino Gesù e Stefano Sperellisu l'antico arazzo che Giusto portòdi Fiandra nel 1508. E gli occhi di Andrea vagarono per le paretilentamenteriguardando le tappezzerie finile tinte armoniosele figurepie ch'erano state testimoni di tanti piaceri e avevano sorriso ai lietirisvegli ed anche avevan reso men tristi le vigilie del ferito. Tuttequelle cose note ed amate parevano dargli un saluto. Egli le riguardavacon un diletto singolare. L'imagine di Donna Maria gli sorse nellospirito.

Si sollevò un poco su i guancialiaccese una sigarettae si mise aseguire il corso dei pensiericon una specie di voluttà. Un benessereinsolito gli occupava le membrae lo spirito era in una felicedisposizione. Egli mesceva le sue fantasie alle onde del fumoin quellaluce temperata ove i colori e le forme prendevano una vaghezza piùblanda.

Spontaneamentei suoi pensieri non risalivano verso i giorni scorsi maandavano all'avvenire. - Egli avrebbe riveduta Donna Mariafra duefratre mesichi sa? forse anche assai prima; ed avrebbe allora riallacciatoquell'amore che chiudeva per lui tante oscure promesse e tante segreteattrazioni. Sarebbe stato il vero secondo amorecon la profondità e ladolcezza e la tristezza d'un secondo amore. Donna Maria Ferres parevaessereper un uomo d'intellettol'Amante Idealel'Amie avec deshanchessecondo l'espressione di Carlo Baudelairela Consolatrixunicaquella che conforta e perdona sapendo perdonare. Certosegnandonel libro dello Shelley i due versi dolentiella aveva dovuto in cuor suoripetere altre parole; eleggendo tutto intero il poemaaveva dovutopiangere come la Dama magnetica e pensar lungamente alla pietosa curaalla miracolosa guarigione. " I can never be thine! "Perché mai? Con troppa angoscia di passionequel giornonelbosco di Vicom ìleella aveva risposto: - Vi amovi amovi amo!

Egli ancóra udiva la voce di leil'indimenticabile voce. Ed ElenaMuti gli entrò ne' pensierisi avvicinò all'altrasi confuse conl'altraevocata da quella voce; e a poco a poco gli volse i pensieri adimagini di voluttà. Il letto dov'egli riposava e tutte le cose intornotestimoni e complici delle ebrezze antichea poco a poco gli andavanosuggerendo imagini di voluttà. Curiosamentenella sua imaginazione eglicominciò a svestire la senesead involgerla del suo desiderioa darleattitudini di abbandonoa vedersela tra le bracciaa goderla. Ilpossesso materiale di quella donna così casta e così pura gli parve ilpiù altoil più nuovoil più raro godimento a cui potesse egligiungere; e quella stanza gli parve il luogo più degno ad accogliere quelgodimentoperché avrebbe reso più acuto il singolar sapore diprofanazione e di sacrilegio che il segreto attosecondo luidovevaavere.

La stanza era religiosacome una cappella. V'erano riunite quasi tuttele stoffe ecclesiastiche da lui possedute e quasi tutti gli arazzi disoggetto sacro. Il letto sorgeva sopra un rialto di tre gradiniall'ombrad'un baldacchino di velluto controtagliatovenezianodel secolo XVIconfondo di argento dorato e con ornamenti d'un color rosso sbiadito arilievi d'oro riccio; il quale in antico doveva essere un paramento sacropoiché il disegno portava inscrizioni latine e i frutti del Sacrifizio:l'uva e le spiche. Un piccolo arazzo fiammingofinissimointessuto d'orodi Ciproraffigurante un'Annunciazionecopriva la testa del letto. Altriarazzicon le armi gentilizie di casa Sperelli nell'ornatocoprivano leparetilimitati alla parte superiore e alla parte inferiore da strisce inguisa di fregi su cui erano ricamate istorie della vita di Maria Vergine egesta di martirid'apostolidi profeti. Un paliottoraffigurante laParabola delle vergini sagge e delle vergini follie due pez zi dipluviale componevano la tappezzeria del caminetto. Alcuni preziosi mobilidi sacrestiain legno scolpitodel secolo XVcompivano il pio addobboinsieme con alcune maioliche di Luca della Robbia e con seggioloniricoperti nella spalliera e nel piano da pezzi di dalmatiche raffigurantii fatti della Creazione. Da per tutto poicon un gusto pienod'ingegnositàerano adoperate a uso di ornamento e di comodo altrestoffe liturgiche: borse da caliceborse battesimalicopricàlicipianetemanipolistolestoloniconopei. Su la tavola del caminettocome su la tavola di un altaresplendeva un gran trittico di HansMemlinguna Adorazione dei Magimettendo nella stanza laradiosità d'un capolavoro.

In certe iscrizioni tessute ricorreva il nome di Maria tra le paroledella Salutazione Angelica; e in più parti la gran sigla M era ripetuta;in unaera anzi a ricamo di perle e di granati. - Entrando in questoluogo - pensava il delicato addobbatore - non crederà ella d'entrarenella sua Gloria? - E si compiacque a lungo nell'imaginar la istoriaprofana in mezzo alle istorie sacre; e ancóra una volta il senso esteticoe la raffinatezza della sensualità soverchiarono e falsarono in lui ilsentimento schietto ed umano dell'amore.

Stephen batté all'usciodicendo:

- Mi permetto di avvertire il signor conte che son già le tre.

Andrea si levò; e passò nella camera ottagonaleper abbigliarsi. Ilsole entrava a traverso le tendine di merlettofacendo scintillareall'ingiro le mattonelle arabo-ispanegli innumerevoli oggetti d'argentoe di cristalloi bassi rilievi del sarcofago antico. Quei luccicori variimettevano nell'aria una mobile gaiezza. Egli si sentiva allegroperfettamente guaritopieno di vitalità. Il ritrovarsi nel suo homegli dava una letizia inesprimibile. Tutto ciò ch'era in lui più fatuopiù vanopiù mondanosi risvegliava all'improvviso. Pareva che le cosecirconstanti avessero virtù di suscitare in lui l'uomo d'un tempo. Lacuriositàl'elasticitàl'ubiquità spirituali riapparivano. Egli giàincominciava ad aver bisogno di espandersidi rivedere amicidi rivedereamichedi godere. S'accorse d'aver molto appetito; ordinò al domesticodi servirgli la colazione.

Egli pranzava di rado a casa; maper le occasioni straordinarieperqualche fino luncheon d'amore o per qualche piccola cena galanteaveva una camera ornata delle tappezzerie napolitane d'alto licciodelsecolo XVIIIche Carlo Sperelli ordinò al reale arazziere romano PietroDuranti nel 1766su disegni di Girolamo Storace. I sette pezzi dellepareti rappresentavanocon una certa copiosa magnificenza alla Rubensepisodii d'amore bacchici; e le portierele sopraportele soprafinestrerappresentavano frutta e fiori. Gli ori pallidi e fulvipredominantiele carni perlate e i cinabri e gli azzurri cupi facevano un accordomorbido e nudrito.

- Quando tornerà il duca di Grimiti - disse egli al domestico - lofarete entrare.

Anche là il soledeclinante verso Monte Mariomandava raggi. Siudiva lo strepito delle carrozze su la piazza della Trinità de' Monti.Pareva chedopo la pioggiasi fosse diffusa su Roma tutta la luminosabiondezza dell'ottobre romano.

- Aprite le imposte - disse al domestico.

E lo strepito divenne più forte; entrò l'aria tepida; le tendeondeggiarono appena.

- Divina Roma! - egli pensòguardando il cielo tra le alte tende. Euna curiosità irresistibile lo trasse alla finestra.

Roma appariva d'un color d'ardesia molto chiarocon linee un po'indecisecome in una pittura dilavatasotto un cielo di ClaudioLoreneseumido e frescosparso di nuvole diafane in gruppi nobilissimiche davano ai liberi intervalli una finezza indescrivibilecome i fioridànno al verde una grazia nuova. Nelle lontananzenelle alture estremel'ardesia andavasi cangiando in ametista. Lunghe e sottili zone di vaporiattraversavano i cipressi del Monte Mariocome capigliature fluenti in unpettine di bronzo. Prossimii pini del Monte Pincio alzavano gli ombrellidorati. Su la piazza l'obelisco di Pio VI pareva uno stelo d'àgata. Tuttele cose prendevano un'apparenza più riccaa quella ricca luce autunnale.

- Divina Roma!

Egli non sapeva saziarsi dello spettacolo. Guardò passare una torma dichierici rossidi sotto alla chiesa; poila carrozza d'un prelatoneracon due cavalli neri dalle code prolisse; poialtre carrozzescoperteche portavano signore e bimbi. Riconobbe la principessa di Ferentino conBarbarella Viti; poila contessa di Lùcoli che guidava due poneysseguita dal suo cane danese. Un soffio dell'antica vita gli passò su lospirito e lo turbò e gli diede un'agitazione di desiderii indeterminati.

Si ritrasse e si rimise a tavola. D'innanzi a lui il sole accendeva icristalli e accendeva su la parete una saltazione di satiri intorno a unSileno.

Il domestico annunziò:

- Il signor duca con due altri signori.

Ed entrarono il duca di GrimitiLudovico Barbarisi e GiulioMusèllaromentre Andrea si levava per farsi loro incontro. Tutt'e trel'un dopo l'altrolo abbracciarono.

- Giulio! - esciamò lo Sperellirivedendo l'amico dopo due anni epiù. - Da quanto sei a Roma?

- Da una settimana. Volevo scriverti da Schifanojama poi ho preferitoaspettare che tu tornassi. Come stai? Ti trovo un po' dimagratoma bene.Soltanto qui a Roma ho saputo del tuo caso; altrimenti mi sarei partitodall'India per venirti ad assistere. Ai primi di maggiomi trovavo inPadmavatinel Bahar. Quante cose t'ho da raccontare!

- E quanteanch'io!

Si strinsero di nuovo le manicordialmente. Andrea pareva lietissimo.Questo Musèllaro gli era caro sopra tutti gli altri amiciper la suanobile intelligenzaper il suo spirito acutoper la finezza della suacultura.

- RuggeroLudovicosedete. Giuliosiedi qui.

Egli offerse le sigaretteil tèi liquori. La conversazione si fecevivissima. Ruggero Grimiti e il Barbarisi davano le notizie di Romafacevano la piccola cronaca. Il fumo saliva nell'aria tingendosi ai raggiquasi orizzontali del sole; le tappezzerie s'armonizzavano in un colorcaldo e pastoso; l'aroma del tè si mesceva all'odor del tabacco.

- T'ho portato un sacco di tè - disse il Musèllaro allo Sperelli -assai migliore di quello che beveva il tuo famoso Kien-Lung.

- Ahti ricordia Londraquando componevamo il tèsecondo lateoria poetica del grande Imperatore?

- Sai - disse il Grimiti. - E' a Roma Clara Greenla bionda. La vididomenica per Villa Borghese. Mi riconobbemi salutòe fece fermare lacarrozza. Abitaper oraall'Albergo d'Europain piazza di Spagna. E'ancóra bella. Ti ricordi che passione ebbe per te e come ti perseguitòquando tu eri innamorato della Landbrooke? Sùbitomi chiese le tuenotizie prima delle mie...

- La rivedrò volentieri. Ma si veste ancóra di verde e si mette sulcappello i girasoli?

- Nono. Ha abbandonato l'esteticismo per semprea quanto pare. S'ègettata alle piume. Domenicaportava un gran cappello alla Montpensiercon una piuma favolosa.

- Quest'anno - disse il Barbarisi - abbiamo una straordinariaabbondanza di demi-mondaines. Ce ne sono tre o quattro a bastanzapiacevoli. Giulia Arici ha un bellissimo corpo e le estremitàdiscretamente signorili. E' tornata anche la Silvache ier l'altro ilnostro amico Musèllaro conquistò con una pelle di pantera. E' tornataMaria Fortunama in rotta con Carlo de Souza che pel momento viensostituito da Ruggero...

- La stagione è già dunque in fiore?

- Quest'annoè precoce come non maiper le peccatrici e per leimpeccabili.

- Quali delle impeccabili sono già a Roma?

- Quasi tutte: la Mocetola Vitile due Daddila MiciglianolaMianola Massa d'Albela Lùcoli...

- La Lùcolil'ho veduta dianzidalla finestra. Guidava. Ho vedutaanche tua cugina con la Viti.

- Mia cugina è qui fino a domani. Domani tornerà a Frascati.Mercoledì darà una festa in villauna specie di garden partyalla maniera della principessa di Sagan. Non è prescritto il costumerigorosoma tutte le dame porteranno cappelli Louis XV o Directoire.Andremo.

- Tu per ora non ti moverai da Roma; è vero? - chiese il Grimiti alloSperelli.

- Rimarrò sino ai primissimi di novembre. Poi andrò in Francia perquindici giorni a rifornirmi di cavalli. E tornerò quiverso la fin delmese.

- A propositoLeonetto Lanza vende Campomorto - disse Ludovico.- Tu lo conosci: è un magnifico animalee gran saltatore. Ticonverrebbe.

- Per quanto?

- Per quindicimilacredo.

- Vedremo.

- Leonetto è prossimo alle nozze. Si è fidanzatoin questa estateaAix-les-Bainscon la Ginosa.

- Mi dimenticavo di dirti - fece il Musèllaro - che Galeazzo Secìnaroti saluta. Siamo tornati insieme. Se ti raccontassi le gesta di Galeazzodurante il viaggio! Ora è a Palermoma verrà a Roma in gennaio.

- Ti saluta anche Gino Bommìnaco - aggiunse il Barbarisi.

- Ahah! - esclamò il ducaridendo. - Andreabisogna che tu tifaccia raccontare da Gino la sua avventura con Donna Giulia Moceto... Tusei al casoio credodi darci qualche spiegazione in proposito.

Anche Ludovico si mise a ridere.

- So - disse Giulio Musèllaro - che qui a Roma hai fatto stragimeravigliose. Gratulor tibi!

- Ditemiditemi l'avventura - sollecitava Andreacuriosamente.

- Bisogna sentirla da Ginoper ridere. Tu conosci la mimica di Gino.Bisogna vedere la faccia ch'egli faquando arriva al punto culminante. E'un capolavoro!

- La sentirò anche da lui- insisteva Andreapunto dalla curiosità- ma accennami qualche cosa; ti prego.

- Eccoin due parole - consentì Ruggero Grimitiposando sul tavolola tazzae accingendosi a raccontar la storiellasenza scrupoli e senzareticenzecon quella stupenda facilità con cui i giovini gentiluominipublicano i peccati delle loro e delle altrui dame. - Nella primaverascorsa (non so se tu l'abbia notato) Gino faceva a Donna Giulia una corteardentissimaassai visibile. Alle Capannellela corte si mutò in flirtationassai vivace. Donna Giulia era sul punto di capitolare; e Ginoal solitoera tutto in fiamme. L'occasione si presentò. Giovanni Moceto partì perFirenzea portare i suoi cavalli slombati sul turf delle Cascine.Una serauna sera dei soliti mercoledìanzi dell'ultimo mercoledìGino pensò che il gran momento era giunto; e aspettò che tutti a uno auno se ne andassero e che il salone rimanesse vuoto e ch'egli finalmenterimanesse solocon lei...

- Qui - interruppe il Barbarisi - ci vorrebbe ora Bommìnaco. E'inimitabile. Bisogna sentirgli farein napoletanola descrizione dell'ambientee l'analisi del suo statoe poi la riproduzione del momento psicologicoe del fisiologicocom'egli dicealla sua maniera. E' d'unacomicità irresistibile.

- Dunque - seguitò Ruggero - dopo il preludioche sentirai da luinel languore e nell'eccitazione erotica d'una fin de soiréeeglis'inginocchiò d'innanzi a Donna Giulia che stava seduta su una poltronamolto bassasu una poltrona " imbottita di complicità " .Donna Giulia già naufragava nella dolcezzadifendendosi debolmente; e lemani di Gino divenivano sempre più temerariementre ella già esalava ilsospiro della dedizione... Ahimèdall'estrema temerità le mani siritrassero con un moto istintivo come se avessero toccato la pelle d'unaserpeuna cosa repugnante...

Andrea ruppe in uno scoppio di risa così schietto che l'ilarità sipropagò a tutti gli amici. Egli aveva compresoperché sapeva. Ma GiulioMusèllaro dissecon gran premuraal Grimiti:

- Spiegami! Spiegami!

- Spiega tu - disse il Grimiti allo Sperelli.

- Ecco- spiegò Andreaancóra ridendo - conosci tu la più bellapoesia di Teofilo Gautieril Musée secret?

- O douce barbe féminine! - recitò il Musellaroricordandosi.

- Ebbene?

- EbbeneGiulia Moceto è una finissima bionda; ma se tu avessi lafortunache ti augurodi tirare le drap de la blonde qui dortcerto non troveresticome Filippo di Borgognail toson d'oro. Ella èdiconosans plume et sans duvet come i marmi di Paro che canta ilGautier.

- Ahuna rarissima rarità che io apprezzo molto - disse ilMusèllaro.

- Una rarità che noi sappiamo apprezzare - ripeté Andrea. Ma GinoBommìnaco è un ingenuoun semplice.

Ascoltaascolta il resto - fece il Barbarisi.

- Ah se ci fosse qui l'eroe! - esclamò il duca di Grimiti. - Lastoriella in un'altra bocca perde tutto il sapore. Figurati dunque che lasorpresa fu tanta e tanta la confusioneda spegnere ogni fuoco. Ginodovette ritirarsi prudentementeper l'impossibilità assoluta d'andarpiù oltre. Te l'imagini? T'imagini tu la terribile mortificazione d'unuomo cheessendo giunto ad ottener tuttonon può prender nulla? DonnaGiulia era verde; Gino fingeva di tender l'orecchio ai rumoripertemporeggiaresperando... Ahil racconto della ritirata è unameraviglia. Altro che Anabasi! Sentirai.

- E Donna Giulia è poi divenuta l'amante di Gino? - domandò Andrea.

- Mai! Il povero Gino non mangerà mai di quel frutto; e credo che nemorrà di rammaricodi desideriodi curiosità. Si sfoga a ridernecongli amici; ma tu osservalo benequando racconta. Sotto la buffoneria c'èla passione.

- Bel soggetto per una novella - disse Andrea al Musèllaro. Non tipare? Una novella intitolata L'Ossesso... Si potrebbe fare una cosaassai fine e intensa. L'uomocontinuamente occupatoincalzatoangustiato dalla visione fantastica di quella rara forma ch'egli hatoccata e quindi imaginata ma non goduta né con gli occhi vistasiconsuma di passione a poco a poco e diventa folle. Egli non può togliersidalle dita l'impressione di quel contatto; ma il primo ribrezzo istintivogli si muta in un ardore inestinguibile... Si potrebbe insommasul fondorealelavorar d'arte: ottener qualche cosa come un racconto di unHoffmann eroticoscritto con la precisione plastica d'un Flaubert.

- Pròvati.

- Chi sa! Del restoio compiango il povero Gino. La Moceto hadiconoil più bel ventre della Cristianità...

- Mi piace quel " dicono - interruppe Ruggero Grimiti.

- ...il ventre d'una Pandora infecondauna coppa d'avoriouno scudoraggiantespeculum voluptatis; e il più perfetto ombelico che siconoscaun piccolo ombelico circonflessocome nelle terre cotte diClodionun puro suggello di graziaun occhio cieco ma più splendido diun astrovoluptatis ocellusda celebrarsi in un epigramma degnodell'Antologia greca.

Andrea si eccitavain quei discorsi. Secondato dagli amicientrò inun dialogo delle bellezze delle donne assai men castigato di quello delFirenzuola. Si risvegliavano in luidopo la lunga astinenzalesensualità antiche; ed egli parlava con un calore intimo e profondodagran conoscitor del nudocompiacendosi delle parole più coloritesottilizzando come un artista e come un libertino. Ein veritàildialogo di quei quattro giovini signori tra quelle dilettose tappezzeriebacchichese fosse stato raccoltoavrebbe potuto ben essere il Breviariumarcanum della corruzione elegante in questa fine del XIX secolo.

Il giorno moriva; ma l'aria era ancóra pregna di luceritenendo laluce come una spugna ritiene l'acqua. Si vedevaper la finestraall'orizzonte una striscia aranciata su cui i cipressi del Monte Mario sidisegnavan netti come i denti d'un gran rastrello d'ebano. Si udivano ditratto in tratto i gridi delle cornacchie trasvolanti in gruppi a riunirsisu i tetti della Villa Medici per discender poi nella Villa Borghesenella piccola valle del sonno.

- Che fai tu stasera? - chiese ad Andrea il Barbarisi.

- Veramentenon so.

- Vieni allora con noi. Per le otto abbiamo un pranzo dai DoneyalTeatro Nazionale. Inauguriamo il nuovo Restaurantanzi i cabinetsparticuliers del nuovo Restaurantdove almeno non dovremorassegnarcidopo le ostricheallo scoprimento afrodisiaco della Giudittae della Bagnantecome al Caffè di Roma. Pepe academico suostriche finte...

- Vieni con noivieni con noi - sollecitò Giulio Musèllaro.

- Siamo noi tre - aggiunse il duca - con Giulia Aricicon la Silva econ Maria Fortuna. Ahuna bellissima idea! Vieni con Clara Green.

- Bellissima idea! - ripeté Ludovico.

- E dove trovo io Clara Green?

- All'Albergo d'Europaqui accantoin piazza di Spagna. Un tuobiglietto la renderà felice. Sii certo che lascerà qualunque impegno.

Ad Andrea piacque la proposta.

- Sarà meglio - disse - ch'io vada a farle una visita. E' probabilech'ella sia rientrata. Non ti pareRuggero?

- Vèstitie usciamo sùbito.

Uscirono. Clara Green era rientrara da poco all'albergo. Accolse Andreacon una gioia infantile. Ellacertoavrebbe preferito di pranzar solacon lui; ma accettò l'invito senza esitare; scrisse un biglietto perliberarsi da un impegno anteriore; mandò a un'amica la chiave d'un palco.Ella pareva felice. Si mise a raccontargli una quantità di sue storiesentimentali; gli fece una quantità di domande sentimentali; gli giuròch'ella non aveva mai potuto dimenticarlo. Parlavatenendo le mani di luinelle sue.

- I love you more than any words can sayAndrew...

Ella era ancor giovine. Con quel suo profilo puro e dirittocoronatodai capelli biondidivisi su la fronte in un'acconciatura bassaparevauna bellezza greca in un keepsake. Aveva una certa incipriaturaesteticalasciatale dall'amor del poeta pittore Adolphus Jeckyll; ilquale seguiva in poesia John Keats e in pittura l'Holman Huntcomponendooscuri sonetti e dipingendo soggetti presi alla Vita nuova. Ellaaveva " posato " per una Sibylla palmifera e per una Madonnadel Giglio. Aveva anche " posato "una voltainnanzi adAndreaper uno studio di testa da servire all'acquaforte dell'Isabettanella novella del Boccaccio. Era dunque nobilitata dall'arte. Mainfondonon possedeva alcuna qualità spirituale; anzia lungo andarelarendeva un po' stucchevole quel certo sentimentalismo esaltato che non dirado s'incontra nelle donne di piacere inglesi e che fa uno stranocontrasto con le depravazioni della loro lascivia.

- Who would have thought we should stand again togetherAndrew!

Dopo un'oraAndrea la lasciò e risalì al palazzo Zuccariper lascaletta che dalla piazza Mignanelli porta alla Trinità. Giungeva allascaletta solitaria il rumore della città nella sera mite di ottobre. Lestelle riscintillavano in un cielo umido e terso. Di sotto alla casa deiCasteldelfinoa traverso un piccolo cancellole piante in un chiaroremisterioso agitavano ombre vaghesenza un fruscìocome piante marinefluttuanti in fondo a un aquario. Dalla casada una finestra con letendine rosse illuminateveniva il suono d'un pianoforte. Le campanedella chiesa rintoccarono. Egli si sentì d'improvviso pesare il cuore. Unricordo di Donna Maria lo riempìd'improvviso; e gli suscitò in confusoun senso di rammarico e quasi di pentimento. - Che faceva ella inquell'ora? Pensava? Soffriva? - Con l'imagine della senese gli siaffacciò alla memoria la vecchia città toscana: il Duomo bianco e nerola Loggiala Fonte. Una grave tristezza l'occupò. Gli parve che qualchecosa dal fondo del suo cu ore si fosse involato; ed egli non sapeva benequal fossema n'era afflitto come d'una perdita irrimediabile.

Ripensò al proposito suo della mattina. - Una sera in solitudinenella casa dove ella forse un giorno sarebbe venuta; una sera malinconicama dolcein compagnia dei ricordi e dei sogniin compagnia dello spiritodi lei; una sera di meditazione e di raccoglimento! - In veritàilproposito non poteva meglio esser tenuto. Egli stava per recarsi a unpranzo di amici e di donne; esenza dubbioavrebbe passata la notte conClara Green.

Il pentimento gli fu così insoffribilegli diede tale torturach'egli si abbigliò con insolita prontezzasaltò nel coupé e sifece condurre all'albergoprima dell'ora. Trovò Clara già pronta. Leofferse un giro in coupé per le vie di Romadurante il tempo chemancava alle otto.

Passarono per la via del Babuinointorno l'obelisco nella piazza delPopoloquindi su pel Corso e a destra per la via della Fontanella diBorghese; ritornarono per Montecitorio al Corso fino alla piazza diVenezia e quindi su al Teatro Nazionale. Clara cinguettava di continuoedi tratto in tratto si chinava verso il giovine per mettergli un mezzobacio su l'angolo della boccacoprendo l'atto furtivo con un ventaglio dipiume bianche d'onde esciva un profumo di white-rose assai fine. MaAndrea pareva non ascoltasse e all'atto di lei sorrideva appena.

- Che pensi? - gli chiese ellapronunciando le parole italiane con unpoco d'incertezza ch'era una grazia.

- Nulla - rispose Andreaprendendole una mano non ancóra inguantata eguardando gli anelli.

- Chi lo sa! - sospirò elladando un'espressione singolare a que' tremonosillabi che le donne straniere imparano sùbito; ne' quali essecredono sia racchiusa tutta la malinconia dell'amore italiano. - Chi losa!

Poi soggiunsecon un accento quasi supplichevole:

- Love me this eveningAndrew!

Andrea le baciò un orecchiole passò un braccio intorno al bustoledisse una quantità di cose sciocchecambiò umore. Il Corso erapopolosole vetrine splendevanoi venditori di giornali strillavanovetture publiche e signorili s'incrociavano col coupédallapiazza Colonna alla piazza di Venezia si spandeva tutta l'animazioneserale della vita di Roma.

Quando entrarono dai Doneyle otto erano passate di dieci minuti. Glialtri sei commensali erano già presenti. Andrea Sperelli salutò lacompagnia eportando per mano Clara Greendisse:

- Ecce Miss Clara Greenancilla DominiSibylla palmiferacandida puella.

- Ora pro nobis - risposero in coro il Musèllaroil Barbarisie il Grimiti. Le donne riseroma senza capire. Clara sorrise; efuor delmantelloappariva in abito biancosemplicecortocon una scollatura apunta sul petto e su le spallecon un nastro verdemare su l'omerosinistrocon due smeraldi agli orecchidisinvolta sotto il tripliceesame di Giulia Aricidi Bébé Silva e di Maria Fortuna.

Il Musèllaro e il Grimiti la conoscevano. Il Barbarisi le fupresentato. Andrea diceva:

- Mercedes Silvanominata Bébéchica pero guapa.

- Maria Fortunala bella Talismanoche è una vera Fortuna publica...per questa Roma che ha la fortuna di possederla.

Quindivolgendosi al Barbarisi:

- Fateci voi l'onore di presentarci a quella damachese nonm'ingannoè la divina Giulia Farnese.

- No: Arici - interruppe Giulia.

- Chiedo perdonoma per crederlo ho bisogno di raccogliere tutta lamia buona fede e di consultare il Pinturicchio nella Sala Quinta.

Egli diceva queste sciocchezze senza rideredilettandosi ad empir distupefazione o d'irritazione la dolce ignoranza di quelle oche belle.Avevaquando si trovava nel demi-mondeuna sua maniera e un suostile particolari. Per non annoiarsisi metteva a compor frasigrotteschea gittar paradossi enormiatroci impertinenze dissimulate conl'ambiguita delle parolesottigliezze incomprensibilimadrigalienigmaticiin una lingua originalemista come un gergodi mille saporicome un'olla podrida rabelesianacarica di spezie forti e di polpesucculente. Nessuno meglio di lui sapeva raccontare una novelletta grassaun aneddoto scandalosouna gesta da Casanova. Nessunonella descrizioned'una cosa di voluttàsapeva meglio di lui trovare la parola lubrica maprecisa e possentela vera parola di carne e d'ossala frase piena dimidolla sostanzialela frase che vive e respira e palpita come la cosa dicui ritrae la formacomunicando all'uditor degno un piacere dupliceungodi mento non pur dell'intelletto ma dei sensiuna gioia simile in partea quella che producono certe pitture dei grandi maestri coloristiimpastate di porpora e di lattebagnate come nella transparenzad'un'ambra liquidaimpregnate d'un oro caldo e inestinguibilmenteluminoso come un sangue immortale.

- Chi è il Pinturicchio? - domandò Giulia Arici al Barbarisi.

- Il Pinturicchio? - esclamò Andrea. - Un superficiale riquadratore distanzeche qualche tempo fa ebbe la fantasia di dipingervi sopra unaportanell'appartamento del papa. Non ci pensate più. E' morto.

- Ma come?...

- Ohin una maniera spaventevole! La moglie era l'amante d'un soldatodi Perugiache stava di guarnigione a Siena... Domandatene a Ludovico.Egli sa tutto; ma non ve n'ha mai parlatoper tema d'affliggervi. Bébéti avverto che il principe di Galles a tavola comincia a fumare tra ilsecondo e il terzo piatto; non prima. Tu anticipi alquanto.

La Silva aveva accesa una sigaretta; e inghiottiva le ostriche mentreil fumo le usciva dalle narici. Ella somigliava un collegiale senza sessoun piccolo ermafrodito vizioso: pallidamagracon gli occhi avvivatidalla febbre e dal carboncon la bocca troppo rossacon i capelli cortilanosiun po' ricciche le coprivano la testa a guisa d'un caschetto d'astrakan.Teneva incastrata nell'occhiaia sinistra una lente rotonda; portava unalto solino inamidatola cravatta biancail panciotto apertouna giaccanera di taglio maschileuna gardenia all'occhielloaffettando le maniered'un dandyparlando con una voce rauca. E attiravatentavaperquella impronta di viziodi depravazionedi mostruositàch'era nel suoaspettonelle sue attitudininelle sue parole. Sal y pimienta.

Maria Fortuna invece aveva il tipo un po' bovinoera una Madame deParabèretendente alla pinguedine. Come la bella amante del Reggentepossedeva una carne biancad'una bianchezza opaca e profondauna diquelle carni instancabili e insaziabili su cui Ercole avrebbe potutocompiere la sua impresa d'amorela sua tredicesima faticasenza sentirsichieder tregua. E gli occhi le nuotavanomolli violein un'ombra allaCremona e la bocca sempre socchiusa mostrava in un'ombra rosata unluccicor vago di madreperlacome una conchiglia socchiusa.

Giulia Arici piaceva molto allo Sperelliper quel suo color doratosul quale s'aprivano due lunghi occhi di vellutod'un morbido vellutocastagno che talvolta prendeva riflessi quasi fulvi. Il naso un po'carnoso e le labbra tumidefreschesanguignedurele formavano nelbasso del viso un'espressione d'aperta lasciviaresa ancor più vivacedall'irrequietudine della lingua. I caniniessendo troppo fortilesollevavano gli angoli della bocca; ecome gli angoli così sollevati sifacevano aridi o le davano forse un lieve fastidioella ad ogni trattocon la punta della lingua li inumidiva. E si vedeva ad ogni trattoscorrere per la chiostra dei denti quella puntacome la foglia bagnatad'una rosa grassa per una fila di piccole mandorle nude.

- Julia- disse Andrea Sperelliguardandole la bocca - san Bernardinoha per voi in un suo sermone un epiteto meraviglioso. E anche questo nonsapetevoi!

L'Arici si mise a ridered'un riso ebete ma bellissimoche lescopriva un poco le gengive; e nell'agitazione ilare usciva da lei unprofumo più acuto come quando viene scosso un cespuglio.

- Che mi date - soggiunse Andrea - che mi date in compenso seestraendo dal sermone del santo quella parola voluttuosacome da untesoro teologale una pietra afrodisiacaio ve la offro?

- Non so - rispose l'Aricisempre ridendo e tenendo tra le dita abastanza fini e lunghette un bicchiere con vin di Chablis. - Quel chevolete.

- Il sostantivo dell'adjettivo.

- Che dite?

- Ne discorreremo. La parola è: linguatica. Messer Ludovicoaggiugnete alle vostre litanie questa appellazione: " Rosalinguaticaglube nos. "

- Peccato - disse il Musèllaro - che tu non sia alla mensa di un ducadel secolo XVItra una Violante e una Imperiacon Giulio RomanoconPietro Aretino e con Marc'Antonio!

La conversazione andavasi accendendo nei vininei vecchi vini diFranciafluidi e ardentiche dànno ali e fiamme al verbo. Le maiolichenon eran durantineistoriate dal cavalier Cipriano dei Piccolpassonéle argenterie eran quelle milanesi di Ludovico il Moro; ma neppure eranotroppo volgari. Nel mezzo della tavola un vaso di cristallo azzurroconteneva un gran mazzo di crisantemi giallibianchiviolaceisu cui siposavano gli occhi malinconici di Clara Green.

- Clara- chiese Ruggero Grimiti - siete triste? A che pensate?

- A' ma chimère! - rispose l'antica amante di Adolphus Jeckyllsorridendo; e chiuse il sospiro nel cerchio d'un bicchiere colmo diSciampagna.

Quel vino chiaro e brillanteche ha su le donne una virtù cosìpronta e così stranagià incominciava ad eccitare variamente i cervellie le matrici di quelle quattro etàire inegualia risvegliare e astimolare in loro il piccolo dèmone isterico e a farlo correre per tuttii loro nervi propagando la follia. Bébé Silva gittava motti orribiliridendo d'un riso soffocato e convulso e quasi singhiozzante come queld'una donna che sia per morir di solletico. Maria Fortuna schiacciava i fondantscol gomito nudo e li offeriva per nientepremendo poi su la bocca diRuggero il gomito dolcificato. Giulia Aricioppressa dai madrigali delloSperellisi turava gli orecchi con le belle maniabbandonandosi allaspalliera; e la sua boccain quell'attoattirava i morsi come un fruttosugoso.

- Hai mangiato mai - diceva il Barbarisi allo Sperelli - certeconfetture di Costantinopolimorbide come una pastafatte di bergamottodi fiori d'arancio e di roseche profumano l'alito per tutta la vita? Labocca di Giulia è una confettura orientale.

- Ti pregoLudovico- diceva lo Sperelli - lasciamela provare.Conquistami Clara Green e cedimi Giulia per una settimana. Clara anche haun sapore originale: un giulebbe di violette di Parma tra due biscotti Peek-Freanalla vainiglia...

- Attentisignori! - gridò Bébé Silvaprendendo un fondant.

Ella aveva vista la piacevolezza di Maria Fortuna e aveva fatta lascommessa ginnica di mangiarsi un fondant sul suo proprio gomitotirandoselo fin presso alle labbra. Per eseguire il giuocosi scoprì ilbraccio: un braccio magro e pallidosparso di lanugine scura; appiccicòil fondant all'osso acuto; estringendosi con la mano sinistral'antibraccio destro e facendo forzariuscì a vincere la scommessaconl'abilita d'un clowntra gli applausi.

- E questo è niente - disse ella ricoprendosi la nudità spetrale. - Chicapero guapa; è veroMusellaro?

Ed accese la decima sigaretta.

L'odor del tabacco era così delizioso che tutti vollero fumarne.L'astuccio della Silva passòdi mano in mano. Maria Fortuna lesse adalta voce su l'argento smaltato dell'astuccio:

- " Quia nominor Bébé. "

Allora tutte desiderarono d'avere un mottoun'impresa da mettere su ifazzolettisu la carta da letteresu le camicie. La cosa parve loromolto aristocraticasommamente elegante.

- Chi mi trova un motto? - esclamò l'antica amante di Carlo de Souza.- Lo voglio latino.

- Io - disse Andrea Sperelli. - Eccolo: " Semper parata."

- No.

- " Diu saepe fortiter. "

- Che vuol dire?

- E che t'importa di saperlo? Basta che sia latino. Eccone un altromagnifico: " Non timeo dona ferentes. "

- Mi piace poco. Non m'è nuovo...

- E alloraquesto: " Rarae nates cum gurgite vasto. "

- E' troppo comune. Lo leggo tante volte nelle cronache dei giornali...

LudovicoGiulioRuggero ridevano in corosonoramente. Il fumo dellesigarette si spandeva su le teste formando leggeri nimbi azzurrognoli. Aintervalli veniva dall'orchestra del Teatro un'onda di suoninell'ariacalda; e faceva cantarellare Bébé. Clara Green sfogliava nel suo piattoi crisantemiin silenziopoiché il vin bianco e leggiero le si eraconvertito nelle vene in un languor triste. Per quelli che già laconoscevanoun tal sentimentalismo bacchico non era nuovo; e il duca diGrimiti si divertiva a provocarne l'effusione. Ella non rispondevaseguitando a sfogliare nel piatto i crisantemi e stringendo le labbraquasi per trattenere il pianto. Come Andrea Sperelli si curava poco di leie si dava ad una pazza allegria di atti e di parolemeravigliando perfinoi suoi compagni di piacereella disse con una voce supplichevoletra ilcoro delle altre voci:

- Love me to-nightAndrew!

E da allora in poiquasi ad intervalli misuratilevando di sul piattolo sguardo ceruleosi mise a supplicare languidamente:

- Love me to-nightAndrew!

- O che lagno! - fece Maria Fortuna. - Ma che significa? Si sente male?

Bébé Silva fumavabeveva bicchierini di vieux cognac e dicevacose enormicon una vivacità artifiziale. Ma avevaa quando a quandomomenti di stanchezzadi prostrazionestranissimine' quali pareva chequalche cosa le cadesse dal volto e che nella sua figura sfrontata eoscena entrasse non so qual piccola figura tristemiserevolemalatapensierosapiù vecchiadella vecchiezza d'una bertuccia tisica che siritragga in fondo alla sua gabbia a tossire dopo aver fatto ridere lagente. Erano momenti fuggevoli. Ella si riscoteva per bere un altro sorsoo per dire un'altra enormità.

E Clara Green a ripetere:

- Love me to-nightAndrew!

 

Libro terzo - 2

Cosìd'un balzoAndrea Sperelli si rituffò nel Piacere. Perquindici giorni lo occuparono Giulia Arici e Clara Green. Poi partì per Parigie per Londrain compagnia del Musèllaro. Tornò a Roma verso la metà didecembre; trovò la vita invernale già molto mossa; fu sùbito ripreso nel grancerchio mondano. Ma egli non s'era maitrovato in una disposizion di spirito più inquietapiù incertapiù confusa;non aveva mai provato dentro di sè uno scontento più molestoun malesserepiù importuno; né mai aveva provato contro di sé medesimo impeti d'ira e motidi disgusto più crudeli. Talvoltain qualche stanca ora di solitudineegli sisentiva salire dalle profonde viscere l'amarezzacome una nausea improvvisa; erimaneva là ad assaporarlatorpidamentesenza aver la forza di cacciarlafuoricon una specie di rassegnazione cupacome un malato che abbia perdutaogni fiducia di guarire e sia disposto a vivere del suo proprio malearaccogliersi nella sua sofferenzaa profondarsi nella sua miseria mortale. Glipareva che di nuovo l'antica lebbra gli si dilatasse per l'anima e di nuovo ilcuore gli si vuotasse per non riempirsi più maicome un otre foratoirreparabilmente. Il senso di questa vacuitàla certezza di questairreparabilità gli movevano talvolta una specie di collera disperata e poi undisprezzo folle di sé medesimodel suo voleredelle ultime sue speranzedegli ultimi suoi sogni. Egli era giunto a un terribile momentoincalzato dallavita inesorabiledall'implacabile passione della vita; era giunto al momentosupremo della salvezza o della perdizioneal momento decisivo in cui i grandicuori rivelano tutta la loro forza e i piccoli cuori tutta la loro viltà. Eglisi lasciò sopraffare; non ebbe il coraggio di salvarsi con un atto volontario;pur essendo in balia del doloreebbe paura d'un dolore più virile; pur essendotravagliato dal disgustoebbe paura di rinunziare a ciò che lo disgustava; puravendo in sé vivo e spietato l'istinto del distacco dalle cose che piùparevano attrarloebbe paura di allontanarsi da quelle cose. Egli si lasciòabbattere; abdicò intieramente e per sempre alla sua volontàalla suaenergiaalla sua dignità interiore; sacrificò per sempre quel che glirimaneva di fede e d'idealità; si gittò nella vitacome in una grandeavventura senza scopoalla ricer ca del godimentodell'occasionedell'attimofeliceaffidandosi al destinoalle vicende del casoall'accozzo fortuitodelle cagioni. Mamentre egli credeva con questa specie di fatalismo cinicomettere un argine alla sofferenza e conquistare se non la calma almenol'ottusità in lui di continuo la sensibilità al dolore diveniva più acutalefacoltà di soffrire si moltiplicavanoi bisogni e i disgusti aumentavano senzafine. Egli esperimentava ora la profonda verità delle parole che aveva dette ungiorno a Maria Ferresin un momento di confidenza e di malinconia sentimentali:- Altri sono più infelici; ma io non so se ci sia stato al mondo uomo menfelice di me. - Egli esperimentava ora la verità di quelle parole dette inun momento assai dolcequando gli illuminava l'anima l'illusione di una secondagiovinezzail presentimento d'una nuova vita. Eppurequel giornoparlando a quella creaturaegli era stato sincero come non mai;egli aveva espresso il suo pensiero con ingenuità e candorecome non mai.Perchéin un soffiotutto s'era dileguatotutto era svanito? Perché nonaveva saputo egli nutrire quella fiamma nel suo cuore? Perché non aveva saputocustodire quella memoria e tenere quella fede? La sua legge era dunque lamutabilità; il suo spirito aveva l'inconsistenza d'un fluido; tutto in lui sitrasformava e si difformavasenza tregua; la forza morale gli mancavaintieramente; il suo essere morale si componeva di contraddizioni; l'unitàlasemplicitàla spontaneità gli sfuggivano; a traverso il tumultola voce deldovere non gli giungeva più; la voce del volere veniva soverchiata da quelladegli istinti; la conscienzacome un astro senza luce propriaad ogni trattosi eclissava. Tale era stato sempre; tale sarebbe stato sempre. Perchédunquecombattere contro sé medesimo? Cui bono? Maappunto codesta lotta era una necessità della sua vita; appunto codestairrequietudine era una condizione essenziale della sua esistenza; appuntocodesta sofferenza era una condanna a cui non avrebbe egli potuto sottrarsigiammai. Qualunque tentativo dianalisi su sé medesimo si risolveva in una maggiore incertezzain una maggioreoscurità. Essendo egli interamente sfornito di forza sinteticala sua analisidiveniva un crudele giuoco distruttore. E da un'ora di riflessione su sémedesimo egli usciva confusodisfattodisperatoperduto. Quandola mattina del 30 dicembrenella via dei Condottiinaspettatamentesirincontrò con Elena Mutiegli ebbe una commozione inesprimibilecomed'innanzi al compiersi d'un fato meravigliosocome se il riapparir di quelladonna in quel momento tristissimo della sua vita avvenisse per virtù d'unapredestinazione ed ella gli fosse inviata per soccorso ultimo o per ultimo dannonel naufragio oscuro. Il primo moto dell'anima sua fu di ricongiungersi a leidi riprenderladi riconquistarladi ripossederla tutta quantacome un tempodi rinnovare la passione antica con tutte le ebrezze e tutti gli splendori. Ilprimo moto fu di giubilo e di speranza. Poisenza indugiorisorsero ladiffidenza e il dubbio e la gelosia; senza indugiol'occupò la certezza chenessun prodigio mai avrebbe potuto risuscitare sol una minima parte dellafelicità mortariprodurre sol un baleno dell'ebrezza spentasol un'ombradell'illusione sparita. Ella eravenutaella era venuta! Era rientrata nel luogo dove ogni cosa per leicustodiva un ricordo e aveva detto: - Io non sono più tuanon potrò esseretua più mai. - Aveva gridatocontro di lui: - Soffriresti tu di spartire conaltri il mio corpo? - Proprioaveva osato gridar quelle parolecontro di luiin quel luogoin conspetto di quelle cose! Undolore atroceenormefatto di mille punture l'una dall'altra distinte e l'unapiù dell'altra acutelo tenne per qualche tempo e l'esasperò. La passione loriavvolse con mille fuochisuscitandogli un inestinguibile ardore carnale perquella donna non più suarisvegliandogli nella memoria tutte le più minuteparticolarità dei godimenti lontanile imagini di tutte le carezzedi tuttele attitudini di lei nel piaceredi tutte le folli mescolanze che non saziavanoné appagavano mai la loro brama di continuo rinascente. E pur semprein ognisua imaginazionepersisteva quella strana difficoltà a ricongiungere l'Elenad'una volta all'Elena d'ora. Mentre i ricordi del possesso lo accendevano e lotorturavanola certezza del possesso gli sfuggiva: l'Elena d'ora gli pareva unadonna nuovanon mai godutanon mai stretta. Il desiderio gli diede talispasimi ch'egli credé morirne. L'impurità l'infettò come un tossico. L'impuritàche allora la fiamma alata dell'anima velava d'un velo sacro e circondavad'un mistero quasi divinoappariva ora senza il velosenza il mistero dellafiammacome una lascivia interamente carnalecome una libidine bassa. Ed eglisentiva che quel suo ardore non era l'Amore e che non aveva più nulla di comunecon l'Amore. Non era l'Amore. Ella gli aveva gridato: - Soffriresti tu dispartire con altri il mio corpo? - Ebbenesìegli l'avrebbe sofferto! Eglil'avrebbe presasenza ripugnanzacosì come venivacontaminata dall'abbracciodi un altro; avrebbe messa la sua carezza su la carezza di un altro; avrebbepremuto il suo bacio sul bacio di un altro. Nullapiùnulla piùdunquein lui rimaneva intatto. Anche il ricordo della grandepassione si corrompeva miseramentesi bruttavas'avvilivain lui. L'ultimobarlume di speranza era estinto. Infineegli toccava il fondoper nonrialzarsi mai più. Ma una orribilesmania l'invasedi atterrare l'idolo che rimanevagli pur sempre alzato edenigmatico d'innanzi. Con una cinica crudeltà egli si mise a scalzarloadoscurarloa corroderlo. L'analisi distruggitricech'egli già avevaesperimentata su se medesimogli servì contro di Elena. A tutte leinterrogazioni del dubbioche un tempo egli aveva voluto sfuggireora cercòuna risposta; di tutti i sospettiche un tempo apparivano e si dileguavanosenza lasciar tracciaora studiò l'origineritrovò la giustificazioneottenne la conferma. Egli credeva di trovare un sollievo in questa disgraziataopera d'abbattimento; e aumentava la sua sofferenzairritava il suo maleallargava le sue macchie. Quale erastata la cagion vera della partenza di Elenanel marzo del 1885? - Moltedicerie eran corse in quel tempo e nel tempo del matrimonio di lei con HumphreyHeathfield. La verità era una sola. Egli la seppe da Giulio Musèllaropercasoin mezzo a chiacchiere inconcludentiuna serauscendo da un teatro; enon ne dubitò. Donna Elena Muti era partita per affari di finanzapercombinare " un'operazione " che doveva trarla da gravissimi imbarazzipecuniarii causati dalla sua eccessiva prodigalità. Il matrimonio con LordHeathfield l'aveva salvata da una rovina. Questo Heathfieldmarchese di MountEdgcumbe e conte di Bradfordpossedeva ricchezze considerevoli ed era alleatocon la più alta nobiltà britanna. Donna Elena aveva saputo far le sue cose conmolto accorgimento; aveva saputo escir dal pericolo con un'abilitàstraordinaria. Certoi suoi tre anni di vedovanza non parevano essere stati uncasto intermezzo preparatorio alle seconde nozze. Non casto e neanche cauto. Masenza dubbioD onna Elena era una gran donna... -Ahmio carouna gran donna! - ripeté Giulio Musèllaro. - tu lo sai bene.Andrea tacque. -Ma non ti consiglio di riavvicinarti - soggiunse l'amicogittando via lasigaretta che tra una chiacchiera e l'altra gli si era spenta. - Riaccendere unamore è come riaccendere una sigaretta. Il tabacco s'invelenisce; l'amoreanche. Andiamo a prendere da una tazza di tè dalla Moceto? M'ha detto che sipuò andare lei dopo il teatro: non è mai tardi. Eranosotto il palazzetto Borghese. - Va tu- disse Andrea. - Io torno a casaa dormire. La caccia d'oggi m'ha un po'stancato. Salutami Donna Giulia. Comprends et prends. IlMusèllaro salì. Andrea seguitò giù per la Fontanella di Borghese e per iCondottiverso la Trinità. Era una notte di gennaio fredda e serenauna diquelle prodigiose notti iemali che fanno di Roma una città d'argento chiusa inuna sfera di diamante. La luna pienaa mezzo del cieloversava la triplicepurezza della lucedel gelo e del silenzio. Eglicamminavasotto la lunacome un sonnambulonon avendo conscienza che del suodolore. L'ultimo colpo era dato; l'idolo crollava; nulla più rimaneva su lagran rovina; tutto così finivaper sempre. - Elladunqueveramente nonl'aveva mai amato. Senza esitareaveva troncato l'amore per provvedere a undissesto. Senza esitareaveva concluso un matrimonio utile. Orad'innanzi aluiprendeva un'attitudine di martiresi avvolgeva in un velo di sposainviolabile! - Un riso amaro gli saliva dal fondo; e poi una collera sorda glisi mosse contro la donna e l'accecò. I ricordi della passione non valsero.Tutte le cose di quel tempo gli apparvero come un solo ingannoenorme ecrudelecome una sola menzogna; e quest'uomo che dell'inganno e della menzognas'era fatto nella vita un abitoquest'uomo che aveva ingannato e mentito tantevoltesi sentìal pensiero dell'altrui frodeoffenderesdegnaredisgustarecome da una colpa imperdonabilecome da una mostruosità inescusabileed ancheine splicabile. Egli non giungeva infatti a spiegarsi come Elena avesse potutocommettere un tal delitto; epur non giungendovinon le concedeva alcunagiustificazionenon accoglieva il dubbio che una qualche altra segreta cagionel'avesse spinta alla fuga subitanea. Egli non sapeva vedere che l'azionebrutalela bassezzala volgarità: la volgaritàsopra tuttocrudaapertaodiosanon attenuata da nessuna contingenza. Insommasi trattava di questo:una passioneche pareva sincera ed era giurata altissimainestinguibileveniva ad essere interrotta da un affar di denaroda una utilità materialedaun negozio. " Ingrato! Ingrato!Che sai tu di quel ch'è accadutodi quel ch'io ho sofferto? Che sai? " Leparole di Elena gli tornarono nella memoriaprecise; tutte le parole di leidal principio alla fine del colloquio tenuto innanzi al caminettogli tornarononella memoria: le parole di tenerezzale offerte di fraternitàtutte quellefrasi sentimentali. Ed egli ripensò anche alla lacrima che le avea velato gliocchialle mutazioni del voltoal tremitoalla voce soffocata dell'addioquando egli le aveva posato su le ginocchia il fascio delle rose. - Perché maiaveva ella consentito a venir nella casa? Perché aveva voluto recitar quellaparteprovocar quella scenaordire quel nuovo dramma o quella nuova comedia?Perché? Era giunto alla sommitàdella scalanella piazza deserta. La bellezza della notte gli dieded'improvvisoun'aspirazione vaga ma affannosa verso un Bene sconosciuto;l'imagine di Donna Maria gli attraversò lo spirito; il cuore gli palpitòfortecome all'urto d'un desiderio; gli balenò il pensiero di tener le mani diDonna Maria nelle suedi piegare sul cuor di lei la fronte e di sentirsi da leiconsolare senza parolepietosamente. Quel bisogno di pietàdi rifugiodicompianto fu come l'ultimo tratto dell'anima che non si rassegnava a perire.Egli chinò il capo e rientrò nella casasenza più volgersi a guardare lanotte. Terenzio l'aspettavanell'anticamerae lo seguì fin nella stanza da lettodove il fuoco eraacceso. Domandò: - Il signor conte vaa letto sùbito? - NoTerenzio.Portami il tè - rispose il signoresedendosi innanzi al camino e tendendo lepalme verso la fiamma. Egli tremavad'un piccolo tremito nervoso. Aveva pronunziate quelle parole con una stranadolcezza; aveva chiamato a nome il domestico; gli aveva dato del tu. -Ha freddo il signor conte? - domandò Terenziocon una premura affettuosaincoraggiato dalla benevolenza del signore. Esi chinò su gli alari a ravvivare il fuocoaggiungendo altre legne. Egli eraun vecchio servo di casa Sperelli; aveva servito il padre di Andrea per moltianni; e la sua devozione pel giovine giungeva sino all'idolatria. Nessunacreatura umana gli pareva più bellapiù nobilepiù sacra. Egli appartenevain veritàa quella ideal razza che fornisce i servi fedeli ai romanzid'avventura o di sentimento. Maa differenza de' servi romanzeschiparlava diradonon dava consiglinon d'altro s'occupava che d'obedire. -Va bene così - disse Andreacercando di vincere il tremito convulsoaccostandosi al fuoco. La presenza delvecchioin quella cattiva oralo commoveva singolarmente. Era una commozionesimile in parte alla debolezza chein presenza d'una persona buonaprende gliuomini prima dei suicidio. Non maicome in quell'orail vecchio gli avevasuscitato il pensiero del padrela memoria del caro estintoil rimpianto delgrande amico perduto. Non maicome in quell'oraegli aveva provato il bisognod'un conforto familiaredella voce e della mano paterna. Che avrebbe detto ilpadre se avesse veduto il figliuolo accasciato nell'orribile miseria? Comel'avrebbe sollevato? Con quale forza? Ilsuo pensiero andava al mortocon un immenso rammarico. Ma non era in lui nemmenl'ombra del sospettoche la causa remota della sua miseria fosse nel primoinsegnamento paterno. Terenzio portòil tè. Quindi si mise a preparare il lettocon lentezzacon una cura quasifeminileemulando Jennynon dimenticando nullasembrando voler assicurare alsignorefino al mattinoun riposo perfettissimoun sonno imperturbabile.Andrea lo guardavanotandone ogni attocon una commozione crescentein fondoa cui era anche non so qual vago senso di pudore. Gli faceva male la bontà diquel vecchio intorno a quel letto per ove eran passati tanti amori immondi; glipareva quasi che quelle mani senili rimescolassero tutte le impuritàinconsapevolmente. - Va a dormireTerenzio - egli disse. - Non ho bisogno d'altro. Rimasesolod'innanzi al fuocosolo con l'anima suasolo con la sua tristezza. Silevòagitato dal tormento interioree si mise a percorrere la stanza.L'incalzava la visione della testa di Elena sul guanciale scoperto del letto. Adogni trattoquando giunto d'innanzi alla finestra si rivolgevacredeva divederla; e n'aveva un sussulto. I suoi nervi erano così estenuati chesecondavano ogni disordine della fantasia. L'allucinazione diveniva piùintensa. Egli si fermònascose la faccia tra le palmeper contenerel'eccitamento. Poi tirò sul guanciale la copertae andò a risedersi. Glisorse nello spirito un'altra imagine: Elena tra le braccia del marito: ancórauna voltacon una esattezza implacabile. Egliora conosceva meglio questo marito. Proprio in quella seraal teatroin unpalcoegli era stato a lui presentato da Elena e l'aveva osservatoattentamenteminutamentecon acuta ricercacome per averne qualcherivelazionecome per strappargli un segreto. Udiva ancóra la voce di luiunavoce d'un timbro singolareun po' stridulache dava ad ogni principio di fraseuna intonazione interrogativa; e vedeva quegli occhi chiari chiari sotto la granfronte convessaquegli occhi che prendevano talvolta i riflessi morti d'unvetro o s'animavano d'un bagliore indefinibilesimile un poco allo sguardo d'unmaniaco. E vedeva anche quelle mani bianchiccemollisparse d'una peluriabiondissimache avevano qualche cosa d'inverecondo in ogni loro motonelprendere il binocolonello spiegare il fazzolettonel posarsi sul davanzaledel palconello sfogliare il libretto dell'operain ogni loro moto: maniimprontate di viziomani sàdichepoiché tali forse dovevan esserquelle di certi p ersonaggi del Sade. Eglivedeva quelle mani toccare la nudità di Elenacontaminare il corpo bellissimotentare una lascivia curiosa... Orrore! Ilsupplizio era insostenibile. Egli si levòdi nuovo; andò alla finestral'aprìrabbrividì all'aria freddasi scosse. La Trinità de' Monti splendevanell'azzurrocon lineamenti netticome intagliata in un marmo appena appenaroseo. Romasottoaveva un luccicor cristallinocome una città scavata in unghiacciaio. Quella quiete gelida eprecisa gli ricondusse lo spirito alla realitàgli ridiede la conscienza veradel suo stato. Egli richiusee tornò a sedersi. L'enigma di Elena lo attrasseancóra; le interrogazioni gli risorsero in tumultolo incalzarono. Ma ebbe laforza di ordinarledi coordinarledi esaminarle a una a unacon una stranalucidità. Come più procedeva nell'analisipiù acquistava di lucidità; e diquella sua crudele psicologia godeva come d'una vendetta. Infinegli parevad'aver denudata un'animad'aver penetrato un mistero. Gli parevainfinedipossedere Elena assai più a dentro che non al tempo dell'ebrezza. Chiera ella mai? Era uno spirito senzaequilibrio in un corpo voluttuario. A similitudine di tutte le creature avide dipiacereella aveva per fondamento del suo essere morale uno smisurato egoismo.La sua facoltà precipuail suo asse intellettualeper dir cosìeral'imaginazione: una imaginazione romanticanudrita di letture diversedirettamente dipendente dalla matricecontinuamente stimolata dall'isterismo.Possedendo una certa intelligenzaessendo stata educata nel lusso d'una casaromana principescain quel lusso papale fatto di arte e di storiaella erasivelata d'una vaga incipriatura esteticaaveva acquistato un gusto elegante; edavendo anche compreso il carattere della sua bellezzaella cercavaconfinissime simulazioni e con una mimica sapientedi accrescerne laspiritualitàirraggiando una capziosa luce d'ideale. Ellaportava quindinella comedia umanaelementi pericolosissimi; ed era occasiondi ruina e di disordine più che s'ella facesse publica professioned'impudicizia. Sotto l'ardore dellaimaginazioneogni suo capriccio prendeva un'apparenza patetica. Ella era ladonna delle passioni fulmineedegli incendii improvvisi. Ella copriva di fiammeeteree i bisogni erotici della sua carne e sapeva transformare in altosentimento un basso appetito... Cosìin questo modocon questa ferociaAndrea giudicava la donna un tempo adorata.Procedevanel suo esame spietatosenza arrestarsi d'innanzi ad alcun ricordopiù vivo. In fondo ad ogni attoa ogni manifestazione dell'amor d'Elenatrovava l'artifiziolo studiol'abilitàla mirabile disinvolturanell'eseguire un tema di fantasianel recitare una parte dramaticanelcombinare una scena straordinaria. Egli non lasciò intatto alcuno de' piùmemorabili episodii: né il primo incontro al pranzo di casa Ateletané lavendita del cardinale Immenraetné il ballo del'Ambasciata di Franciané ladedizione improvvisa nella stanza rossa del palazzo Barberininé il congedo sula via Nomentana nel tramonto di marzo. Quel magico vino che prima lo avevainebriato ora gli pareva una mistura perfida. Benperòin qualche puntoegli rimaneva perplessocome sepenetrando nell'animadella donnaegli penetrasse nell'anima sua propria e ritrovasse la sua propriafalsità nella falsità di lei; tanta era l'affinità delle due nature. E a pocoa poco il disprezzo gli si mutò in una indulgenza ironicapoiché egli comprendeva.Comprendeva tutto ciò che ritrovava in sé medesimo. Alloracon fredda chiarezzadefinì il suo intendimento. Tuttele particolarità del colloquio avvenuto nel giorno di San Silvestropiù d'unasettimana innanzitutte gli tornarono alla memoria; ed egli si piacque ariconstruir la scenacon una specie di cinico sorriso interioresenza piùsdegnosenza concitazione alcunasorridendo di Elenasorridendo di sémedesimo. - Perché ella era venuta? Era venuta perché quel convegnoinaspettatocon un antico amantein un luogo notodopo due annile era parsostranoaveva tentato il suo spirito avido di commozioni raareavevatentata la sua fantasia e la sua curiosità. Ella voleva ora vedere a qualinuove situazioni e a quali nuove combinazioni di fatti l'avrebbe condotta questogiuoco singolare. L'attirava forse la novità di un amor platonico con lapersona medesima ch'era già stata oggetto d'una passion sensuale. Come sempreella erasi messa con un certo ardore all'imaginazione d'un tal sentimento; epoteva anche darsi ch'ella credesse d'esser sincera e che da questa imaginatasincerità avesse tratto gli accenti di profonda tenerezza e le attitudinidolenti e le lacrime. Accadeva in lei un fenomeno a lui ben noto. Ella giungevaa creder verace e grave un moto dell'anima fittizio e fuggevole; ella avevaperdir cosìl'allucinazione sentimentale come altri ha l'allucinazione fisica.Perdeva la conscienza della sua menzogna; e non sapeva più se si trovasse nelvero o nel falsonella finzione o nella sincerità. Oraa questo punto era lo stesso fenomeno morale che ripetevasi in lui di continuo.Egli dunque non poteva con giustizia accusarla. Manaturalmentela scopertatoglieva a lui ogni speranza d'altro piacere che non fosse carnale. Omai ladiffidenza gli impediva qualunque dolcezza d'abbandonoqualunque ebreza dellospirito. Ingannare una donna sicura e fedeleriscaldarsi a una grande fiammasuscitata con un baglior fallacedominare un'anima con l'artifiziopossederlatutta e farla vibrare come uno stromentohabere non haberipuò essereun alto diletto. Ma ingannare sapendo d'essere ingannato è una sciocca esterile faticaè un giuoco noioso e inutile. Eglidoveva dunque ottener che Elena rinunziasse all'idea di fraternizzare e glitornasse fra le braccia come un tempo. Egli doveva riprendere il possessomateriale della bellissima donnatrarre dalla bellezza di lei il maggiorpossibile godimentoe quindi esserne per sempre liberato dalla sazietà. Ma inquesta impresa conveniva usar prudenza e pazienza. Già nel primo colloquiol'ardor violento aveva fatto cattiva prova. Appariva manifesto ch'ella fondavail suo progetto di impeccabilità su la famosa frase: " Soffriresti tu dispartire con altri il mio corpo? " La grande macchina platonica era mossada questo santo orrore delle mescolanze. Poteva anche darsi chein fondo infondoquesto orrore fosse sincero. Quasi tutte le donne d'amorosa vitasegiungono a concluder nozzeaffettano ne' primi tempi del matrimonio una ferocepurità e si pongono a far professione di mogli caste con leale proposito.Poteva quindi anche darsi che Elena fosse presa dal comune scrupolo. Nulla dipeggioallorache assalirla di fronte e apertamente urtare la sua novellavirtù.Invececonveniva secondarla nelle aspirazioni spiritualiaccettarlacome " la sorella più caral'amica più dolce "inebriarlad'idealeplatonizzando con accortezza; e a poco a poco trarla dalla candidafraternità a un'amicizia voluttuosae da un'amicizia voluttuosa alla totalresa del corpo. Probabilmente queste transizioni sarebbero state rapidissime.Tutto dipendeva dalla circostanza.... Cosìragionava Andrea Sperellid'innanzi al camino che aveva illuminata l'amanteElena ignudaavvolta nel drappo dello Zodiacoridente tra le rose sparse. El'occupava una stanchezza immensauna stanchezza che non chiedeva il sonnounastanchezza così vacua e sconsolata che quasi pareva un bisogno di morire;mentre il fuoco spegnevasi in su gli alari e la bevanda freddavasi nella tazza.Ne' giorni che seguironoegli invanoaspettò il biglietto promesso. " Vi scriverò un biglietto per dirviquando potrò vedervi. " Elena dunque intendeva dargli un nuovo convegno.Ma dove? Ancóra nella casa Zuccari? Avrebbe ella commessa la secondaimprudenza? L'incertezza gli dava torture indicibili. Egli passava tutte le sueore a ricercare un qualunque mezzo per incontrarlaper vederla. Più d'unavolta andò all'Albergo del Quirinalecon la speranza d'esser ricevutoma nonla trovò mai. La rivide una sera col maritocon Mumpscom'ella dicevadinuovo al teatro. Parlando di cose leggeredella musicadei cantantidelledameegli mise nel suo sguardo una tristezza supplichevole. Ella si mostròmolto preoccupata del suo appartamento: - rientrava nel palazzo Barberininelsuo antico quartiere ma ampliato; ed era sempre con i tappezzieri a dare ordinia disporre. - Rimarrete a Roma lungotempo? - le chiese Andrea. - Sì -ella rispose. - Roma sarà la nostra residenza invernale. Pocodoposoggiunse: - Voiveramentepotreste darci qualche consiglio per l'addobbo. Venite una di queste mattine alpalazzo. Io ci son sempre tra le dieci e mezzogiorno. Egliprofittò d'un momento in cui Lord Heathfield parlava con Giulio Musèllarogiunto allora nel palco; e chiese guardandola negli occhi: -Domani? Ella risposecon semplicitàcome se non avesse badato all'accento di quella interrogazione: -Tanto meglio. La mattina dopoegliandòverso le undicia piedilungo la via Sistinaper la piazza Barberini esu per la salita. Era un cammino ben noto. Gli parve di ritrovare le impressionid'una volta; ebbe un'illusione momentanea: il cuore gli si sollevò. La fontanadel Bernini brillava singolarmente al solecome se i delfinila conchiglia eil Tritone fosser divenuti d'una materia più diafananon pietra e non ancorcristalloper una metamorfosi interrotta. L'operosità della nuova Roma empivadi romore tutta la piazza e le vie prossime. Tra i carri e i giumenti guizzavanoi piccoli ciociari offrendo le violette. Quandoegli oltrepassò il cancello ed entrò nel giardinosentendosi prendere da untremitopensò: " Ma l'amo io dunque ancóra? Ancóra la sogno?" Gli pareva che il tremito fosse quel d'una volta. Guardò il gran palazzoradiante e il suo spirito volò ai tempi in cui quella dimorain certe albefredde e nebbioseprendeva per lui un aspetto d'incanto. Erano i primissimitempi della felicità: egli usciva caldo di bacipieno della recente gioia; lecampane della Trinità de' Montidi Sant'Isidorode' Cappuccini sonavano l'Angelusnel crepuscoloconfusamentecome se fossero assai più lontane; all'angolodella via rosseggiavano i fuochi intorno le caldaie dell'asfalto; un gruppo dicapre stava lungo il muro biancastrosotto una casa addormentata; i gridifiochi degli acquavitari si perdevano nella nebbia... Eglisentì risalir dal profondo quelle sensazioni obliate; per un momentosi sentìpassar su l'anima un'onda dell'antico amore; per un momentoprovò ad imaginareche Elena fosse la Elena d'una volta e che le cose tristi non fossero vere e chela felicità seguitasse. Tutto l'ingannevole fermento caddeappena egli varcòla soglia e vide venire incontro il marchese di Mount Edgcumbe sorridente diquel suo sorriso fine e un po' ambiguo. Alloraincominciò il supplizio. Elenacomparvegli tese la mano con molta cordialitàinnanzi al maritodicendo:- Bravo Andrea! Aiutateciaiutateci...Ella era molto vivacenelle parolene'gesti. Aveva un'aria molto giovenile. Portava una giacca di panno azzurro cupoguarnita d'astrakan nero su gli orlisul collo diritto e su le maniche;e un cordoncino di lana faceva nell'astrakan un ricamo elegantepassandovi sopra intrecciato. Ella teneva una mano nella tascain attograzioso; e con l'altra indicava le opere di tappezzeriai mobilii quadri.Domandava consiglio. - Dove metterestevoi questi due cassoni? Vedete: li ha trovati Mumps a Lucca. Le pitture sono delvostro Botticelli. Dove mettereste questi arazzi? Andreariconobbe i quattro arazzi della Storia di Narcisso ch'erano alla venditadel cardinale Immenraet. Guardò Elenama non incontrò gli occhi di lei. Unairritazione sorda lo presecontro di leicontro il maritocontro queglioggetti. Egli avrebbe voluto andarsene; ma gli convenne mettere in servigio deiconiugi Heathfield il suo buon gusto; gli convenne anche sofferire l'erudizionearcheologica di Mumpsch'era un collezionista ardente e che volle mostrargliqualcuna delle sue raccolte. Egli riconobbe in una vetrina l'elmo delPollajuoloe in un'altra la tazza di cristallo di ròcca appartenuta a NiccolòNiccoli. La presenza di quella tazza in quel luogo lo turbò stranamenteglifece balenare allo spirito folli sospetti. Era dunque caduta in mano di LordHeathfield? Dopo la famosa contesa che non ebbe esitonessuno più si occupòdel cimelionessuno tornò alla venditail giorno dopo; l'eccitazione efimeralanguìsi spensepassò come tutto passa nella vita mondana; e il cristallorimase al contrasto di altri. La cosa era naturalissima; ma in quel momento adAndrea parve straordinaria. Ad arteegli si fermò d'innanzi alla vetrina e guardò molto la coppa preziosa dove lastoria d'Anchise e di Venere scintillava come intagliata in un puro diamante.- Niccolò Niccoli - disse Elenapronunziando quel nome con accento indefinibile in cui il giovine credé sentireun poco di malinconia Il marito erapassato nella stanza attigua per aprire un armario -Ricordatevi! Ricordatevi! - mormorò Andreavolgendosi. -Mi ricordo. - Quando dunque vi vedrò?- Chi sa! -Mi prometteste... Ricomparve il MountEdgcumbe. Passarono nell'altra stanzaseguitarono il giro. Ovunque itappezzieri attendevano a stendere paratiad alzar tendea trasportar mobili.Andreaogni volta che l'amica gli chiedeva un consigliodoveva fare uno sforzoper rispondereper vincere la mala vogliaper dominare l'impazienza. In unmomento che il marito parlava con uno di quegli uominiegli le dissea bassavocemostrando chiaro il suo fastidio: -Perché darmi questa tortura? Io sperava di trovarvi sola. Auna portail cappellino di Elena urtò una portiera mal messa e si piegò tuttoda un lato. Ellaridendochiamò Mumps perché le sciogliesse il nodo delvelo. E Andrea vide quelle mani odiose sciogliere il nodo su la nuca delladesideratasfiorare i piccoli riccioli neriquei riccioli vivi che un temposotto i baci rendevano un profumo misteriosonon paragonabile ad alcuno de'profumi conosciutima più di tutti soavepiù di tutti inebriante. Senzaindugioegli si congedòaffermando d'essere aspettato a colazione. -Noi verremo a star qui definitivamenre il primo di febbraiomartedì - glidisse Elena. - Allora saretesperoun nostro assiduo. Andreas'inchinò. Avrebbe dato qualunquecosa per non toccare la mano di Lord Heathfield. Se ne andò pieno di rancoredi gelosiadi disgusto. La seramedesimasul tardiessendo capitato per caso al Circolodove non saliva damolto tempoegli vide seduto a un tavolo di giuoco Don Manuel Ferres yCapdevilail ministro del Guatemala. Lo salutò con premura; gli chiese notiziedi Donna Mariadi Delfina. - Sonoancóra a Siena? Quando verranno? Ilministromemore d'aver guadagnate alcune migliaia di lire giocando col giovineconte nell'ultima notte di Schifanojarispose con grande cortesia alla premura.Egli aveva conosciuto Andrea Sperelli giocatore ammirabiled'alto stileperfetto. - Sono qui tutt'e duedaqualche giorno. Arrivarono lunedì. Maria è molto dispiacente di non avertrovata la marchesa d'Ateleta. Io credo che una vostra visita le sarà moltogradita. Stiamo nella via Nazionale. Eccovi l'indirizzo esatto. Glidiede un suo biglietto. Quindi si rimise al giuoco. Andrea si sentì chiamaredal duca di Beffi ch'era in un crocchio di altri gentiluomini. -Perché non sei venuto stamani a Centocelle? - gli domandò il duca. -Avevo un altro appuntamento - rispose Andreasenza pensarciper una scusaqualunque. Il duca si mise aridacchiare in coro con gli altri amici. -Al palazzo Barberini? - Potrebbedarsi. - Potrebbe darsi? T'ha vistoentrare Ludovico... - E tu dov'eri? -chiese Andrea al Barbarisi. - Da miazia Saviano. - Ah! -Non so se tu abbia fatto miglior caccia- seguitò il duca di Beffi - ma noiabbiamo avuto un galoppo veloce di quarantadue minuti e due volpi. Giovedìalle Tre Fontane. - Capisci? Non alleQuattro... - ammonìcon la sua solita gravità comicaGino Bommìnaco.Gli amici riseroal motto; e il riso sipropagò anche allo Sperelli. Non gli dispiaceva quella malignità. Anzioraappunto che mancava il fondamentoegli godeva che gli amici credesseroriannodata la sua relazione con Elena. Si volse a discorrere con GiulioMusèllaro sopravvenuto. Da alcune parole giuntegli all'orecchios'accorse chenel crocchio si parlava di Lord Heathfield. -Io lo conobbi a Londra sei o sett'anni fa - diceva il duca di Beffi. - Era Lordof the Bedchamber del principe di Gallesmi pare... Poila voce s'abbassò. Il duca doveva raccontare cose enormi. All'orecchio d'Andreagiunsetra frammenti di frasi erotichedue o tre volte il titolo d'un giornalefamoso nella stagione degli scandali di Londra: Pall Mall Gazette. Egliavrebbe voluto ascoltare: una terribile curiosità l'invadeva. Rividenell'imaginazione le mani di Lord Heathfieldquelle pallide manicosìespressivecosì significativecosì rivelatriciindimenticabili. Ma ilMusèllaro seguitava a discorrere. Il Musèllaro gli disse: -Usciamo. Ti racconterò. Giù per lescale incontrarono il conte Albónico che saliva. Era vestito a lutto per lamorte di Donna Ippolita. Andrea si fermò: gli chiese qualche notizia del fattodoloroso. Egli aveva saputo la sventuranel novembrea Parigida GiulioMontelaticicugino di Donna Ippolita. -Ma fu un tifo? Il vedovo biondiccio escolorito colse l'occasione per versar la sua pena. Egli portava in giro il suodolore come un tempo aveva portato la bellezza della moglie. La balbuzieimmiseriva le sue parole afflitte: e pareva che gli occhi biancastri gli sidovessero sgonfiarecome due bolle di sieroda un momento all'altro. GiulioMusèllarovedendo che l'elegia del vedovo andava un po' per le lunghesollecitò Andrea dicendogli: - Badaci faremo aspettar troppo. Andrea silicenziòrimettendo a un prossimo incontro il seguito della commemorazionefunebre. Ed uscì con l'amico. Leparole dell'Albónico gli avevano rinnovato quel sentimento singolaremistod'un tormentoso desiderio e poi d'una specie di compiacenzache a Parigil'aveva per alcuni giorni occupato dopo la notizia della morte. In quei giornil'imagine di Donna Ippolitaquasi avvolta d'obliogli era apparsaa traversoil tempo della malattia e della convalescenzaa traverso tante altre vicendeatraverso l'amore di Donna Maria Ferresmolto lontana ma avvolta di non so cheidealità. Egli aveva da lei ottenuto il consenso; epur non essendo giunto apossederlane aveva tratto una delle più grandi ebrezze umane: l'ebrezza dellavittoria sopra un rivaled'una vittoria clamorosain conspetto della donnadesiderata. In quei giorniil desiderio non potuto appagare gli era risorto; esotto l'impero dell'imaginazionel'impossibilità di appagarlo gli aveva datouna inquietudine indicibilequalche ora di vero supplizio. Poitra ildesiderio e il rimpianto era nato un altro sentimentoquasi di compiacenzadirei quasi d'elevazione lirica. Gli piaceva che la sua avventura terminassecosìper sempre. Quella donna non possedutapel cui acquisto egli era statosul punto di rimanere uccisoquella donna quasi sconosciuta gli si levava unicaintatta su le cime dello spiritonella divina idealità della morte. TibiHippolytasemper! - Dunque -raccontava Giulio Musèllaro - ella è venuta oggiverso le due. Raccontavala resa di Giulia Mocetocon un certo entusiasmocon molte particolaritàintorno la rara e segreta bellezza della Pandora infeconda. -Hai ragione. E' una coppa d'avoriouno scudo raggiantespeculum voluptatis...In Andrea una certa lieve puntura provataalcuni giorni a dietronella notte di lunadopo il teatroquando l'amico erasalito solo al palazzetto Borghesefacevasi ora di nuovo sentire; mutavasi inun rincrescimento non bene definito ma in fondo a cui si movevano forseconfusecon le memoriela gelosial'invidia e quella suprema intolleranza egoistica etirannica ch'era nella sua natura e che lo spingeva talvolta a desiderare quasila distruzione d'una donna già preferita e godutaaffinché ella non fossepiù goduta da altri. Nessuno doveva bevere al bicchiere dove aveva egli bevutouna volta. Il ricordo del suo passaggio doveva bastare a riempire una interavita. Le amanti dovevano rimaner fedeli in eterno alla sua infedeltà. Questoera il suo sogno orgoglioso. E poi gli spiaceva la publicazionela divulgazioned'un segreto di bellezza. Certos'egli avesse posseduto il Discobolo di Mironeo il Doriforo di Policleto o la Venere cnidiala sua prima cura sarebbe statadi chiudere il capolavo ro in un luogo inaccessibile e di goderne da soloperché il godimento altrui non diminuisse il suo proprio. E allora perché eglimedesimo aveva concorso a publicare il segreto? Perché egli medesimo avevastimolato la curiosità dell'amico? Perché egli medesimo gli aveva fatto unaugurio? La facilità stessa con cui quella donna s'era data gli metteva ira edisgustoe anche un poco lo umiliava. -Ma dove andiamo? - chiese Giulio Musèllarofermandosi nella piazza di Venezia.In fondo ai varii moti dell'animo e ai variipensieri Andrea manteneva l'agitazione in lui suscitata dall'incontro con DonManuel Ferresil pensiero di Donna Mariaun'imagine balenante. E appuntoinmezzo a quei contrasti momentaneiuna sorta di ansietà lo traeva verso la casadi lei. - Io torno a casa - rispose. -Passiamo per la via Nazionale. Accompagnami. Daallora egli non ascoltò più le parole dell'amico. Il pensiero di Donna Marialo dominò tutto. Giunto d'innanzi al Teatro ebbe un momento d'esitazionenonsapendo se scegliere il marciapiede di destra o quel di sinistra. Egli volevascoprire la casa leggendo i numeri delle porte. -Ma che hai? - gli chiese il Musèllaro. -Nulla. T'ascolto. Guardò un numero ecalcolò che la casa doveva essere a mancanon molto lontanaforse invicinanza della Villa Aldobrandini. I grandi pini della villa apparvero leggerinel cielo stellatopoiché la notte era gelida ma serena; la Torre delleMilizie levava la sua mole quadratacupa fra le stelle; le palmeche cresconosu le mura di Servioal chiaror de' fanali dormivano immobili. Pochinumeri mancavano a raggiunger quello segnato sul biglietto di Don Manuel. Andreatrepidava come se Donna Maria fosse per venirgli incontro. La casa erainfattivicina. Egli passò rasente il portone chiuso; non poté tenersi dal guardare insu. - Ma che guardi? - gli chiese ilMusèllaro. - Nulla. Dammi unasigaretta. Affrettiamo il passoché fa freddo. Percorserola via Nazionale fino alle Quattro Fontanein silenzio. La preoccupazione diAndrea era manifesta. L'amico gli disse: -Tu certo hai qualche cosa che ti tormenta. EAndrea si sentiva il cuore così gonfio che fu sul punto di abbandonarsi allaconfidenza. Ma si trattenne. Egli era ancóra sotto l'impressione dellemalignità udite al Circolodel racconto di Giuliodi tutta quella indiscretaleggerezza da lui stesso provocatada lui stesso professata. L'assenza completadi mistero nell'avventurala compiacenza vanitosa degli amanti nell'accoglierei motti e i sorrisi altruila cinica indifferenza con cui gli amanti d'un tempolodano le qualità della donna a coloro che già sono su la via di goderleel'affettazione con cui quelli dànno a questi i consigli per giunger meglio alloscopoe la premura con cui questi dànno a quelli i più minuti ragguagli su unprimo convegno per sapere se la maniera tenuta ora dalla dama nelconcedersi si riconfronti con quella tenuta altre voltee le cessionie leconcessionie le successionie insomma tutte le piccole e grandi viltà cheaccompagnano i dolci adulterii mondanigli parvero ridur l'amore una mescolanzainsipida e immondauna volgarità ignobileuna prostituzion senza nome. Lememorie di Schifanoja gli attraversavano l'animacome profumi cordiali. Lafigura di Donna Maria gli splendeva dentro con tal vivezza ch'egli n'era quasiattonito; e un'attitudine egli vedeva sopra le altre distintasopra le altreluminosa: l'attitudine di lei quando nel bosco di Vicomìle aveva pronunziata laparola ardente. Avrebbe egli riudita quella parola da quella bocca? Che avevafatto ellache aveva pensatocome aveva vissuto nel tempo della lontananza?L'agitazione interiore gli cresceva ad ogni passo. Come fantasmagorie mobili efuggevoli gli passavano nello spirito frammenti di visioni: un lembo dipaesaggioun lembo di mareuna scala tra i rosail'interno d'una stanzatutti i luoghi ov'era nato un sentimentoov'erasi effusa una dolcezzaov'ellaaveva sparso il fascino della sua persona. Ed egli provava un tremore intimo eprofondo a pensare che forse nel cuor di lei ancóra viveva la passionecheforse ella aveva sofferto e pianto e forse anche sognato e sperato. Chi sa!- Ebbene? - disse Giulio Musèllaro. - Comevanno le cose con Lady Heathfield? Scendevanogiù per la via delle Quattro Fontaneerano d'innanzi al palazzo Barberini. Atraverso i cancellitra i colossi di pietraappariva il giardino oscuroanimato da un mormorio fioco di acquedominato dall'edifizio biancheggiante oveil solo portico aveva ancóra un lume. -Che dici? - domandò Andrea. - Comevanno le cose con Donna Elena? Andreaguardò il palazzo. Gli sembròin quel momentodi sentirsi nel cuore unagrande indifferenzala morte vera del desideriola finale rinunzia; e trovòper rispondereuna frase qualunque. -Seguo il consiglio. Non riaccendo la sigaretta... -Eppurevediquesta volta forse varrebbe la pena. L'hai guardata bene? Mi parepiù bella; mi parenon soche abbia qualche cosa di nuovoinesprimibile...Forse dico male a dir nuovo. E' come divenuta più intensaconservandotutto il suo carattere di bellezza; è insommadirò cosìpiù Elenadell'Elena di due o tre anni fa: " essenzia quinta " . Saràforseeffetto della seconda primavera; perché credo ch'ella debba stare lì lì pertoccar la trentina. Non ti sembra? Andreasi sentì da queste parole pungeredi nuovo accendere. Nulla vale a ravvivare ead esasperare il desiderio d'un uomo quanto l'udire da altri lodar la donna dalui troppo a lungo possedutao troppo a lungo vagheggiata invano. Ci sono amoriin agonia che si protraggono ancóraper virtù dell'altrui invidiadell'altrui ammirazione; poiché l'amante disgustato o stanco teme di rinunziareal suo possesso o al suo assedio in favore della felicità di chi potrebbesuccedergli. - Non ti sembra? E poimenelaizzare quell'Heathfield dovrebbe essere un gaudio straordinario. -Credo anch'io - disse Andreasforzandosi di prendere il tono frivolodell'amico. Vedremo.

Libro terzo - 3

- Marialasciate a questo minuto la sua dolcezzalasciate ch'io esprimatutto il mio pensiero! Ella si levò.Disse pianosenza sdegnosenza severitàcon commozione palese nella voce:- Perdonatemi. Io non posso ascoltarvi. Mifate molto male. - Tacerò. RimaneteMaria; vi prego. Di nuovoellasedette. Era come al tempo di Schifanoja. Nulla superava la grazia dellafinissima testa che pareva esser travagliata dalla profonda massa de' capellicome da un divino castigo. Un'ombra morbidatenerasimile alla fusione di duetinte diafaned'un violetto e d'un azzurro idealile circondava gli occhi chevolgevan l'iride lionata degli angeli bruni. -Io non voleva - soggiunse Andreaumilmente - non voleva che ricordarvi le mieparole d'un tempoquelle che ascoltaste una mattina nel parcosul sedile dimarmosotto gli àlbatriin un'ora indimenticabile per me e quasi sacra nellamemoria... - Io le ricordo. -EbbeneMariada quel tempo la mia miseria è divenuta più tristapiùoscurapiù crudele. Io non saprò mai dirvi tutte le mie sofferenzetutte lemie abiezioni; non saprò mai dirvi quante volte la mia anima vi ha chiamatacredendo di morire; non saprò mai dirvi il brivido di felicitàlasollevazione di tutto il mio essere verso la speranzase per un momento ioosava pensare che il ricordo di me forse ancóra viveva nel vostro cuore.Egli parlava con l'accento medesimo di quellamattina lontana; pareva ripreso da quella medesima ebrezza sentimentale. Tuttele malinconie gli risalivano alle labbra. Ed ella ascoltavaa capo chinoimmobilequasi nell'attitudine di quella volta; e la sua boccal'espressiondella sua boccainvano serrata con violenzacome quella voltatradiva unasorta di dolorosa voluttà. - Viricordate di Vicomìle? Vi ricordate del boscoin quella sera d'ottobrequandotraversammo soli? Donna Maria accennòlievemente col capocome in atto d'assenso. -E della parola che mi diceste? - soggiunse il giovinepiù sommessoma connella voce un'espressione intensa di passion contenutapiegandosi verso di leimoltocome per giungere a guardarla negli occhi ch'ella teneva ancóra chini.Ella li alzòque' buoni pietosi dolentiocchisu lui. - Di tutto io miricordo- rispose - di tuttodi tutto. Perché dovrei nascondervi l'anima mia?Voi siete uno spirito nobile e grande; ed io ho fede nella vostra generosità.Perché dovrei condurmi verso di voi come una donna volgare? Quella seranon vidissi che vi amavo? Io intendo nella vostra domanda un'altra domanda. Voi michiedete se ancóra io vi ami. Ellaesitòun attimo. Le labbra le tremarono. -Vi amo. - Maria! -Ma voi dovete rinunziar per sempre al mio amorevoi dovete allontanarvi da me;dovete essere nobile e grandee generosorisparmiandomi una lotta che mi fapaura. Io ho molto soffertoAndreae saputo soffrire; ma il pensiero di dovercombattere contro di voidi dovermi difendere contro di voimi dà un terrorefolle. Voi non sapete a costo di quali sacrifizi ero giunta ad ottenere la calmadel cuore; non sapete a quali alti e carissimi ideali ho rinunziato... Poveriideali! Sono diventata un'altra donnaperché era necessario che io diventassiun'altra; sono diventata una donna comuneperché così chiedeva il dovere.Ella aveva nella voce una malinconia grave esoave. - Incontrandovisentii d'untratto risorgere in me i vecchi sognisentii rivivere l'anima antica; e ne'primi giorni mi abbandonai alla dolcezzachiudendo gli occhi sul pericololontano. Pensavo: " Egli non saprà nulla dalla mia bocca; io non saprònulla dalla sua. " Ero quasi senza rimorsosenza quasi paura. Ma voiparlaste; voi mi diceste parole che io non aveva udite mai; voi mi strappasteuna confessione... il pericolo m'apparvecertoapertomanifesto. E ancóram'abbandonai a un sogno. Le vostre angosce mi stringevanomi facevano una penaprofonda. Pensavo: " L'impuro l'ha macchiato; s'io bastassi a purificarlo!Sarei felice d'esser l'olocausto della sua rinnovazione. " La vostratristezza attirava la mia tristezza. Mi pareva che forse io non avrei saputoconsolarvi ma che forse avreste provato un sollievo sentendo un'anima rispondereeternamente amen alle volontà del vostro dolore. Ellaproferì queste ultime parole con tale elevazion spirituale in tutta la figurache Andrea fu invaso da un'onda di gaudio quasi mistico; e il suo unicodesiderioin quel momentoera di prenderle ambo le mani e d'esalarel'ineffabile ebrezza su quelle care delicate immacolate mani. -Non è possibile! Non è possibile! - ella seguitòscotendo la testa in attodi rammarico. - Noi dobbiamo rinunziar per sempre a qualunque speranza. La vitaè implacabile. Senza volerevoi distruggereste un'intera esistenza e forse nonuna sola... - MariaMarianon ditequeste cose! - interruppe il giovinepiegandosi ancóra verso di leiprendendole una manosenza impetoma con una specie di trepidazionesupplichevole come se prima di compier l'atto egli aspettasse un segno diconsenso. - Io farò quel che vorrete; io sarò umile e obediente; la mia unicaaspirazione è d'obedirvi; il mio unico desiderio è di morire nel vostro nome.Rinunziare a voi è rinunziare alla salvezzaricader per sempre nella rovinanon rialzarsi mai più. Io vi amo come nessuna parola umana potrà maiesprimere. Ho bisogno di voi. Voi soltanto siete vera; voi siete laVerità che il mio spirito cerca. Il resto è vano; il resto è nulla.Rinunziare a voi è come entrar nella morte. Ma se il sacrifizio di me vale aconservarvi la paceio vi debbo il sacrifizio. Non temeteMaria. Io non vifarò alcun male. Egli teneva la manodi lei nella suama senza premerla. La sua parola non aveva ardore ma erasommessascorataaccorantepiena d'una immensa prostrazione. E la pietàilludeva Maria così ch'ella non ritrasse la mano e s'abbandonò per qualcheminuto alla pura voluttà di quel contatto leggero. Era in lei una voluttàtanto sottile che quasi pareva non aver ripercussione organica; era come se unfluido essenziale le si partisse dall'intimo cuore e pel braccio le affluissealle dita e le si dilatasse oltre le dita con un'onda indefinitamente armoniosa.Quando Andrea tacquecerte parole proferite nel parconella mattinaindimenticabilele tornarono alla memoria rianimate dal suon recente della vocedi luimosse dalla nuova commozione: " La sola presenza vostra visibilebastava a darmi l'ebrezza. Io la sentiva fluire nelle mie venecome un sanguee invadere il mio spiritocome un sentimento sovrumano... " Successeun intervallo di silenzio. Si udiva di tratto in tratto il vento scuotere ivetri delle finestre. Giungeva col vento un clamore lontanomisto al rombodelle vetture. Entrava una luce fredda e limpida come un'acqua sorgiva; negliangoli si raccoglieva l'ombrae fra le tende composte di tessuti dell'EstremoOriente; luccicavano qua e là su i mobili le incrostazioni di giadadi avoriodi madreperla; un gran Buddha dorato appariva in fondosotto una musaparadisiaca. Quelle forme esotiche davano alla stanza un po' del loromistero. - Orache pensate? - chieseAndrea. - Non pensate alla mia fine? Ellapareva assorta in un pensier dubitoso. Erain vistairresoluta come seascoltasse due voci interiori. - Ionon so dirvi - ella risposepassandosi la mano su la fronte con un gesto lieve- non so dirvi che strano presentimento mi opprimada lungo tempo. Non so; maio temo. Ella soggiunsedopouna pausa: - Pensare che voi soffriteche voi siete malatopovero amicoe che io non potrò alleviarvi la penacheio vi mancherò nella vostra ora d'angosciache io non saprò se voi michiamerete... Mio Dio! Ella avevanella voce un tremito e una fievolezza quasi di piantocome se le si fossechiusa la gola. Andrea teneva il capo chinotacendo. -Pensare che la mia anima sempre vi seguiràsempree che non potrà mai maiconfondersi con la vostranon potrà mai da voi essere compresa... Poveroamore! Ella aveva la voce piena dilacrimela bocca atteggiata di dolore. -Non mi abbandonate! Non mi abbandonate! - proruppe il giovineprendendole ambole maniquasi inginocchiandosiin preda a una grande esaltazione. - Io non vichiederò nulla; non voglio da voi che la pietà. La pietà che mi venisse davoi mi sarebbe più cara della passione di qualunque altra: voi lo sapete. Levostre sole mani mi potranno guarire; mi potranno ricondurre alla vitasollevare dalla bassezzaridonare la fedeliberare da tutte le cattive coseche m'infettano e mi empiono d'orrore. Carecare mani... Eglisi chinò a baciarlevi tenne premuta la bocca. Socchiuse gli occhiin atto disomma dolcezzamentre diceva pianocon un accento indefinibile: -Vi sento tremare. Ella si levòtremantesmarritapiù pallida di quandonella mattina memorabilecamminavasotto i fiori. Il vento scoteva i vetri; giungeva un clamore come d'unamoltitudine ammutinata. Quelle grida nel ventoche venivano dal Quirinaleleaumentarono l'agitazione. - Addio. VipregoAndrea; non rimanete più quimi vedrete un'altra voltaquando vorrete.Ma oraaddio. Vi prego! - Dove vivedrò? - Al concertodomani. Addio.Ella era tutta sconvoltacome se avessecommessa una colpa. Lo accompagnò fino alla porta della stanza. Rimasta solaesitònon sapendo che fareancor tenuta dallo sbigottimento. Si sentivaardere le guance e le tempieintorno agli occhid'un ardore intensomentrepel resto del corpo rabbrividiva; su le mani l'impressione della bocca amatapersisteva come un suggelloed era un'impressione deliziosaed ella avrebbevoluto che fosse indelebile come un suggello divino. Guardòin giro. Nella stanza la luce diminuivale forme si perdevano nella mezz'ombrail gran Buddha raccoglieva nella sua doratura un chiaror singolare. Or sì or nogiungevano le grida. Ella andò verso una finestral'aprìsi sporse. Un ventogelido soffiava su la stradaove già verso la piazza di Termini cominciavanoad accendersi i fanali. Incontrogli alberi della Villa Aldobrandinisvettavanoappena tinti d'un riflesso rossastro. Su la Torre delle Miliziependeva una enorme nuvola paonazzasolitaria nel cielo. Lasera le parve lugubre. Ella si ritrasse; andò a sedersi nel luogo medesimo delcolloquio recente. - Perché Delfina non tornava ancóra? - Avrebbe volutoevitare ogni riflessioneogni meditazione; eppure non so che debolezza latratteneva in quel luogo ovepochi minuti innanziAndrea aveva respiratoaveva parlatoaveva esalato il suo amore e il suo dolore. Gli sforziipropositile contrizionile preghierele penitenze di quattro mesi sidisperdevanosi disfacevanodiventavano inutiliin un attimo. Ella ricadevasentendosi forse più stancapiù vintasenza volontà e senza potere contro ifenomeni morali che la sorprendevanocontro le sensazioni che la sconvolgevano;ementre s'abbandonava all'angoscia e al languore d'una conscienza in cui ognicoraggio veniva menole pareva che qualche cosa di lui fluttuassenell'ombra della stanza e le avvolgesse tutta la personad'una carezzainfinitamente soave. Eil giornodopoella salì al Palazzo dei Sabinicon il cuor palpitante sotto un mazzo diviolette. Andrea già era adattenderla su la porta della sala. Stringendole la manole disse: -Grazie. La condusse a una sediale simise accanto. Le disse: - Credevo dimorire aspettandovi. Temevo che non veniste. Come vi son grato! Ledisse: Ierseratardiio passai dallavostra Casa. Vidi un lume a una finestraalla terza finestra verso ilQuirinale. Non so che avrei dato per conoscere se voi eravate là... Anchele chiese: - Da chi avete avute quelleviolette? - Da Delfina - ella rispose.- Vi ha raccontato Delfina il nostro incontrodi stamani su la piazza di Spagna? -Sì; tutto. Il concerto incominciòcon un Quartetto del Mendelssohn. La sala era già quasi interamente occupata.L'uditorio componevasiin massima partedi dame straniere; ed era un uditoriobiondopieno di modestia negli abitipieno di raccoglimento nelle attitudinisilenzioso e religioso come in un luogo pio. L'onda della musica passava suteste immobilicoperte di cappelli scuridilatandosi in una luce aureain unaluce che fluiva dall'altotemperata dalle tendine gialleschiarita dallepareti bianche e nude. E la vecchia sala dei Filarmonicidisadornadove appenarimaneva su l'egual candore qualche traccia d'un fregio e dove le misereportiere azzurre stavan per cadereoffriva imagine d'un luogo che fosse rimastochiuso per un secolo e fosse stato riaperto proprio in quel giorno. Ma quelcolor di vecchiezzaquell'aria di povertàquella nudità delle paretiaggiungevano non so che strano sapore allo squisito diletto dell'udizione; e ildiletto pareva più segretopiù altopiù puro là dentroper ragion d'uncontrasto. Era il 2 di febbraioun mercoledì: in Montecitorioil Parlamentodisputava per il fatto di Dogali; le vie e le piazze prossime rigurgitavano dipopolo e di soldati. I ricordimusicali di Schifanoja sorsero nello spirito de' due amanti; un riflesso diquell'autunno illuminò i loro pensieri. Al suono del Minuettomendelssohniano si svolgeva la visione della villa maritimadella salaprofumata dai giardini sottopostidove negli intercolunnii del vestibolo silevavano le cime dei cipressisi scorgevano le vele di fiamma su un lembo dimare sereno. Di tratto in trattoAndreachinandosi un poco verso la senesele chiedeva piano: -Che pensate? Ella rispondeva con unsorriso così tenue ch'egli appena giungeva a coglierlo. -Vi ricordate del 23 settembre? - ella disse. Andreanon aveva ben distinto nella memoria quel ricordoma assentì col capo. L'Andantecalmo e solennedominato da un'alta melodia pateticadopo estesi sviluppiaveva uno scoppio di dolore. Il Finale insisteva in una certa monotoniaritmicapiena di stanchezza. Elladisse: - Ora viene il vostro Bach.E ambeduequando la musica ricominciòprovarono un bisogno istintivo di riavvicinarsi. I loro gomiti si sfioravano.Alla fine d'ogni tempoAndrea si chinava verso di lei per legger nel programmach'ella teneva spiegato fra le mani; enell'attole premeva il bracciosentiva l'odore delle violele comunicava un brivido di delizia. L'Adagioaveva una elevazion di canto così possentesaliva con tal volo alle sommitàdell'estasicon tal piena sicurezza allargavasi nell'Infinitoche parve lavoce d'una creatura sopraumana la quale effondesse nel ritmo il giubilo d'unasua conquista immortale. Tutti gli spiriti erano trascinati dall'ondairresistibile. Quando la musica cessòlo stesso fremito degli strumenti duròqualche minuto nell'uditorio. Un susurro corse da un capo all'altro della sala.L'applauso irruppedopo l'indugiopiù vivo. Idue si guardaronocon gli occhi alteraticome se si distaccassero dopo unamplesso d'insostenibile piacere. La musica continuava; la luce della saladiveniva più discreta; un tepor dilettoso addolciva l'aria; intiepiditeleviolette di Donna Maria esalavano un profumo più forte. Andrea aveva quasil'illusione d'essere solo con leipoiché non vedeva d'innanzi a sé personech'egli conoscesse. Ma s'ingannava. Inun intervallovolgendosivide Elena Muti diritta in fondo alla salaaccompagnata dalla principessa di Ferentino. Sùbitoil suo sguardo incontròquel di lei. Da lontanoegli salutò. Gli parve di scorgere su le labbra diElena un sorriso singolare. - Chisalutate? - chiese Donna Mariaanche volgendosi. - Chi sono quelle signore?- Lady Heathfield e la principessa diFerentino. Ella credé sentire nellavoce di lui un turbamento. - Qual èla Ferentino? - La bionda. -L'altra è molto bella. Andrea tacque.- Ma è una inglese? - ella soggiunse.- No; è una romana; è la vedova del duca diScernipassata a Lord Heathfield in seconde nozze. -E' molto bella. Andrea domandòconpremura. - Orache soneranno? -Il Quartetto del Brahmsin do minore. -Lo conoscete? - No. -Il secondo tempo è meraviglioso. Percelare la sua inquietudineegli parlava. -Quando vi vedròancóra? - Non so.- Domani? Ellatitubò. Pareva che le fosse discesa pel volto una lieve ombra. Rispose: -Domanise ci sarà soleverrò con Delfina su la piazza di Spagnaversomezzogiorno. - E se il sole mancasse?- Sabato seraandrò dalla contessaStarnina... La musica ricominciava. Ilprimo tempo esprimeva un lottar cupo e virilepieno di vigore. La Romanzaesprimeva un ricordarsi desioso ma assai tristee quindi un sollevarsi lentoincertodeboleverso un'alba assai lontana. Una chiara frase melodica sisvolgeva con profonde modulazioni. Era un sentimento assai diverso da quel cheanimava l'Adagio del Bach: era più umanopiù terrenopiù elegiaco.Passava in quella musica un soffio di Ludovico Beethoven. Andreafu invaso da una così terribile ansia che temé di tradirsi. Tutta la dolcezzadi prima gli si convertì in amarezza. Egli non aveva la conscienza esatta diquesto suo nuovo sofferire; non sapeva raccogliersi né dominarsi; ondeggiavaperduto fra la duplice attrazion feminile e il fascino della musicada nessunadelle tre forze penetrato; provavadentroun'impressione indefinibilecomed'un vuoto in cui risonassero di continuo grandi urti cone un'eco dolorosa; e ilsuo pensiero si spezzava in mille frammentisi sconnettevasi disfaceva; e ledue imagini feminili si sovrapponevanosi confondevanosi distruggevano avicendasenza ch'egli potesse giungere a separarlesenza ch'egli potessegiungere a definire il suo sentimento verso l'unail suo sentimento versol'altra. E a fior di questa torbida sofferenza interiore si moveval'inquietudine prodotta dalla immediata realitàdalle preoccupazionidiròcosìpratiche. Non gli sfuggiva un leggero cambiamento nell'attitudine diDonna Maria verso di lui; e credeva sentire lo sguardo di Elena assiduo e fisso;e non giungeva a trovare un modo di contenersinon sapeva se dovesseaccompagnar Donna Maria nell'uscir dalla sala o se dovesse avvicinarsi a Elenané sapeva se quel caso gli avrebbe giovato o nociuto presso l'una e l'altra.- Io vado - disse Donna Maria levandosidopola Romanza. - Non aspettate lafine? - No; debbo essere a casa per lecinque. - Ricordatevidomattina...Ella gli tese la mano. Forse pel caloredell'aria chiusauna lieve Fiamma le avvivava la pallidezza. Un mantello divellutod'un color cupo di piomboorlato d'una larga zona di chinchillale copriva tutta la persona: e tra la pelliccia cinerea le violette morivanosquisitamente. Nell'uscireella camminava con sovrana eleganzamentre qualcunadelle signore sedute volgevasi a guardarla. E per la prima volta Andrea vide inleinella donna spiritualenella pura madonna senesela dama di mondo.Il Quartetto entrava nel terzo tempo.Poiché la luce diurna diminuivafurono alzate le tendine giallecome in unachiesa. Altre signore abbandonarono la sala. Sorgeva qua e là qualchebisbiglio. Cominciavano nell'uditorio la stanchezza e la disattenzioneche sonproprie della fine d'ogni concerto. Per uno di que' singolari fenomenid'elasticità e di volubilità repentiniAndrea provò un senso di sollievoquasi gaio. Egli perse ogni preoccupazion sentimentale e passionaled'untratto; e l'avventura di piacere apparve sola alla sua vanitàalla suaviziositàlucidamente. Egli pensò che Donna Mariaconcedendogli queiconvegni innocuigià aveva messo il piede su la dolce china in fondo a cui èil peccato inevitabile anche per le anime più vigili; pensò che forse un po'di gelosia avrebbe potuto spingere Elena a ricadergli nelle bracciae chequindi forse l'una avventura avrebbe aiutata l'altra; pensò che forse appuntoun vago timoreun presentimento geloso avevano affrettato l'assenso di DonnaMaria al prossimo convegno. Egli era dunque su la via di una duplice conquista;e sorrise notando che in ambedue le imprese la difficoltà si presentava sottoun medesimo aspetto. Egli doveva convertire in amanti due sorellecioè due chevolevano presso di lui far profession di sorelle. Altre simiglianze fra i duecasi egli notòsorridendo. - Quella voce! Com'erano strani nella voce di DonnaMaria gli accenti d'Elena! - Gli balenò un pensiero folle. - Quella voce potevaesser per lui l'elemento d'un'opera d'imaginazione: in virtù d'una taleaffinità egli poteva fondere le due bellezze per possederne una terzaimaginariapiù complessapiù perfettapiù vera perché ideale... Ilterzo tempoeseguito con impeccabile stilefiniva tra gli applausi.Andrea si levò; si avvicinò a Elena. -OhUgentadove siete stato fino ad ora? - gli disse la principessa diFerentino. - Au pays du Tendre? -E quell'incognita? - gli disse Elenacon un'aria leggeraodorando un mazzo diviole tirato fuori dal manicotto di martora. -E' una grande amica di mia cugina: Donna Maria Ferres y Capdevilamoglie delnuovo ministro di Guatemala - rispose Andreasenza turbarsi. - Una bellacreaturaassai fine. Era da Francescaa Schifanojain settembre. -E Francesca? - interruppe Elena. - Non sapete quando tornerà? -Ho notizie sueda San Remorecenti. Ferdinando migliora. Ma temo ch'elladovrà trattenersi là qualche altro meseforse più. -Che peccato! Il Quartetto entravanell'ultimo tempomolto breve. Elena e la Ferentino avevano occupato duesediein fondolungo la paretesotto il pallido specchio dove si riflettevala sala malinconica. Elena ascoltavacon la testa chinafacendo scorrere trale sue mani le estremità d'un lucido boa di martora. -Accompagnateci - ella dissequando il concerto fu finitoallo Sperelli.Montando in carrozzadopo la Ferentinoelladisse: - Montate anche voi. LasciamoEva al palazzo Fiano. Vi poso poi dove volete. -Grazie. Lo Sperelli accettò. Uscendonel Corsola carrozza fu costretta a procedere con lentezza perché tutta lavia era ingombra di gente in tumulto. Dalla piazza di Montecitoriodalla piazzaColonna venivano clamori e si propagavano come uno strepito di fluttiaumentavanocadevanorisorgevanomisti agli squilli delle trombe militari. Lasedizione ingrossavanella sera cinerea e fredda; l'orrore della strage lontanafaceva urlare la plebe; uomini in corsaagitando gran fasci di foglifendevanola calca; emergeva distinto su i clamori il nome d'Africa. -Per quattrocento brutimorti brutalmente! mormorò Andrearitirandosi dopoaver osservato allo sportello. - Mache dite? - esclamò la Ferentino. Sul'angolo del palazzo Chigi il tumulto sembrava una zuffa. La carrozza fucostretta a fermarsi. Elena si chinò per guardare; e il suo volto fuordell'ombra illuminandosi al riflesso del fanale e alla luce del crepuscoloapparve d'una bianchezza quasi funerariad'una bianchezza gelida e un po'lividache risvegliò in Andrea il ricordo vago d'una testa veduta - non sapevapiù quandonon sapeva più dove - in una galleriain una cappella. -Eccoci - disse la principessapoiché la carrozza era giunta finalmente alpalazzo Fiano. - Addio dunque. Ci ritroveremo stasera dall'Angelieri. AddioUgenta. Venite domani a colazione da me? Troverete anche Elenae la Viti e miocugino. - L'ora? -Mezz'ora dopo mezzogiorno. - Va bene.Grazie. La principessa discese. Ilservo aspettava un ordine. - Dovevolete ch'io vi porti? - domandò Elena allo Sperelli che le si era già sedutoaccantonel posto dell'amica. - Farfar away... - Su viadite: a casavostra? E senza aspettare altrarispostaella ordinò: - Trinità de'Montipalazzo Zuccari. Il servorichiuse lo sportello. La carrozza si mosse al trottovoltò per la viaFrattinalasciando dietro di sé la follale gridai romori. -OhElenadopo tanto... - proruppe Andreachinandosi a guardare la desideratache s'era raccolta nell'ombrain fondocome schiva d'un contatto. Ilchiaror d'una vetrinaal passaggiotraversò l'ombra; ed egli vide che Elenasorridevabiancad'un sorriso attirante. Semprecosì sorridendoella si tolse dal collo con un gesto agile il lungo boa dimartora e lo gittò intorno al collo di luiin guisa d'un laccio. Parevafacesse per gioco. Ma con quel morbido laccioprofumato del profumo medesimoche Andrea aveva sentito nella volpe azzurraella attirò il giovine; gliofferse le labbrasenza parlare. Ambeduele bocche si ricordarono delle antiche mescolanzedi quelle congiunzioniterribili e soavi che duravano fino all'ambascia e davano al cuore la sensazioneillusoria come d'un frutto molle e roscido che vi si sciogliesse. Per prolungareil sorsocontenevano il respiro. La carrozza dalla via dei Due Macelli sali perla via del Tritonevoltò nella via Sistinasi fermò al palazzo Zuccari.RapidamenteElena respinse il giovine. Glidissecon la voce un po' velata: -Discendi. Addio. - Quando verrai?- Chi sa! Ilservo aprì lo sportello. Andrea discese. La carrozza voltò di nuovoperriprendere la via Sistina. Andreatutto ancor vibrantecon gli occhi ancorfluttuanti in una nebbia torbidaguardava se apparisse dietro il vetro il voltodi Elena; ma non vide nulla. La carrozza si allontanò. Risalendole scaleegli pensava: - Alfineella si converte! Gli rimaneva nel capo quasiun vapore d'ebrezzagli rimaneva nella bocca il gusto del baciogli rimanevanella pupilla il balen del sorriso con cui Elena gli aveva gittato al colloquella specie di serpe rilucente e aulente. - E Donna Maria? - Eglicertodoveva alla senese l'inaspettata voluttà. Senz'alcun dubbioin fondo all'attostrano e fantastico di Elena era un principio di gelosia. Temendo forse ch'eglile sfuggisseella aveva voluto legarloadescarloaccendergli di nuovo lasete. - Mi ama? Non mi ama? - E che importava a lui saperlo? Che gli giovava?Omai l'incanto era rotto. Nessun prodigio mai avrebbe potuto risuscitare sol unaminima parte della felicità morta. Conveniva a lui occuparsi della carne cheera ancóra divina. Si compiacque alungo nel considerar l'avventura. Si compiacquein ispeciedella manieraelegante e singolare con cui Elena aveva dato sapore al capriccio. E l'imaginedel boa suscitò l'imagine della treccia di Donna Mariasuscitò in confusotutti gli amorosi sogni da lui sognati intorno a quella vasta capellaturavergine che un tempo faceva languir d'amore le educande nel monasterofiorentino. Di nuovoegli mescolò i due desiderii; vagheggiò la duplicitàdel godimento; travide la terza Amante ideale. Entravain una disposizion di spirito riflessiva. Vestendosi per il pranzoripensava: -Ieriuna grande scena di passionequasi con lacrime; oggi una piccola scenamuta di sensualità. E a me pareva ieri d'essere sincero nel sentimentocome ioera dianzi sincero nella sensazione. Inoltreoggi stessoun'ora prima delbacio d'Elenaio avevo avuto un alto momento lirico accanto a Donna Maria. Ditutto questo non riman traccia. Domanicertoricomincerò. Io sonocamaleonticochimericoincoerenteinconsistente. Qualunque mio sforzo versol'unità riuscirà sempre vano. Bisogna omai ch'io mi rassegni. La mia legge èin una parola: NUNC. Sia fatta la volontà della legge. Risedi sé medesimo. E da quell'ora ebbe principio la nuova fase della sua miseriamorale. Senza alcun riguardosenzaalcun ritegnosenza alcun rimorsoegli si diede tutto a porre in opera le sueimaginazioni malsane. Per trarre Maria Ferres a cedergliusò i più sottiliartifiziii più delicati intrichiilludendola appunto nelle cose dell'animanella spiritualitànell'idealitànell'intima vita del cuore. Per proseguirecon egual prestezza nell'acquisto della nuova amante e nel riacquistodell'anticaper profittar d'ogni circostanza nell'una e nell'altra impresaegli andò incontro a una quantità di contrattempid'impaccidi bizzarricasi; e ricorseper uscirnea una quantità di menzognedi trovatidiripieghi meschinidi sotterfugi degradantidi bassi raggiri. La bontàlafedeil candore di Donna Maria non lo soggiogavano. Egli aveva messo afondamento della sua seduzione il versetto d'un salmo: " Asperges mehyssopo et mundabor: lavabis meet super nivem dealbabor. " La poveracreatura credeva di salvare un'animadi redimere un'intelligenzadi purificareco n la sua purità un uomo macchiato; credeva ancor profondamente alle paroleindimenticabili udite nel parcoin quella Epifania dell'Amoreal conspetto delmaresotto gli alberi floridi. E questa fede appunto la ristorava e lasollevava in mezzo alle lotte cristiane che di continuo si combattevano nellasua conscienzala liberava dal sospettola inebriava d'una specie dimisticismo voluttuoso in cui ella effondeva tesori di tenerezzatutta l'ondaraccolta de' suoi languoriil fior più dolce della sua vita. Perla prima voltaforseAndrea Sperelli si trovava innanzi a una verapassione; per la prima volta si trovava innanzi a uno di quei grandi sentimentifeminilirarissimiche illuminano d'un bello e terribile baleno il ciel grigioe mutevole degli amori umani. Egli non se ne curò. Divenne lo spietatocarnefice di sé stesso e della povera creatura. Ognigiorno un ingannouna viltà. Ilgiovedìil 3 febbraiosu la piazza di Spagnasecondo la parola corsa alconcertoegli la incontrò davanti alla mostra d'un orafo antiquarioconDelfina. Appena udì il saluto di luiella si volse; e una fiamma le tinse ilpallore. Guardarono insieme i gioielli del Settecentole fibbie e i diademi di strasgli spilli e gli orologi di smaltole tabacchiere d'orod'avorioditartarugatutte quelle minuterie d'un secolo mortoche in quella chiara lucemattinale formavano una ricchezza armoniosa. D'intornoi fiorai andavanoofferendo in canestri le giunchiglie gialle e bianchele violette doppielunghi rami di mandorlo. Un fiato di primavera passava nell'aria. La colonnadella Concezione saliva agile al solecome uno stelocon la Rosa mysticain sommo; la Barcaccia era carica di diamanti; la scala della Trinità slargavain letizia i suoi bracci verso la chiesa di Carlo VIII erta con le due torri inun azzurro annobilito da' nuvoliin un cielo antico del Piranesi. -Che meraviglia!- esclamò Donna Maria. - Avete ragione d'esser tanto innamoratodi Roma. - Ohvoi non la conosceteancóra! - le disse Andrea. - Io vorrei essere il vostro duca... Ellasorrise. - ... compiere presso di voiin questa primaveraun vergiliato sentimentale. Ellasorridevacon in tutta la persona un'apparenza men tristemen grave. Il suoabbigliamento di mattina aveva un'eleganza sobria ma rivelava la finissimaricerca d'un gusto educato alle cose dell'artealle delicatezze del colore. Lasua giacca incrociata in forma di scialleera d'un panno grigio pendente unpoco nel verde; e una striscia di lontra ne ornava gli orli e su la lontracorreva un ricamo fatto d'un cordoncino di seta. E la giacca si apriva su unasottoveste anche di lontra. E come il taglio era d'eletto stile così l'accordode' due tonidi quell'indescrivibile grigio e di quel fulvo opulentoera unadelizia degli occhi. Ella domandò:- Dove foste ier sera? -Uscii dal concerto pochi minuti dopo di voi. Tornai a casa; restai làperchémi parve che il vostro spirito fosse presente. Pensai molto. Non sentisteil mio pensiero? - Nonon lo sentii.La mia sera fu cupanon so perché. Mi parve d'essere tanto sola! Passòla contessa di Lùcoli in un dog-cart guidando un roano. Passòa piediGiulia Moceto accompagnata da Giulio Musèllaro. Passò Donna Isotta Cellesi.Andrea salutava. Donna Maria gli chiedeva inomi delle signore: quello della Moceto non le fu nuovo. Si rammentò del giornoin cui venne pronunziato da Francescainnanzi all'arcangelo Michele delPeruginoquando Andrea sfogliava i suoi disegni nella stanza di Schifanoja; eseguì con lo sguardo l'antica amante dell'amato. Un'inquietudine la strinse.Tutto ciò che legava Andrea alla vita anteriore le dava ombra. Ella avrebbevoluto che quella vitaa lei ignotanon fosse mai stata; avrebbe volutointeramente cancellarla dalla memoria di chi vi s'era immerso con tanta aviditàe n'era emerso con tanta stanchezzacon tanta perditacon tanti mali. "Vivere unicamente in voi e per voisenza domanisenza ierisenza alcun altrolegamesenza alcuna altra preferenzafuor del mondo... " Erano le paroledi lui. Oh sogno! E stringeva Andreauna diversa inquietudine. S'avvicinava l'ora della colazione offerta dallaprincipessa di Ferentino. - Per dovesiete diretta? - domandò. - Io eDelfina abbiamo preso tè e sandwiches dal Nazzarricon l'intenzione digodere il sole. Saliremo al Pincio e visiteremo forse la Villa Medici. Se voletefarci compagnia... Egli ondeggiòdentropenosamente. - Il PincioVilla Mediciin un pomeriggio di febbraiocon lei! - Ma non poteva mancare all'invito; e lo tormentava anche la curiositàd'incontrare Elena dopo la scena della serapoichésebbene egli fosse andatoin casa Angelieriella non vi era apparsa. Dissecon un'aria desolata: -Che sfortuna! Devo trovarmi a una colazionefra un quarto d'ora. Accettail'invitola settimana scorsa. Ma se avessi saputoavrei potuto liberarmi daqualunque impegno. Che sfortuna! -Andate; non perdete tempo. Vi fareste aspettare.... Egliguardò l'oriolo. - Posso ancóraaccompagnarvi per un tratto. - Mamma- pregò Delfina - andiamo su per la scala. Andai suiericon Miss Dorothy. Setu vedessi! Come erano in vicinanzadel Babuinovoltarono per attraversare la piazza. Un fanciullo li seguivapertinace nell'offrire un gran ramo di mandorlo che Andrea comprò e donò aDelfina. Dagli alberghi uscivano signore bionde con in mano il libro rosso delBaedeker; le pesanti vetture a due cavalli s'incrociavanocon un luccichiometallico nei guarnimenti di vecchia foggia; i fiorai sollevavano verso lestraniere i canestri colmivociferandoa gara. -Promettetemi - disse Andrea a Donna Mariaponendo il piede sul primo gradino -promettetemi che non entrerete nella Villa Medici senza di me. Oggirinunziate;vi prego. Ella pareva occupata da unpensiero triste. Disse: - Rinunzierò.- Grazie. Lascala d'innanzi a loro levavasi in trionfoemanando dalla pietra riscaldata untepore mitissimo; e la pietra aveva un colore d'antica argenteriasimile a queldelle fontane di Schifanoja. E Delfina precedeva correndocol ramo fioritomentre nel vento della corsa qualche fragile foglia rosea s'involava come unafarfalla. Un acuto rammarico punse ilcuore del giovine. Gli apparvero tutte le dolcezze d'una passeggiatasentimentale pei sentieri medìceisotto i bossoli mutiin quella prima oradel pomeriggio. - Da chi andate? - glidomandò Donna Mariadopo un intervallo di silenzio. -Dalla vecchia principessa Alberoni - rispose Andrea. - Tavola cattolica. Mentìanche una voltapoiché un istinto l'avvertiva che forse il nome dellaFerentino avrebbe suscitato in Donna Maria qualche sospetto. -Dunqueaddio - ella soggiunseporgendogli la mano. -No; vengo fin su la piazza. Ho il mio legno che m'attende là. Guardate: quellaè la mia casa. E le indicò ilpalazzo Zuccariil buen retiroinondato dal soleche dava imagined'una strana serra diventata opaca e bruna pel tempo. -Ora che la conoscetenon verrete qualche volta... in ispirito? -In ispiritosempre. - Prima di sabatosera non vi rivedrò? - Difficilmente.Si salutarono. Ellacon Delfinasi mise pelviale arborato. Egli montò nel suo legno e s'allontanò per la via Gregoriana.Giunse dalla Ferentino con qualche minuto diritardo. Si scusò. Elena era là col marito. Lacolazione fu servita in un'allegra sala tappezzata d'arazzi della fabbricabarberina rappresentanti Bambocciate su lo stile di Pietro Loar. Fra quel belSeicento grottesco incominciò a scintillare e a scoppiettare un fuoco dimaldicenza meraviglioso. Tutt'e tre le dame avevano lo spirito gaio e pronto.Barbarella Viti rideva del suo forte riso maschilearrovesciando un po'indietro la bella testa efebica; e i suoi occhi neri s'incontravano e simescevano troppe volte con i verdi occhi della principessa. Elena motteggiavacon una straordinaria vivacità; e sembrava ad Andrea così discostacosìestraneacosì incurante ch'egli quasi dubitò - Ma iersera fu un sogno? -Ludovico Barbarisi e il principe di Ferentino secondavano le dame. Il marchesedi Mount Edgcumbe si prendeva cura d'annoiare il suo giovine amicochiedendogli notizie intorno le prossime vendite e parlandogli d'una rarissimaedizione del romanzo d'Apulejo Metamorphoseon da lui acquistata pochigiorni innanziper mille cinquecento venti lire: - ROMA1469in folio.- Di tratto in tratto egli s'interrompeva per seguire un gesto di Barbarella; epassava ne' suoi occhi lo sguardo del maniaco e nelle sue mani odiose un tremitosingolare. L'irritazioneil fastidiol'insofferenza in Andrea arrivarono a tal punto ch'egli non riusciva più adissimularli. - Ugentasiete dimalumore? - gli chiese la Ferentino. -Un poco. E' malato Miching Mallecho. Eallora il Barbarisi lo annoiò con molte domande su la malattia del cavallo. Epoi il Mount Edgcumbe ricominciò col Metamorphoseon. E la Ferentinoridendo: - SaiLudovicoierialconcerto del Quintettolo sorprendemmo in flirtation con una Incognita.- Già - fece Elena. -Una Incognita?- esclamò Ludovico. -Sì; ma forse tu ci potrai dare informazioni. E' la moglie del nuovo ministro diGuatemala. - Ahho capito. -Dunque? - Ioper oranon conosco cheil ministro. Lo vedo giocare al Circolo tutte le notti. -DiteUgenta: è già stata ricevuta dalla Regina? -Non soprincipessa - rispose Andreacon un po' d'impazienza nella voce.Quel cicaleccio gli diveniva insopportabile;e la gaiezza di Elena gli dava una orribile torturae la vicinanza del maritolo disgustava come non mai. Più che contro questiegli aveva ira contro sémedesimo. In fondo alla sua irritazionemovevasi un senso di rimpianto verso lafelicità dianzi ricusata. Il suo cuoredeluso e offeso dall'attitudine crudeledi Elenasi rivolgeva all'altra con un acuto pentimento; ed egli la vedevapensosain un viale solitariobella e nobile come non mai. Laprincipessa si levòtutti si levaronoper passare nel salone attiguo.Barbarella corse ad aprire il pianoforte che spariva sotto una vasta sciablaccadi velluto rosso trapunta d'un oro opaco; e si mise a cantarellare la Tarentelledi Giorgio Bizet dedicata a Cristina Nilsson. Elena ed Eva si chinavano su dilei per leggere la pagina della musica. Ludovico stava in piedidietro a lorofumando una sigaretta. Il principe era scomparso. MaLord Heathfield non lasciava Andrea. L'aveva tratto nel vano d'una finestra egli parlava di certe coppette amatorie urbaniesi da lui acquistate nellavendita del cavalier Dàvila; e quella voce stridulacon quella stucchevoleintonazione interrogativae que' gesti che indicavano le dimensioni dellecoppettee quello sguardo ora morto ora tagliente sotto la enorme fronteconvessae tutte insomma quelle sembianze esose erano per Andrea un suppliziocosì fiero ch'egli stringeva i denti convulso come un uomo sotto i ferri d'unchirurgo. Un solo desiderio l'occupavaomai: quel d'andarsene. Egli pensava di correre al Pinciosperava di ritrovarela Donna Mariadi condurla nella Villa Medici. Potevan esser le due. Eglivedeva dalla finestra il cornicione della casa incontro splendido di sole nelcielo azzurro. Volgendosivedeva al pianoforte il gruppo delle dame nelbagliore vermiglio che un fascio di raggi suscitava dalla sciablacca. Albagliore mescevasi il fumo leggero della sigaretta; e le ciarle e le risa simescevano a qualche accordo che le dita di Barbarella cercavano a caso su itasti. Ludovico parlò piano nell'orecchio di sua cugina; e la cugina comunicòforse la cosa alle amichepoiché di nuovo fu uno scroscio chiaro e brillantecome d'una collana disfilata su una guantiera d'argento. E Barbarella riprese l'Allegrettodel Bizetsotto voce. - Tra lala... Le papillon s'est envolé... Tra la la... Andreaaspettava di cogliere il momento opportuno per interrompere il discorso delMount Edgcumbe e per quindi prender congedo. Ma il collezionista metteva fuoriun seguito di periodi legati l'uno con l'altrosenza intervallisenza pause.Una pausa avrebbe salvato il martiree non veniva ancóra; e l'ansieta crescevaad ogni attimo. - Oui! Le papillons'est envolé... Oui!... Ah! ah! ah! ah! ah!... Andreaguardò l'oriolo. - Sono già le due!Perdonatemimarchese. Bisogna ch'io vada. Eaccostandosi al gruppo: - Perdonatemiprincipessa. Alle due ho un consulto in scuderia coi veterinarii. Salutòin gran fretta. Elena gli diede a stringere la punta delle dita. Barbarella glidiede un fondantdicendogli: -Portatelo al povero Miching da parte mia. Ludovicovoleva accompagnarlo. - No; resta.S'inchinò e uscì. Fece le scale in unbaleno. Saltò nel suo legnogridando al cocchiere: -Di corsaal Pincio! Egli era invasoda un desiderio folle di ritrovare Maria Ferresdi ricuperare la felicità acui dianzi aveva rinunziato. Il trotto fitto de' suoi cavalli non gli sembrava abastanza veloce. Guardava ansiosoper veder finalmente apparire la Trinità de'Montilo stradone arboratoi cancelli. Lacarrozza oltrepassò i cancelli. Egli ordinò al cocchiere di moderare il trottoe di girare per tutti i viali. Il cuore gli dava un balzo ogni volta che dilungitra gli alberiappariva una figura di donna; ma invano. Su la spianataegli discese; prese i piccoli viali chiusi alle vettureesplorando ogni angolo:invano. Le persone dai sedili lo seguivano con gli occhiper curiositàpoiché la sua inquietudine era manifesta. Essendola Villa Borghese apertail Pincio riposava tranquillo sotto quel sorrisolanguido di febbraio. Rare carrozze e rari pedoni interrompevano la pace delmonte. Gli alberi ancor nudibiancastritaluni un po' violettiergevano lebraccia in un cielo delicatosparso di ragnateli finissimi che il ventostrappava e distruggeva col suo soffio. I pinii cipressile altre piantesempre verdi assumevano un po' del comun palloresfumavanosi scolorivanosifondevano nel comune accordo. La varietà de' tronchiil frastaglio de' ramirendevano più solenne l'uniformita delle erme. Nonfluttuava forse ancóra in quell'aria qualche cosa della tristezza di DonnaMaria? Appoggiato al cancello della Villa MediciAndrea rimase per alcuniminuti come oppresso da un peso enorme. Ela vicenda continuòne' giorni vegnenticon le medesime torturecon torturepeggioricon più crudeli menzogne. Per un fenomeno non raro nell'abiezionmorale degli uomini d'intellettoegli aveva ora una terribile lucidità diconscienzauna lucidità continuasenza più oscurazionisenza più eclissi.Egli sapeva quel che facevae giudicava poi quel che aveva fatto. E in lui ildisprezzo di sé stesso era pari all'ignavia della volontà. Male sue ineguaglianze appunto e le sue incertezze e i suoi strani silenzii e lesue strane effusioni e tutte insomma le singolarità di espressioneche portavaun tale stato d'animoaccrescevanoincitavano la passionata misericordia diDonna Maria. Ella lo vedeva soffrire e ne provava dolore e tenerezza; e pensava:- A poco a pocoio lo guarirò. - E a poco a pocosenza accorgerseneellaandava perdendo la forza e piegando verso il desiderio dell'infermo. Ellapiegava dolcemente. Nel salone dellacontessa Starninaebbe un indefinibile brivido quando sentì su le sue spalle esu le sue braccia scoperte lo sguardo di Andrea. Per la prima volta Andrea lavedeva in abito da sera. Egli di lei conosceva soltanto il volto e le mani: orale spalle gli parvero di squisita forma ed anche le bracciasebbene forse unpo' magre. Era ella vestita d'unbroccato color d'avoriomisto di zibellino. Una sottile striscia di zibellinocorreva intorno la scollaturadando alla carne una indescrivibile finezza; e lalinea delle spalle dall'appiccatura del collo agli omeri cadeva giù alquantoaveva quella cadente grazia che è un segno d'aristocrazia fisica divenuto omairarissimo. Su i capelli copiosidisposti in quella foggia che predilesse pe'suoi busti il Verrocchionon splendeva né una gemma né un fiore. Indue o tre momenti opportuniAndrea le mormorò parole d'ammirazione e dipassione. - E' la prima volta che noici vediamo " nel mondo " - le disse. - Mi date un guantoper memoria?- No. -PerchéMaria? - Nono; tacete.- Oh le vostre mani! Vi ricordate quandoaSchifanojale disegnai? Mi pare che mi appartengano di diritto; mi pare che voidobbiate concedermene il possessoe chedi tutto il vostro corposieno lecose più intimamente animate dall'anima vostrale più spiritualizzatequasidirei le più pure... Mani di bontàmani di perdono... Come sarei felice dipossedere almeno un guanto: una larvauna parvenza della loro formaunaspoglia profumata dal loro profumo!... Mi date un guantoprima d'andarvene?Ella non rispose più. Il colloquio fuinterrotto. Dopo qualche tempopregataella sedé al pianoforte; si tolse iguantili posò sul leggìo. Le sue ditafuor di quelle sottili guaineapparvero bianchissimelunghetteinanellate. Brillava di vivi fuochi sul'anulare sinistro un grande opale. Sonòle due Sonate-Fantasie del Beethoven (op. 27). L'unadedicata aGiulietta Guicciardiesprimeva una rinunzia senza speranzanarrava ilrisveglio dopo un sogno troppo a lungo sognato. L'altra fin dalle prime battutedell'Andantein un ritmo soave e pianoaccennava a un riposo dopo latempesta; quindipassando per le irrequietudini del secondo tempoallargavasi in un Adagio di luminosa serenità e finiva con un Allegrovivace in cui era una sollevazion di coraggio e quasi un ardore. Andreasentì chein mezzo a quell'uditorio intentoella sonava sol per lui. Ditratto in trattoi suoi occhi dalle dita della sonatrice andavano ai lunghiguanti che pendevano di sul leggìo conservando l'impronta di quelle ditaconservando una inesprimibile grazia nella piccola apertura del polso ove dianziappariva appena appena un po' della cute feminile. DonnaMaria si levòcircondata d'elogi. Non riprese i guanti; s'allontanò. Invaseallora Andrea la tentazion d'involarli. - Li aveva ella forse lasciati là perlui? i Ma egli ne voleva uno solo. Come diceva finamente un fino amatoreun pardi guanti è tutt'altro che un guanto solo. Condottadi nuovo al pianoforte dall'insistenza della contessa StarninaDonna Mariatolse dal leggìo i guanti e li posò all'estremità della tastieranell'ombradell'angolo. Quindi sonò la Gavotta di Luigi Rameaula Gavotta delledame giallel'indimenticabile danza antica del Tedio e dell'Amore. "Certe dame biondettenon più giovini... " Andreala guardava fisocon un po' di trepidazione. Quando ella si levòprese unguanto solo. Lasciò l'altro nell'ombrasu la tastieraper lui. Tregiorni dopoessendo Roma attonita sotto la neveAndrea trovò a casa questobiglietto: " Martedìore 2 pom. - Staseradalle undici a mezzanottemi aspetterete in una carrozzad'innanzi al palazzo Barberinifuori delcancello. Se a mezzanotte non sarò ancóra apparsapotrete andarvene. - Astranger. " Il biglietto aveva un tono romanzesco e misterioso. Inverità la marchesa di Mount Edgcumbe faceva troppo abuso di carrozzanell'esercizio dell'amore. Era forse per un ricordo del 25 marzo 1885? Volevaforse ella riprender l'avventura nel momento medesimo con cui l'avevainterrotta? E perché quello stranger? Andrea ne sorrise. Egli tornavaallora allora da una visita a Donna Mariada un'assai dolce visita; e il suospirito inchinava più verso la senese che verso l'altra. Gli indugiavannell'orecchio le vaghe e gentili parole che la senese aveva dette guardandoinsieme con lui a traverso i vetri cader la neve mite come il fior del pesco oil fior del melo in su gli alberi della Villa Aldobrandini già illusi da unpresentimento di stagion novella. Maprima d'uscir pel pranzodiede ordinimolto accurati a Stephen. Alle undiciegli era d'innanzi al palazzo; e l'ansia e l'impazienza lo divoravano. Labizzarria del casolo spettacolo della notte nivaleil misterol'incertezzagli accendevano l'imaginazionelo sollevavano dalla realità. Splendevasu Romain quella memorabile notte di febbraioun plenilunio favolosodi nonmai veduto lume. L'aria pareva impregnata come d'un latte immateriale; tutte lecose parevano esistere d'una esistenza di sognoparevano imagini impalpabilicome quelle d'una meteoraparevan esser visibili di lungi per un irradiamentochimerico delle loro forme. La neve copriva tutte le verghe dei cancellinascondeva il ferrocomponeva un'opera di ricamo più leggera e più graciled'una filigranache i colossi ammantati di bianco sostenevano come le quercisostengono le tele dei ragni. Il giardino fioriva a similitudine d'una selvaimmobile di gigli enormi e difformicongelato; era un orto posseduto da unaincantazione lunaticaun esanime paradiso di Selene. Mutasolenneprofondala casa dei Barberini occupava l'aria: tutti i rilievi grandeggiavanocandidissimi gittando un'ombra ceruleadiafana come una luce; e quei candori equelle ombre sovrapponevano alla vera architettura dell'edifizio il fantasm ad'una prodigiosa architettura ariostèa. Chinoa riguardarel'aspettante sentiva sotto il fascino di quel miracolo che ifantasmi vagheggianti dell'amore si risollevavano e le sommità liriche delsentimento riscintillavano come le lance ghiacce dei cancelli alla luna. Ma eglinon sapeva quale delle due donne avrebbe preferita in quello scenariofantastico: se Elena Heathfield vestita di porpora o Maria Ferres vestitad'ermellino. Ecome il suo spirito piacevasi d'indugiare nell'incertezza dellapreferenzaaccadeva che nell'ansia dell'attesa si mescessero e confondesserostranamente due ansiela reale per Elenal'imaginaria per Maria. Unorologio suonò da pressonel silenziocon un suono chiaro e vibrante; epareva come se qualche cosa di vitreo nell'aria s'incrinasse a ognun de' tocchi.L'orologio della Trinità de' Monti rispose all'appello; rispose l'orologio delQuirinale; altri orologi di lungi risposerofiochi. Erano le undici e unquarto. Andrea guardòaguzzando lavistaverso il portico. - Avrebbe ella osato attraversare a piedi il giardino?- Pensò la figura di Elena tra il gran candore. Quella della senese risorsespontaneaoscurò l'altravinse il candorecandida super nivem. Lanotte di luna e di neve era dunque sotto il dominio di Maria Ferrescome sottouna invincibile influenza astrale. Dalla sovrana purità delle cose nasceval'imagine dell'amante purasimbolicamente. La forza del Simbolo soggiogava lospirito del poeta. Allorasempreguardando se l'altra venisseegli si abbandonò al sogno che gli suggerivano leapparenze delle cose. Era un sognopoeticoquasi mistico. Egli aspettava Maria. Maria aveva eletta quella notte disoprannaturale bianchezza per immolar la sua propria bianchezza al desiderio dilui. Tutte le cose bianche intornoconsapevoli della grande immolazioneaspettavano per dire ave ed amen al passaggio della sorella. Ilsilenzio viveva. " Eccoellaviene: incedit per lilia et super nivem. E' avvolta nell'ermellino; portai capelli constretti e nascosti in una fascia; il suo passo è più leggerodella sua ombra; la luna e la neve sono men pallide di lei. Ave. "Un'ombracerulea come una luce che si tinga in uno zaffirol'accompagna. Igigli enormi e difformi non s'inchinanopoiché il gelo li ha irrigiditipoiché il gelo li ha fatti simili agli asfodilli che illuminavano i sentieridell'Ade. Ben peròcome quelli de' paradisi cristianihanno una voce; dicono:- Amen. " Così sia.L'adorata va ad immolarsi. Così sia. Ella è già presso l'aspettante; fredda emutama con occhi ardenti ed eloquenti. Ed egli prima le manile care mani chechiudono le piaghe e schiudono i sognibacia. Così sia. "Di quadi làsi dileguano le Chiese alte su colonne a cui la neve illustra divolute e d'acanti magici il fastigio. Si dileguano i Fòri profondisepoltisotto la neveimmersi in un chiarore azzurroonde sorgono gli avanzi deiportici e degli archi verso la luna più inconsistenti delle lor medesime ombre.Si dileguano le fontanescolpite in rocce di cristalloche versano non acquama luce. " Ed egli poi le labbrale care labbra che non sanno le false parolebacia. Così sia. Fuor dellafascia discinta si effondono i capelli come un gran flutto oscuroove tuttesembran raccolte le tenebre notturne fugate dalla neve e dalla luna. Comissuis obumbrabit tibi et sub comis peccabit. Amen. " El'altra non veniva! Nel silenzio e nella poesia cadevano di nuovo le ore degliuomini scoccate dalle torri e dai campanili di Roma. Qualche vetturasenzaalcuno strepitodiscendeva per le Quattro Fontane verso la piazza o saliva aSanta Maria Maggiore faticosamente; e i fanali erano gialli come topazii nellachiarità. Pareva chesalendo la notte al colmola chiarità crescesse ediventasse più limpida. Le filigrane dei cancelli riscintillavano come se iricami d'argento vi s'ingemmassero. Nel palazzograndi cerchi di luceabbagliante splendevano su le vetratea simiglianza di scudi adamantini.Andrea pensò: - Se ella non venisse? Quellastrana onda di lirismo passàtagli su lo spiritonel nome di Mariaavevacoperta l'ansietà dell'attesaaveva placata l'impazienzaaveva ingannato ildesiderio. Per un attimoil pensiero ch'ella non venisse gli sorrise. Poi dinuovopiù fortelo punse il tormento dell'incertezza e lo turbò l'imaginedella voluttà ch'egli avrebbe forse goduta là dentroin quella specie dipiccola alcova tiepida dove le rose esalavano un profumo tanto molle. Ecomenel giorno di San Silvestroil suo sofferire era acuito da una vanità;poichésopra tuttoegli si rammaricava che uno squisito apparato d'amoreandasse perduto senza effetto alcuno. Làdentroil freddo era temperato del calore continuo che esalavano i tubi dimetallo pieni d'acqua bollente. Un fascio di rose biancheniveelunariposavasu la tavoletta d'innanzi al sedile. Una pelle d'orso bianco teneva calde leginocchia. La ricerca d'una specie di Symphonie en blanc majeur eramanifesta in molte altre particolarità. Come il re Francesco I sul vetro dellafinestrail conte d'Ugenta aveva inciso di sua mano sul vetro dello sportelloun galante motto chenell'appannatura fatta dall'alitopareva brillare su unalastra di opale: Pro amore curriculum Proamore cubiculum. E per la terzavolta le ore sonarono. Mancavano a mezzanotte quindici minuti. L'aspettazionedurava da troppo tempo: Andrea si stancava e s'irritava. Nell'appartamentoabitato da Elenanelle finestre dell'ala sinistra non vedevasi altro lume chequello esterno della luna. - Sarebbe dunque venuta? E in che modo? Di nascosto?O con qual pretesto? Lord Heathfield eracertoa Roma. Come avrebbe ellagiustificata la sua assenza notturna? - Di nuovoinsorsero nell'animodell'antico amante le acri curiosità intorno le relazioni che correvano traElena e il maritointorno i loro legami coniugaliintorno il loro modo divivere in comunenella medesima casa. Di nuovola gelosia lo morse e labramosia lo accese. Egli si ricordava delle allegre parole dette da GiulioMusèllarouna seraa proposito del marito; e si proponeva di prendere Elenaad ogni costoper il diletto e per il dispetto. - Ohs'ella fosse venuta!Una carrozza sopraggiunse ed entrò nelgiardino. Egli si chinò a guardare; riconobbe i cavalli d'Elena; intravidenell'interno una figura di dama. La carrozza disparve sotto il portico. Eglirestò dubitoso. - Tornava dunque di fuori? Sola? - Acuì lo sguardo verso ilporticointensamente. La carrozza uscivaper il giardinonella stradaimboccando la via Rasella: era vuota. Mancavanodue o tre minuti all'ora estrema; ed ella non veniva! L'ora sonò. Una terribileangoscia strinse il deluso. Ella non veniva! Noncomprendendo egli le cause della impuntualità di leile si rivolse contro;ebbe un moto di collera subitaneo; e gli balenò anche il pensiero ch'ellaavesse voluto infliggergli una umiliazioneun castigoo ch'ella avesse volutotogliersi un capriccioesasperare un desiderio. Ordinò al cocchierepelportavoce: - Piazza del Quirinale.Egli si lasciava attrarre da Maria Ferres; siabbandonava di nuovo al vago sentimento di tenerezza chedopo la visitapomeridianagli aveva lasciato nell'anima un profumo e gli aveva suggeritopensieri e imagini di poesia. La delusione recentech'era per lui una prova deldisamore e della malvagità di Elenalo spingeva forte verso l'amore e labontà della senese. Il rammarico per la bellissima notte perduta gli aumentavama sotto il riflesso del sogno dianzi sognato. Ed erain veritàuna dellenotti più belle che sien trascorse nel cielo di Roma; era uno di queglispettacoli che opprimono d'una immensa tristezza lo spirito umano perchésoverchiano ogni potenza ammirativa e sfuggono alla piena comprensiondell'intelletto. La piazza delQuirinale appariva tutta candidaampliata dal candoresolitariaraggiantecome un'acropoli olimpica su l'Urbe silenziosa. Gli edifiziiintornograndeggiavano nel cielo aperto: l'alta porta papale del Bernininel palazzodel Resormontata dalla loggiailludeva la vista distaccandosi dalle muraavanzandosiisolandosi nella sua magnificenza difformedando imagine d'unmausoleo scolpito in una pietra siderea; i ricchi architravi del Fuganelpalazzo della Consultasporgevano di su gli stipiti e di su le colonnetransfigurati dalle strane adunazioni della neve. Divinia mezzo dell'egualcampo biancoi colossi parevano sovrastare a tutte le cose. Le attitudini deiDioscuri e dei cavalli s'allargavano nella luce; le groppe ampie brillavano comeornate di gualdrappe gemmanti; brillavano gli omeri e l'un braccio levato diciascun semidio. Esopradi tra i cavallislanciavasi l'obelisco; esottoaprivasi la tazza della fontana; e lo zampillo e l'aguglia salivano alla luna come uno stelo di diamante e uno stelo di granito. Unasolennità augusta scendeva dal monumento. Romad'innanzisi profondava in unsilenzio quasi di morteimmobilevacuasimile a una città addormentata da unpotere fatale. Tutte le casele chiesele torritutte le selve confuse emiste dell'architettura pagana e cristiana biancheggiavano come una sola unicaselva informetra i colli del Gianicolo e il Monte Mario perduti in un vaporeargentinolontanissimid'una immaterialità inesprimibilesimili forse adorizzonti d'un paesaggio selenicoche suscitavano nello spirito la visione d'unqualche astro semispento abitato dai Mani. La Cupola di S. Pietroluminosa d'unsingolare azzurro metallico nell'azzurro dell'ariagiganteggiava prossima allavista così che quasi pareva tangibile. E i due giovini Eroi cignìgenibellissimi in quell'immenso candore come in un'apoteosi della loro origineparevano gli immortali Genii di Roma vigilanti sul sonno della città sacra.La carrozza rimase ferma d'innanzi allareggialungo tempo. Di nuovoil poeta seguiva il suo sogno inarrivabile. EMaria Ferres era vicina; forse anche vegliavasognando; forse anche sentivagravare sul cuore tutta la grandezza della notte e ne moriva d'angoscia;inutilmente. La carrozza passòpianod'innanzi alla porta di Maria Ferresch'era chiusamentre in alto ivetri delle finestre rispecchiavano il plenilunio guardando gli orti pènsilialdobrandini ove gli alberi sorgevanoaerei prodigi. E il poeta gittò ilfascio delle rose bianche su la nevecome un omaggiod'innanzi alla porta diMaria Ferres.

Libro terzo - 4

Io vidi: indovinai... Ero dietro i vetrida tanto tempo. Non sapevorisolvermi ad andarmene. Tutto quel bianco m'attirava... Vidi la carrozzapassare lentamentenella neve. Sentii che eravate voiprima di vedervi gittarle rose. Nessuna parola mai potrà dirvi la tenerezza delle mie lacrime. Piansiper void'amore; e piansi per le rosedi pietà. Povere rose! Mi pareva chedovessero vivere e soffrire e agonizzaresu la neve. Mi parevanon soche michiamasseroche si lamentasserocome creature abbandonate. Quando la vostracarrozza si allontanòio mi affacciai per guardarle. Fui sul punto discenderegiù nella stradaa prenderle. Ma qualcuno era ancóra fuori di casa;e il domestico era di lànell'anticamerache aspettava. Pensai mille modimanon riuscii a trovarne uno attuabile. Mi disperai... Sorridete? Proprioio nonso che follia mi prese. Stavo tutta attenta a spiare i passanticon gli occhipieni di lacrime. Se avessero calpestato le rosemi avrebbero calpestato ilcuore. Ed ero felice in quel supplizio; ero felice del vostro amoredel vostroatto delicato e appassionatodella vostra gentilezzadella vostra bontà...Ero triste e felicequando mi addormentai; e le rose dovevan esser giàmoribonde. Dopo qualche ora di sonnomi svegliò il rumore delle pale sullastrico. Spazzavano la neveproprio d'innanzi alla nostra porta. Io rimasi inascolto; e il rumore e le voci continuarono fin oltre l'albae mi facevanotanta malinconia... Povere rose! Ma saranno sempre vive nella mia memoria. Certiricordi bastano a profumare un'anima per sempre... Mi amate moltoAndrea?Edopo un'esitazione: -Amate me sola? Avete dimenticato il restointeramente? Sono miei tutti i vostripensieri? Ella palpitava e tremava.- Io soffro... della vostra vita anterioredi quella ch'io non conosco; soffro dei vostri ricordidi tutte le tracce cheforse vi rimangono ancóra nello spiritodi tutto ciò che in voi non potròmai comprendere e mai possedere. Ohs'io potessi darvi l'oblio d'ogni cosa! Odocontinuamente le vostre paroleAndreale prime prime parole. Credo chele udrò nell'istante della morte... Ellapalpitava e tremavasotto l'urto della passione soverchiatrice. -Io vi amo ogni giorno piùogni giorno più! Andreala inebriò di parole soavi e profondela vinse d'ardorele narrò il sognodella notte nivale e il suo desiderio disperato e tutta la utile favola dellerose e molte altre imaginazioni liriche. Gli pareva ch'ella fosse prossima adabbandonarsi; vedeva gli occhi di lei nuotare in qualche onda di languore piùlunga; vedeva su la bocca dolente apparire quella inesprimibile contrattura cheè come la dissimulazione d'una tendenza fisica istintiva al bacio; e vedeva lemaniquelle mani gracili e fortimani d'arcangelofremere come le corde d'unostrumentoesprimere tutto l'orgasmo interno. - Se oggi potrò rapirle anche unsolo bacio fuggevole - pensava - avrò di molto affrettato il termine ch'iosospiro. Ma ellaconsapevole delpericolosi levò d'improvvisochiedendo licenza; sonò il campanelloordinòal domestico il tè e che pregasse Miss Dorothy di condur Delfina nel salone.Poivolgendosi ad Andreaun po' convulsa: -E meglio così. Perdonatemi. E da quelgiorno evitò di riceverlo in giorni che non fosserocome il martedì e ilsabatodi ricevimento comune. Ellaperò si lasciò guidare da lui in varie peregrinazioni a traverso la Roma degliImperatori e la Roma dei Papi. Il vergiliato quaresimale si svolse nellevillenelle gallerienelle chiesenelle ruine. Dov'era passata Elena Mutipassò Maria Ferres. Non di radole cose suggerivano al poeta le medesimeeffusioni di parole che Elena aveva già udite. Non di radoun ricordo loallontanava dalla realtà presentelo turbava d'improvviso. -A che pensateora? - gli chiedeva Mariaguardandolo in fondo alle pupilleconun'ombra di sospetto. Ed eglirispondeva: - A voisempre a voi. Miprende come una curiosità di guardarmi dentro per vedere se ancóra mi rimangaqualche minima parte dell'anima che non sia in possesso dell'anima vostraqualche minima piega che non sia penetrata dalla vostra luce. E' come unaesplorazione interioreche io faccio per voigià che voi non potete farla.EbbeneMarianon ho più nulla omai da offerirvi. Siete nell'assoluto dominiodi tutto il mio essere. Non maipensouna creatura umana è stata piùintimamente posseduta da una creatura umanain ispirito. Se la mia bocca sicongiungesse alla vostraavverrebbe la transfusione della mia vita nella vostravita. Penso che morirei. Ella glicredevapoiché la voce di lui dava alle parole la fiamma della verità.Un giorno erano sul Belvedere della VillaMedici: guardavano ne' larghi e cupi tetti di busso l'orlo del sole morire apoco a poco e la Villa Borghese ancor nuda sommergersi a poco a poco in unvapore violaceo. Maria disseinvasa da una subitanea tristezza: -Chi sa quante volte siete venuto quia sentirvi amare! Andrearisposecon l'accento d'un uom trasognato: -Non so; non ricordo. Che dite mai? Ellatacque. Poi si levòper leggere le inscrizioni su i pilastri del tempietto.Eranoper lo piùinscrizioni d'amantidi novelli sposidi contemplatorisolitarii. Una portavasotto una datae un nome di donnaun frammento del Pausias: SIE Immer allein sindLiebende sich in der grössten Versammlung; Abersind sie zu Zweienstellt auch der Dritte sich ein.ER Amorja! Un'altra era la glorificazione di un nome alato: A solisortu usque ad occasum laudabile nomen Helles. Un'altra era una sospirevolequartina del Petrarca: Io amai sempre ed amo forte ancóra Eson per amar più di giorno in giorno Queldolce loco ove piangendo torno Spessefiate quando Amor m'accora.Un'altra pareva essere una leal dichiarazionefirmata da due leali amanti: Ahoray no siempre. Tutte esprimevano un sentimento eroticoo triste o giocondo;cantavano le lodi d'una bella o rimpiangevano un bene remoto; narravano d'unbacio ardente o d'una estasi languida; ringraziavano i vecchi bussi cortesiindicavano ai felici venturi una latebranotavano la singolarità d'un tramontocontemplato. Chiunquesposo o amantesotto il fascino femininoera statopreso da un entusiasmo lirico sul piccolo Belvedere solitario a cui conduce unascala di pietra coperta di velluto. Le mura parlavano. Una indefinibilemalinconia emanava da quelle voci ignote d'amori mortiuna malinconia quasisepolcralecome dagli epitaffi d'una cappella. D'untrattoMaria si volse ad Andreadicendo: -Ci siete anche voi. Egli risposeguardandolacon l'accento medesimo di dianzi: -Non so; non ricordo. Non ricordo più nulla. Vi amo. Ellalesse. Ed erascritto di mano d'Andreaun epigramma del Goetheun disticoquello che incomincia: " Sagewie lebst du? " - Rispondicomevivi tu? - " Ich lebe! " - Io vivo! Ese pur cento e centosecoli mi fosser datiio m'augurerei soltanto che domani fosse come oggi. -Sotto era una data: Die ultima februarii 1885; e un nome: HelenaAmyclaea. Ella disse: -Andiamo. Il tetto di busso piovevatenebre su la scala di pietra coperta di velluto. Egli chiese: -Volete appoggiarvi? Ella rispose:- No; grazie. Disceseroin silenziopianamente. Ad ambedue pesava il cuore. Dopoun intervalloella disse: Eravatefelicedue anni fa. Ed eglicon unaostinazione meditata: - Non so; nonricordo. Il bosco era misteriosoinun crepuscolo verde. I tronchi e i rami sorgevano con intrichi e viluppiserpentini. Qualche foglia luccicava come un occhio di smeraldonell'ombra.Dopo un intervalloella soggiunse: -Chi era quella Elena? - Non so; nonricordo. Non ricordo più nulla. Vi amo. Amo voi sola. Penso per voi sola. Vivoper voi sola. Non so più nulla; non ricordo più nulla; non desidero piùnullaoltre il vostro amore. Nessun filo più mi lega alla vita d'un tempo.Sono ora fuor del mondointeramente perduto nel vostro essere. Io sono nelvostro sangue e nella vostra anima; io mi sento in ogni palpito dellevostre arterie; io non vi tocco eppure mi mescolo con voi come se vi tenessi dicontinuo tra le mie bracciasu la mia boccasul mio cuore. Io vi amo e voi miamate; e questo dura da secolidurerà nei secoliper sempre. Accanto a voipensando a voivivendo di voiho il sentimento dell'infinitoil sentimentodell'eterno. Io vi amo e voi mi amate. Non so altro; non ricordo altro...Egli le versava su la tristezza e sulsospetto un'onda di eloquenza infiammata e dolce. Ella ascoltavadirittainnanzi ai balaustri dell'ampia terrazza che si apre sul limite del bosco.- Ed è vero? Ed è vero? - ripeteva ella conuna voce spenta ch'era come l'eco affievolita d'un grido dell'anima interno. -Ed è vero? - E' veroMaria; e questosoltanto è vero. Tutto il resto è un sogno. Io vi amo e voi mi amate. E voi mipossedete come io vi posseggo. Io vi so così profondamente mia che non vichiedo carezzenon vi chiedo alcuna prova d'amore. Aspetto. Mi è carosopraogni cosaobedirvi. Io non vi chiedo carezze; ma le sento nella vostra vocenel vostro sguardonelle vostre attitudinine' vostri minimi gesti. Tutto ciòche parte da voi è per me inebriante come un bacio; e io non sosfiorandovi lamanose sia più forte la voluttà de' miei sensi o la sollevazione del miospirito. Egli posò la sua mano su lamano di leilievemente. Ella tremòsedottaprovando un desiderio folle dipiegarsi verso di luidi offrirgli infine le labbrail baciotutta séstessa. Le parve (poiché ella dava fede alle parole di Andrea) le parve che pertale atto ella lo avrebbe legato a sé con l'ultimo nodocon un nodoindissolubile. Ella credeva di venir menodi struggersidi morire. Era come setutti i tumulti della passione già sofferta le gonfiassero il cuoreaumentassero il tumulto della passione presente. Era come se rivivessero inquell'attimo tutte le commozioni trascorse da che ella aveva conosciutoquell'uomo. Le rose di Schifanoja rifiorivano tra i lauri e i bussi della VillaMedici. - Io aspettoMaria. Non vichiedo nulla. Mantengo le mie promesse. Io aspetto l'ora suprema. Sento cheverràpoiché la forza dell'amore è invincibile. E sparirà in voi ognitimoreogni terrore; e la comunione dei corpi vi sembrerà pura come lacomunione delle animepoiché sono egualmente pure tutte le fiamme... Eglile premevacon la mano senza guantola mano inguantata. Il giardino parevadeserto. Dal palazzo dell'Academia non giungeva alcun romorealcuna voce. Siudiva chiaro nel silenzio il chioccolìo della fontana a mezzo dello spiazzo; iviali si prolungavano verso il Pincio diritticome chiusi fra due pareti dibronzo su cui non anche moriva la doratura del vespro; l'immobilità di tutte leforme dava imagine d'un labirinto impietrato: le cime delle canne acquaticheintorno la vasca erano immobili nell'aria come le statue. -Mi sembra - disse la senesesocchiudendo i cigli - di trovarmi su una terrazzadi Schifanojalontana lontana da Romasola... con te. Chiudo gli occhiveggoil mare. Ella vedeva dal suo amore edal silenzio nascere un gran sogno e dilatarsi nel tramonto. Ella tacquesottolo sguardo di Andrea; e un poco sorrise. Ella aveva detto: con te!Pronunziando quelle due sillabeella aveva chiuso gli occhi: e la bocca eraparsa più luminosaquasi che vi si fosse raccolto anche lo splendor celatodalle palpebre e dai cigli. - Misembra che tutte queste cose non sieno fuori di mema che tu le abbia createnell'anima miaper la mia gioia. Ho questa illusione in meprofondaognivolta che io sono innanzi a uno spettacolo di bellezza e che tu mi sei vicino.Ella parlava lentamentecon qualche pausacome se la sua voce fosse l'eco tarda di un'altra voce inaudibile. Perciò lesue parole avevano un singolare accentoacquistavano un suono misteriosoparevano venire dalle più segrete profondità dell'essere; non erano il comunsimbolo imperfettoerano un'espressione intensa più vivatrascendented'unsignificato più vasto. " Dallesue labbracome da un giacinto pieno d'una rugiada di mielecade a goccia agoccia un murmure liquidoche fa morir di passione i sensidolce come le pausedella musica planetaria udita nell'estasi. " Il poeta ricordava i versi diPercy Shelley. Egli li ripeté a Mariasentendosi conquistare dalla commozionedi leipenetrare dal fascino dell'oraesaltare dall'apparenza delle cose. Untremito lo presequando egli era per rivolgerle il tu mistico. -Io non era mai giuntoin nessun più alto sogno del mio spiritoa idearequest'altezza. Tu ti levi sopra tutte le mie idealitàtu splendi sopra tuttigli splendori del mio pensierotu m'illumini d'una luce che è quasi per meinsostenibile... Ella stava dirittainnanzi ai balaustricon le mani posate su la pietracon la testa alzatapiùpallida di quandonella mattina memorabilecamminava sotto i fiori. Le lacrimele empivano gli occhi socchiusile rilucevano tra i cigli; e sogguardandoinnanzi a séella vedeva il cielo farsi roseoa traverso il velo del pianto.Eranel cielouna pioggia di rosecomequando nella sera d'ottobre il sole moriva dietro il colle di Roviglianoaccendendo gli stagni per la pineta di Vicomìle. " Rose rose rosepiovevano da per tuttolentespessemollia simiglianza d'una nevata inun'aurora. " La Villa Medicieternamente verde e senza fioririceveva sule cime delle sue rigide mura arboree i molli petali innumerevoli caduti daigiardini celesti. Ella si volseperdiscendere. Andrea la seguì. Camminarono in silenzio verso la scala; guardaronoil bosco che si stendeva fra la terrazza e il Belvedere. Pareva che il chiaroresi fermasse sul limitedove sorgono le due erme custodie non potesse romperela tenebra; pareva che quegli alberi rameggiassero in un'altra atmosfera o inun'acqua cupain un fondo marinosimili a vegetazioni oceaniche. Ellafu invasa da una sùbita paura; si affrettò verso la scaladiscese cinque osei gradini; si arrestòsmarritapalpitanteudendo nel silenzio il battitodelle sue arterie dilatarsi come uno strepito enorme. La villa era scomparsa; lascala era serrata fra due paretiumidagrigiarotta dall'erbetriste comequella d'una carcere sotterranea. Ella vide Andrea piegarsi verso di leicon unatto improvvisoper baciarla in bocca. -NonoAndrea... No! Egli tendeva lemani per trattenerlaper costringerla. -No! Perdutamenteella gli prese unamanose la trasse alle labbra; la baciò duetre volteperdutamente. Poi simise a correre giù per la scalaverso la portacome folle. -Maria! Maria! fermatevi! Siritrovarono l'una di fronte all'altroinnanzi alla porta chiusapallidiansantiscossi da un terribile tremitoguardandosi negli occhi mutatiavendonegli orecchi il rombo del loro sanguecredendo di soffocare. E nel tempomedesimocon un impeto concordesi strinserosi baciarono. Elladissetemendo di venir menoappoggiandosi alla portacon un gesto di supremapreghiera: - Non più... Io muoio.Rimasero un minutol'una di fronteall'altrosenza toccarsi. Pareva che tutto il silenzio della villa gravasse suloroin quel luogo angusto cinto d'alti murisimile a una tomba scoperta. Siudiva distinto il gracchiare basso e interrotto dei corvi che si raccoglievanosu i tetti del palazzo o traversavano il cielo. Di nuovoun senso strano dipaura occupò il cuore della donna. Ella gittò in altoalla sommità dei muriuno sguardo sbigottito. Facendosi forzadisse: -Orapossiamo uscire... Potete aprire. Ela sua mano s'incontrò con quella di Andrea sul saliscendinella furiaincalzante. Ecome ella passòrasente le due colonne di granitosotto il gelsomino senza fioriAndrea disse:- Guarda! Il gelsomino fiorisce. Ellanon si volsema sorrise; e il sorriso era assai tristepieno dell'ombre chemetteva in quell'anima il riapparir subitaneo del nome inscritto sul Belvedere.Ementre ella camminava per il viale misterioso sentendo tutto il suo sanguealterato dal bacioun'implacabile angoscia le incideva nel cuore quel nomequel nome!

Libro quarto - 1

Il marchese di Mount Edgcumbeaprendo il grande armario segretolabiblioteca arcanadiceva allo Sperelli:

- Voi dovreste disegnarmi i fermagli. Il volume è in-4datato daLampsaco come Les Aphrodites del Nerciat: 1734. Gli intagli mipaiono finissimi. Giudicatene.

Egli porse allo Sperelli il libro raro. Era intitolato GERVETII - DeConcubitu - libri tresornato di vignette voluttuose.

- Questa figura è molto importante - soggiunseindicando col dito unadelle vignetteche rappresentava un congiungimento di corpiindescrivibile. - E' una cosa nuova che io non conosceva ancóra. Nessunodei miei scrittori erotici ne fa menzione...

Seguitava a parlarediscutendo alcune particolaritàseguendo lelinee del disegno con quel dito bianchiccio sparso di peli su la primafalange e terminato da un'unghia acutalucidaun po' livida comel'unghia dei quadrumani. Le sue parole penetravano nell'orecchio delloSperelli con uno stridore atroce.

- Questa edizione olandese di Petronio è magnifica. E questo è l'Erotopaegnionstampato a Parigi nel 1798. Conoscete il poema attribuito a John WilkesAnessay on woman? Eccone una edizione del 1763.

La raccolta era ricchissima. Comprendeva tutta la letteraturapantagruelica e rococò di Francia: le priapèele fantasie scatologichele monacologiegli elogi burleschii catechismigli idilliii romanzii poemi dalla Pipe cassée del Vadé alle Liaisons dangereusesdall'Arétin d'Augustin Carrache alle Tourterelles de Zelmisdalla Descouverture du style impudique al Faublas.Comprendeva quanto di più raffinato e di più infame l'ingegno umano haprodotto nei secoli per comento dell'antico inno sacro al dio di Lampsaco:Salvesancte pater.

II collezionista prendeva i libri dalle file dell'armarioe limostrava al giovine amicoparlando di continuo. Le sue mani oscene sifacevano carezzevoli intorno i libri osceni rilegati in cuoi ed in tessutidi pregio. Ad ogni tratto sorrideva sottilmente. E gli passava negli occhigrigi il baleno della folliasotto la enorme fronte convessa.

- Posseggo anche la edizione principe degli Epigrammi diMarzialequella di Veneziafatta da Vindelino di Spirain-folio.Eccola. Ed ecco il Beauil traduttore di Marzialeil comentatore dellefamose trecento ottanta due oscenità. Come vi sembrano le rilegature? Ifermagli sono d'un maestro. Questa composizione di priapi è di grandestile.

Lo Sperelli ascoltava e guardavacon una specie di stupore che a pocoa poco andavasi mutando in orrore e in dolore. I suoi occhi ad ognimomento erano attirati da un ritratto d'Elenache pendeva alla pareresul damasco rosso.

- E' il ritratto di Elenadipinto da Sir Frederick Leiyhton. Maguardate quitutto il Sade! Le roman philosophiqueLa philosophiedans le boudoirLes crimes de l'amourLes malheurs de la vertu...Voicertonon conoscete questa edizione. E' fatta per conto mio daHérisseycon caratteri elzeviriani del XVIII secolosu carta delleManifatture imperiali del Giapponein soli cento venti cinque esemplari.Il divino marchese meritava questa gloria. I frontespiziii titolileinizialitutti i fregi raccolgono quanto di più squisito noi conosciamoin materia d'iconografia erotica. Guardate i fermagli!

Le rilegature dei volumi erano mirabili. Una pelle di pescecanerugosaed aspra come quella che avvolge l'elsa delle sciabole giapponesicoprivale due facce e il dorso; i fermagli e le borchie erano d'un bronzo assairicco d'argentoopere di cesello elegantissimeche ricordavano i piùbei lavori in ferro del secolo XVI.

- L'autoreFrancis Redgraveè morto in un manicomio. Era un giovinedi genio. Io posseggo tutti i suoi studii. Ve li mostrerò.

Il collezionista s'accendeva. Egli uscì per andare a prendere l'albodei disegni di Francis Redgravenella stanza contigua. Il suo passo eraun po' saltellante e malsicurocome d'un uomo che abbia in sé unprincipio di paralisiuna malattia spinale incipiente; il suo bustorimaneva rigidonon assecondando il moto delle gambesimile al bustod'un automa.

Andrea Sperelli lo seguì con lo sguardofin su la sogliainquieto.Rimasto solofu preso da una terribile angoscia. La stanzatappezzata didamasco rosso cupocome la stanza dove Elena due anni innanzi erasi dataa luigli parve allora tragica e lugubre. Forse quelle erano letappezzerie medesime che avevano udite le parole di Elena: - Mi piaci! -L'armario aperto lasciava vedere le file dei libri oscenile rilegaturebizzarre impresse di simboli fallici. Alla parete pendeva il ritratto diLady Heathfield accanto a una copia della Nelly O'Brien di JoshuaReynolds. Ambedue le creaturedal fondo della telaguardavano con lastessa intensità penetrantecon lo stesso ardor di passionecon lastessa fiamma di desiderio sensualecon la stessa prodigiosa eloquenza;ambedue avevano la bocca ambiguaenigmaticasibillinala bocca delleinfaticabili ed inesorabili bevitrici d'anime; e avevano ambedue la frontemarmoreaimmacolatalucente d'una perpetua purità.

- Povero Redgrave! - disse Lord Heathfieldrientrando con la custodiadei disegni tra le mani. - Senza dubbioegli era un genio. Nessunafantasia erotica supera la sua. Guardate!... Guardate!... Che stile!Nessuno artistaio pensonello studio della fisionomia umana si avvicinaalla profondità e all'acutezza a cui è giunto questo Redgrave nellostudio del phallus. Guardate!

Egli si allontanò un istante per andare a richiudere l'uscio. Poitornò verso il tavolopresso la finestra; e si mise a sfogliare laraccoltasotto gli occhi dello Sperelliparlando di continuoindicandocon l'unghia scimiescaaffilata come un'armale particolarità diciascuna figura.

Egli parlava nella sua linguadando ad ogni principio di frase unaintonazione interrogativa e ad ogni fine una cadenza egualestucchevole.Certe parole laceravano l'orecchio di Andrea come un suono aspro di ferriraschiaticome lo stridore d'una lama d'acciaio a contrasto d'una lastradi cristallo.

E i disegni del defunto Francis Redgrave passavano.

Erano spaventevoli; parevano il sogno d'un becchino torturato dallasatiriasi; si svolgevano come una paurosa danza macabra e priapica;rappresentavano cento variazioni d'un sol motivocento episodii d'un solodramma. E le dramatis personae erano due: un priapo e unoscheletroun phallus e un rictus.

- Questa è la pagina " superiore " - esclamò il marchese diMount Edgcumbeindicando l'ultimo disegnosu cui in quel punto scendevaa traverso i vetri della finestra un sorriso tenue di sole.

Erainfattiuna composizione di straordinaria potenza fantastica: unadanza di scheletri muliebriin un ciel notturnoguidata da una Morteflagellatrice. Su la faccia impudica della luna correva una nuvola neramostruosadisegnata con un vigore e un'abilità degni della matitad'O-kou-sai; l'attitudine della tetra corifeal'espression del suoteschio dalle orbite vacue erano improntate d'una vitalità mirabiled'una spirante realità non mai raggiunta da alcun altro artefice nellafigurazione della Morte; e tutta quella sicinnide grottesca di scheletrislogati in gonne discintesotto le minacce della sferzarivelava latremenda febbre che aveva preso la mano del disegnatorela tremendafollia che aveva preso il suo cervello.

- Ecco il libro che ha inspirato questo capolavoro a Francis Redgrave.Un gran libro!... Il più raro tra i rarissimi... Non conoscete voi DanielMaclisius?

Lord Heathfield porse allo Sperelli il trattato De verberationeamatoria. Si accendeva sempre piùragionando di piaceri crudeli. Letempie calve gli s'invermigliavano e le vene della fronte gli sigonfiavano e la bocca gli s'increspavaun po' convulsaad ogni tratto. Ele manile mani odiosegestivano con gesti brevi ma concitatimentre igomiti rimanevano rigidid'una rigidezza paralitica. La bestia immondalaidaferoce appariva in luisenza più veli. Nell'imaginazione delloSperelli sorgevano tutti gli orrori del libertinaggio inglese: le gestadell'Armata Neradella black armysu pe' marciapiedi di Londra;la caccia implacabile alle " vergini verdi "; i lupanari diWest-Enddella Halfousn Street; le case eleganti di Anna RosembergdellaJefferies; le camere segreteermeticheimbottite dal pavimento alsoffittoove si smorzano i gridi acuti che la tortura strappa allevittime...

- Mumps! Mumps! Siete solo?

Era la voce di Elena. Ella batteva piano a un degli usci.

- Mumps !

Andrea trasalì: tutto il sangue gli fece velo agli occhigli accesela frontegli mise negli orecchi un rombocome se una vertigineimprovvisa stesse per coglierlo. Un'insurrezione di brutalità losconvolse; gli attraversò lo spiritonella luce d'un lampouna visioneoscena; gli passò nel cervello oscuramente un pensier criminoso; l'agitòper un attimo non so che smania sanguinaria. In mezzo al turbamentoportato in lui da quei librida quelle figuredalle parole diquell'uomorisaliva su dalle cieche profondità dell'essere lo stessoimpeto istintivo che già egli aveva provato un giornosul campo dellecorsedopo la vittoria contro il Rùtolotra le esalazioni acri delcavallo fumante. Il fantasma d'un delitto d'amore lo tentò e si dileguòrapidissimonella luce d'un lampo: uccidere quell'uomoprendere quelladonna per violenzaappagare così la terribile cupidigia carnalepoiuccidersi.

- Non sono solo - disse il maritosenza aprire l'uscio. - Fra qualcheminuto potrò condurvi nel salone il conte Sperelli che è qui con me.

Egli ripose nell'armario il trattato di Daniel Maclisius; chiuse lacustodia dei disegni di Francis Redgrave e la portò nella stanzacontigua.

Andrea avrebbe dato qualunque prezzo per sottrarsi al supplizio chel'aspettava ed era attratto da quel supplizionel tempo medesimo. Il suosguardoanche una voltasi levò alla parete rossaverso il cupo quadroove brillava la faccia esangue di Elena dagli occhi seguacidalla boccadi sibilla. Un fascino acuto e continuo emanava da quella immobilitàimperiosa. Quel pallore unico dominava tragicamente tutta la rossa ombradella stanza. Ed egli sentìanche una voltache la sua trista passioneera immedicabile.

Un'angoscia disperata l'assalse. - Non avrebbe egli dunque mai piùposseduta quella carne? Era ella dunque risoluta a non concedergli? Edegli avrebbe per sempre nutrita in sé la fiamma del desiderioinsoddisfatto? - L'eccitazion prodotta in lui dai libri di Lord Heathfieldinaspriva la sofferenzarinfocolava la febbre. Era nel suo spirito unconfuso tumulto d'imagini erotiche; la nudità di Elena entrava nei gruppiinfami delle vignette incise dal Coinyprendeva attitudini di piaceregià note al passato amoresi piegava ad attitudini nuovesi offerivaalla lascivia bestiale del marito. Orrore! Orrore!

- Volete che andiamo di là? - chiese il maritoricomparendo su lasogliaben ricomposto e tranquillo. - Mi disegnerete dunque i fermaglipel mio Gervetius?

Andrea rispose:

- Mi proverò.

Egli non poteva reprimere il tremito interno. Nel saloneElena loguardò curiosamentecon un sorriso irritante.

- Che facevatedi là? - ella gli chiesepur sempre sorridendo almodo medesimo.

- Vostro marito mi mostrava cimelii.

- Ah!

Ella aveva la bocca sardonicauna cert'aria beffardaun'irrisionpalese nella voce. Si adagiòsopra un largo divano coperto d'un tappetodi Bouckara amaranto su cui languivano i cuscini pallidi e su' cuscini lepalme d'oro smorto. Si adagiò in un'attitudine molleguardando Andrea ditra i lusinghevoli ciglicon quegli occhi che parevano come suffusi d'unqualche olio purissimo e sottilissimo. E si mise a parlare di cosemondanema con una voce che penetrava fin nell'intime vene del giovinecome un fuoco invisibile.

Due o tre volte Andrea sorprese lo sguardo scintillante di LordHeathfield fisso su la moglie: uno sguardo che gli parve carico di tuttele impurità e le infamie dianzi rimescolate. Quasi ad ogni fraseElenaridevad'un riso irridentecon una strana facilitànon turbata dallabrama di que' due uomini che s'erano accesi insieme su le figure dei libriosceni. Ancórail pensier criminoso attraversò lo spirito di Andreanella luce d'un lampo. Tutte le fibre gli tremarono.

Quando Lord Heathfield si levò ed uscìegli proruppecon la vocerocaafferrandole un polsoavvicinandosi a lei così da sfiorarla conl'alito veemente:

- Io perdo la ragione... Io divento folle... Ho bisogno di teElena...Ti voglio...

Ella liberò il polsocon un gesto superbo. Poi dissecon unaterribile freddezza:

- Vi farò dare da mio marito venti franchi. Uscendo di quipotretesodisfarvi.

Lo Sperelli balzò in piedilivido.

Lord Heathfield rientrando chiese:

- Ve ne andate già? Che avete mai?

E sorrise del giovine amicopoiché egli conosceva gli effetti de'suoi libri.

Lo Sperelli s'inchinò. Elena gli offerse la manosenza scomporsi. Ilmarchese lo accompagno fin su la sogliadicendogli piano:

- Vi raccomando il mio Gervetius.

Come fu sotto il porticoAndrea vide avanzarsi pel viale una carrozza.Un signore dalla gran barba bionda s'affacciò allo sportellosalutando.Era Galeazzo Secìnaro.

Subitamentegli sorse nello spirito il ricordo della Fiera di maggiocon l'episodio della somma offerta da Galeazzo per ottenere che Elena Mutiasciugasse alla barba le belle dita bagnate di Sciampagna. Affrettò ilpassouscì nella strada: aveva la sensazione ottusa e confusa come d'unromore assordante che sfuggisse dall'intimo del suo cervello.

Era un pomeriggio della fine d'aprilecaldo e umido. Il sole apparivae spariva tra i nuvoli fioccosi e pigri. L'accidia dello scirocco tenevaRoma.

Sul marciapiede della via Sistinaegli scorse d'innanzi a sé unasignora che camminava lentamente verso la Trinità. Riconobbe Donna MariaFerres. Guardò l'orologio: eranoinfatticirca le cinque; mancavanopochi minuti all'ora abituale del ritrovo. Mariacertoandava al palazzoZuccari.

Egli affrettò il passo per raggiungerla. Quando fu da presso lachiamò per nome:

- Maria!

Ella ebbe un sussulto:

- Come qui? Io salivo da te. Sono le cinque.

- Manca qualche minuto. Io correvo ad aspettarti. Perdonami.

- Che hai? Sei molto pallidotutto alterato... Di dove vieni? Ellacorrugò i sopracciglifissandoloa traverso il velo.

- Dalla scuderia - rispose Andreasostenendo lo sguardosenzaarrossirecome s'egli non avesse più sangue. - Un cavalloche m'eraassai caros'è rovinato un ginocchio per colpa del jockey.Domenica non potrà quindi prender parte al Derby. La cosa mi fapena ed ira. Perdonami. Ho indugiato senza accorgermene. Ma alle cinquemanca qualche minuto...

- Bene. Addio. Me ne vado.

Erano su la piazza della Trinità. Ella si soffermò per congedarsitendendogli la mano. Le durava ancóra tra i sopraccigli una piega. Inmezzo alla sua gran dolcezzatalvolta ella aveva insofferenze quasi aspree movimenti altieri che la trasfiguravano.

- NoMaria. Vieni. Sii dolce. Io vado suad aspettarti. Tu arrivafino ai cancelli del Pincio e torna indietro. Vuoi?

L'orologio della Trinità de' Monti suonò le cinque.

- Senti? - soggiunse Andrea.

Ella dissedopo una leggera esitazione:

- Verrò.

- Grazie. Ti amo.

- Ti amo.

Si separarono.

Donna Maria seguitò il suo cammino; traversò la piazzaentrò nelviale arborato. Sul suo capoa intervallilungo la muragliail soffiolanguido dello scirocco suscitava negli alberi verdi un murmure. Neltepore umido dell'aria fluivano rare onde di profumo e svanivano. Lenuvole parevano più basse; certi stormi di rondini quasi radevano ilsuolo. Eppurein quella snervante gravezza era qualche cosa di molle cheammolliva il cuor passionato della senese.

Da che ella aveva ceduto al desiderio di Andreail suo cuore siagitava in una felicità solcata d'inquietudini profonde; tutto il suosangue cristiano s'accendeva alle voluttà della passione non mai provatee s'agghiacciava agli sbigottimenti della colpa. La sua passione eraaltissimasoverchianteimmensa; così fiera che spesso per lunghe ore letoglieva la memoria della figlia. Ella giungeva ad obliare Delfinatalvolta; a trascurarla! Ed aveva poi subitanei ritorni di rimorsodipentimentodi tenerezzain cui ella copriva di baci e di lacrime latesta della figlia attonitasinghiozzando con un dolor disperatocomesopra la testa d'una morta.

Tutto il suo essere s'affinava alla fiammasi assottigliavasiacuivaacquistava una sensibilità prodigiosauna specie di luciditàoltraveggenteuna facoltà divinatoria che le dava strane torture. Quasiad ogni inganno di Andreaella si sentiva passare un'ombra su l'animaprovava una inquietudine indefinita che talvolta addensandosi prendevaforma d'un sospetto. E il sospetto la mordevale rendeva amari i baciacre ogni carezzafinché non si dileguava sotto gli impeti e gli ardoridell' incomprensibile amante.

Ella era gelosa. La gelosia era il suo spasimo implacabilela gelosianon pur del presentema del passato. Per quella crudeltà che le personegelose hanno contro sé stesseella avrebbe voluto leggere nella memoriadi Andreascoprirne tutti i ricordivedere tutte le tracce segnate dalleantiche amantisaperesapere. La domanda che più spesso le correva allelabbraquando Andrea tacevaera questa: - A che pensi? - E mentre ellaprofferiva le tre paroleinevitabilmente l'ombra le passava negli occhi esu l'animainevitabilmente un flutto di tristezza le si levava dal cuore.

Anche quel giornoall'improvviso sopraggiungere di Andreanon avevaella avuto in fondo a sé un istintivo moto di sospetto? Anzi un pensierlucido erale balenato nello spirito: il pensiero che Andrea venisse dallacasa di Lady Heathfielddal palazzo Barberini.

Ella sapeva che Andrea era stato l'amante di quella donnasapeva chequella donna si chiamava Elenasapeva infine che quella era la Elenadell'inscrizione. " Ich lebe!... " Il distico del Goethele squillava forte sul cuore. Quel grido lirico le dava la misuradell'amor d'Andrea per la bellissima donna. Egli doveva averlaimmensamente amata!

Camminando sotto gli alberiella ricordava l'apparizione di Elenanella sala del concertoal Palazzo de' Sabinie il turbamento maldissimulato dell'antico amante. Ricordava la terribile commozione chel'aveva presa una seraa una festa dell'Ambasciata d'Austriaquando lacontessa Starnina le aveva dettoal passaggio di Elena: - Ti piace laHeathfield? E' stata una gran fiamma del nostro amico Sperellie credoche sia ancóra.

" Credo che sia ancóra. " Quante torture per quella frase!Ella aveva seguita con gli occhi la gran rivaledi continuoin mezzoalla folla elegante; e più d'una volta il suo sguardo erasi incontratocon quel di leied ella ne aveva avuto un brivido indefinibile. Poinella sera medesimapresentate l'una all'altra dalla baronessa diBoeckhorstin mezzo alla follaavevano scambiato un semplice inchinodella testa. E il tacito inchino erasi ripetuto in seguito nelle assairare volte che Donna Maria Ferres y Capdevila aveva attraversato un salonemondano.

Perché i dubbiisopiti o spenti sotto l'onda delle ebrezzerisorgevano con tanta veemenza? Perché ella non riusciva a reprimerliadallontanarli? Perché in fondo a lei si agitavanoad ogni piccolo urtodell'imaginazionetutte quelle sconosciute inquietudini?

Camminando sotto gli alberiella sentiva crescere l'affanno. Il suocuore non era pago; il sogno levatosi dal suo cuore - nella mattinamisticasotto gli alberi floridiin conspetto del mare - non s'eraavverato. La parte più pura e più bella di quell'amore era rimasta lànel bosco solitarionella selva simbolica che fiorisce e fruttificaperpetuamente contemplando l'Infinito.

Ella si soffermòd'innanzi al parapetto che guarda San Sebastianello.I vecchissimi elcid'una verdura così cupa che quasi pareva neraprotendevano su la fontana un tetto arteficiatosenza vita. I tronchiportavano ampie feritericolmate con la calce e col mattonecome leaperture d'una muraglia. - Oh giovini àlbatri raggianti e spiranti nellaluce! - L'acqua grondando dalla superior tazza di granito nel bacinosottoposto metteva uno scoppio di gemitia intervallicome un cuore chesi riempia d'angoscia e poi trabocchi in pianto. - Oh melodia delle CentoFontanepel viale de' lauri! - La città giaceva estintacome sepoltadalla cenere d'un vulcano invisibilesilenziosa e funerea come una cittàdisfatta da una pestilenzaenormeinformedominata dalla Cupola che lesorgeva dal grembo come una nube.

- Oh mare! Oh mare sereno!

Ella sentiva crescere l'affanno. Un'oscura minaccia veniva a lei dallecose. La occupò quel medesimo senso di timore che già ella aveva provatopiù d'una volta. Sul suo spirito cristiano balenò il pensiero delcastigo.

E tuttavia ella rabbrividì nel più profondo del suo essere alpensiero che l'amante l'aspettava; al pensiero dei bacidelle carezzedelle folli paroleella sentì il suo sangue infiammarsila sua animalanguire. Il brivido della passione vinse il brivido del timor divino. Edella si mosse verso la casa dell'amantetrepidasconvoltacome seandasse a un primo ritrovo.

- Ohfinalmente! - esclamò Andreaaccogliendola fra le sue bracciabevendole l'alito dalla bocca affannata.

Poiprendendole una mano e premendosela al petto:

- Sentimi il cuore. Se tu indugiavi ancor un minutomi si rompeva.

Ella mise la guancia nel luogo della mano. Egli le baciò la nuca.

- Senti?

- Sì; mi parla.

- Che ti dice?

- Che non mi ami.

- Che ti dice? - ripeté il giovinemordendola alla nucaimpedendoledi sollevarsi.

Ella rise.

- Che mi ami.

Ella si tolse il mantelloil cappelloi guanti. Andò a odorare ifiori di lilla bianchi che empivano le alte coppe fiorentinequelle del tondoborghesiano. Aveva su i tappeti un passo di straordinaria leggerezza; enulla era più soave dell'atto con cui ella affondava il viso tra leciocche delicate.

- Prendi - ella disserecidendo coi denti una cima e tenendola inboccafuor delle labbra.

- No; io prenderò dalla tua bocca un altro fioremen bianco ma piùsaporoso...

Si baciaronoa lungoa lungoin mezzo al profumo.

Egli dissecon la voce un po' mutatatraendola:

- Vienidi là.

- NoAndrea; è tardi. Oggino. Restiamo qui. Io ti farò il tè; tumi farai tante carezze buone.

Ella gli prese le maniintrecciò le sue dita a quelle di lui.

- Non so che ho. Mi sento il cuore così gonfio di tenerezza che quasipiangerei.

Le sue parole tremavano; i suoi occhi s'inumidivano.

- Se potessi non lasciartirestare qui tutta la sera!

Un'accorazione profonda le suggeriva accenti d'indefinibile malinconia.

- Pensare che tu non saprai mai tutto tutto il mio amore! Pensare cheio non saprò mai il tuo! Mi ami tu? Dimmelodimmelo semprecento voltemille voltesenza stancarti. Mi ami?

- Non lo sai forse?

- Non lo so.

Ella profferì queste parole con una voce tanto sommessa che Andrea leudì appena.

- Maria!

Ella piegò il capo sul petto di luiin silenzio; appoggiò la frontequasi aspettando ch'egli parlasseper ascoltarlo.

Egli guardò quel povero capo reclinato sotto il peso delpresentimento; sentì il premer leggero di quella fronte nobile e tristesul suo petto indurito dalla menzognafasciato di falsità. Unacommozione angosciosa lo strinse; una misericordia umana di quellasofferenza umana gli chiuse la gola. E quel buon moto dell'anima sirisolse in parole che mentivanodiede il tremito della sincerità aparole che mentivano.

- Tu non lo sai!... Hai parlato piano; il soffio ti si è spentosu le labbra; qualche cosa in fondo a te s'è levata contro quel chedicevi; tutti tutti i ricordi del nostro amore si son levati contro quelche dicevi. Tu non sai che io ti amo!...

Ella rimaneva chinaascoltandopalpitando fortericonoscendocredendo riconoscere nella voce commossa del giovine il suono vero dellapassionel'inebriante suono ch'ella credeva inimitabile. Ed egli leparlava quasi all'orecchionel silenzio della stanzamettendole sulcollo un soffio caldocon pause più dolci delle parole.

- Avere un pensiero unicoassiduodi tutte l'oredi tutti gliattimi;... non concepire altra felicità che quellasovrumanairraggiatadalla sola tua presenza su l'esser mio;... vivere tutto il giornonell'aspettazione inquietafuriosaterribiledel momento in cui tirivedriò;... nutrire l'imagine delle tue carezzequando sei partitaedi nuovo possederti in un'ombra quasi creata;... sentirtiquando iodormosentirtisul mio cuorevivarealepalpabilemescolata al miosanguemescolata alla mia vita;... e credere in te soltantogiurare in te soltantoriporre in te soltanto la mia fedela mia forzail mio orgogliotutto il mio mondotutto quel che sognoetutto quel che spero...

Ella alzò la faccia rigata di lacrime. Egli tacquearrestandole conle labbra le stille tiepide su le gote. Ella lacrimava e sorridevamettendogli le dita tremule ne' capellismarritamentesinghiozzando:

- Animaanima mia!

Egli la fece sedere; le si inginocchiò ai piedinon lasciando dibaciarla su le palpebre. A un trattoebbe un sussulto. Aveva sentito sule labbra palpitare rapidamente i lunghi cigli di leia similitudine diun'ala irrequieta. Era una carezza strana che dava un piacereinsostenibile; era una carezza che Elena un tempo soleva fare ridendopiù volte di seguitocostringendo l'amante al piccolo spasimo nervosodella vellicazione; e Maria l'aveva appresa da luie spesso egli sottouna tal carezza aveva potuto evocare l'imagine dell'altra.

Al sussultoMaria sorrise. Ecome le indugiava ancóra una lacrimalucida tra i cigliella disse:

- Bevi anche questa!

Ecome egli bevveella riseinconsapevole.

Ella esciva dal pianto quasi lietarassicuratapiena di grazie!

- Ti farò il tè - disse.

- No; rimani quiseduta.

Egli s'accendevavedendola sul divanotra i cuscini. Avvennenel suospiritouna subita sovrapposizione dell'imagine d'Elena.

- Lasciami alzare! - pregò Marialiberando il busto da un stretta. -Voglio che tu beva il mio tè. Sentirai. Il profumo t'arriverà all'anima.

Parlava d'un tè preziosogiuntole da Calcuttach'ella aveva donatoad Andrea il giorno innanzi.

Si alzò e andò a sedersi su la seggiola di cuoio dalle Chimeredoveancóra moriva squisitamente il color " rosa di gruogo "dell'antica dalmatica. Su la piccola tavola ancóra brillavano lemaioliche fini di Castel Durante.

Nel compier l'operaella diceva tante cose gentili; espandeva la suabontà e la sua tenerezza con un pieno abbandono; godeva ingenuamente diquella cara intimità segretain quella stanza tranquillain mezzo aquel lusso raffinato. Dietro di leicome dietro la Vergine nel tondodi Sandro Botticellisorgevano le coppe di cristallo coronate dalleciocche di lilla bianche; e le sue mani d'arcangelo si movevano tra leistoriette mitologiche di Luzio Dolci e gli esametri d'Ovidio.

- A che pensi? - chiese ella ad Andrea che le stava vicinoseduto sultappetocon la testa appoggiata contro un bracciuolo della seggiola.

- Ti ascolto. Parla ancóra!

- Non più.

- Parla! Dimmi tante cosetante cose...

- Quali cose?

- Quelle che sai tu sola.

Egli faceva cullare dalla voce di lei l'angoscia che gli veniva dall'altra;faceva animare dalla voce di lei la figura dell'altra.

- Senti? - esclamò Mariaversando su le foglie aromatiche l'acquabollente.

Un profumo acuto si spandeva nell'ariacol vapore. Andrea l'aspirò.Poi dissechiudendo gli occhirovesciando indietro il capo:

- Baciami.

Eappena ebbe il contatto delle labbratrasalì tanto forte che Mariane fu sorpresa.

Ella versòin una tazza la bevanda e glie la offersecon un sorrisomisterioso.

- Bada. C'è un filtro.

Egli rifiutò l'offerta.

- Non voglio bere a quella tazza.

- Perché?

- Dammi tu... da bere.

- Ma come?

- Così. Prendi un sorso e non inghiottire.

- Scotta troppo ancóra.

Ella ridevaa quel capriccio dell'amante. Egli era un po' convulsopallidissimocon lo sguardo alterato. Aspettarono che il tè sifreddasse. Ad ogni momentoMaria accostava le labbra all'orlo della tazzaper provare; poi ridevad'un piccolo riso fresco che non pareva suo.

- Orasi può bere - annunziò.

- Oraprendi un bel sorso. Così.

Ella teneva le labbra serrateper contenere il sorso; ma le ridevano igrandi occhi a cui le lacrime recenti avevan dato maggior fulgore.

- Oraversaa poco a poco.

Egli trasse nel baciosuggendotutto il sorso. Come sentiva mancarsiil respiroella sollecitava il lento bevitore stringendogli le tempie.

- Dio mio! Tu mi volevi soffocare.

S'abbandonò sul cuscinoquasi per riposarsilanguidafelice.

- Che sapore aveva? Tu m'hai bevuta anche l'anima. Sono tutta vuota.

Egli era rimasto pensosocon lo sguardo fisso.

- A che pensi? - gli chiese Mariadi nuovosollevandosi a un trattoposandogli un dito nel mezzo della frontequasi per fermare il pensieroinvisibile.

- A nulla - rispose. - Non pensavo. Seguivo dentro di me gli effettidel filtro...

Allora ella anche volle provare. Bevve da lui con delizia. Poiesclamòpremendosi una mano sul cuore e mettendo un lungo respiro:

- Quanto mi piace!

Andrea tremò. Non era quello lo stesso accento di Elena nella seradella dedizione? Non erano le stesse parole? Egli le guardava la bocca.

- Ripeti.

- Che cosa?

- Quello che hai detto.

- Perché?

- E una parola tanto dolcequando tu la pronunzii... Tu non puoiintendere... Ripeti.

Ella sorridevainconsapevoleun po' turbata dallo sguardo singolaredell'amantequasi timida.

- Ebbene... mi piace!

- Ed io?

- Come?

- Ed io... a te...?

Ellaperplessaguardava l'amante che le si torceva ai piediconvulsonell'aspettazione della parola ch'egli voleva strapparle.

- Ed io?

- Ah! Tu... mi piaci.

- Cosìcosì... Ripeti. Ancóra!

Ella consentivainconsapevole. Egli provava uno spasimo ed unavoluttà indefinibili.

- Perché chiudi gli occhi? - chiese ellanon in sospettomaaffinché egli le esprimesse la sua sensazione.

- Per morire.

Egli posò la testa su le ginocchia di leirimanendo qualche minuto inquell'attitudinesilenziosooscuro. Ella gli accarezzava piano icapellile tempiela fronte ovesotto la carezzasi moveva un pensieroinfame. D'intorno a lorola stanza immergevasi nell'ombraa poco a poco;fluttuava il profumo commisto dei fiori e della bevanda; le forme siconfondevano in una sola apparenza armonica e riccasenza realità.

Dopo un intervalloMaria disse:

- Lèvatiamore. Bisogna che io ti lasci. E' tardi.

Egli si levòpregando:

- Resta con me un altro momentofino all'Ave Maria.

E la trasse di nuovo a sedere sul divanodove i cuscini luccicavanonell'ombra. Nell'ombra egli la distese con un moto repentinole strinseil capocoprendole di baci la faccia. II suo ardore era quasi iroso. Egliimaginava di stringere il capo dell'altrae imaginava quel capomacchiato dalle labbra del marito; e non ne aveva ribrezzo ma ne avevaanzi un desiderio più selvaggio. Dai fondi più bassi dell'istinto glirisalivano nella conscienza tutte le torbide sensazioni avute in cospettodi quell'uomo; gli risalivano al cuore tutte le oscenità e le brutturecome un'onda di fango rimescolata; e tutte quelle vili cose passavano neibaci su le guancesu la frontesu i capellisul collosu la bocca diMaria.

- No; lasciami! - ella gridò liberandosi dalla stretta con uno sforzo.

E corseverso la tavola del tèad accendere le candele.

- Siate savio - ella soggiunseun poco affannataravviandosicon unagentile aria di cruccio.

Egli era rimasto sul divano e la guardavamuto.

Ella andò verso la paretea fianco del caminettoove pendeva ilpiccolo specchio di Mona Amorrosisca. Si mise il cappello e il veloinnanzi a quella lastra offuscata che aveva apparenza d'un'acqua torbaunpoco verdastra.

- Come mi dispiace di lasciartistasera!... Stasera più delle altrevolte... - mormoròoppressa dalla malinconia dell'ora.

Nella stanza il lume violaceo del crepuscolo pugnava col lume dellecandele. La tazza di tè era su l'orlo della tavolafreddadiminuita deidue sorsi. In sommo delle alte coppe di cristallo i fiori di lillaparevano più bianchi. Il cuscino della poltrona conservava ancóral'impronta del corpo ch'eravisi affondato.

La campana della Trinità de' Monti cominciò a sonare.

- Dio miocom'è tardi! Aiutami a mettermi il mantello - fece lapovera creaturatornando verso Andrea.

Egli la strinse di nuovo fra le bracciala stesela coprì di bacifuriosiciecamenteperdutamentecon un divorante ardoresenza parlaresoffocandole il gemito su la boccasoffocando su la bocca di lei unimpeto che gli venivaquasi invincibiledi gridare il nome di Elena. Esul corpo della inconsapevole consumò l'orribile sacrilegio.

Rimasero qualche minuto avvinti. Ella dissecon la voce spenta edebra:

- Tu ti prendi la mia vita!

Ella era felice di quell'appassionata veemenza.

Ella disse:

- Animaanima miatutta tutta mia!

Dissefelice:

- Ti sento battere il cuore... tanto fortetanto forte!

Poi dissecon un sospiro:

- Lasciami alzare. Bisogna ch'io vada.

Andrea era bianco e stravolto come un omicida.

- Che hai? - gli chiese ella teneramente.

Egli volle sorriderle. Rispose:

- Non avevo mai provata una commozione così profonda. Credevo dimorire.

Si volse a una delle coppetolse il fascio dei fiorie l'offerse aMariaaccompagnandola verso la portaquasi sollecitandola a partirsipoiché ogni gestoogni sguardoogni parola di lei gli dava uno strazioinsostenibile.

- Addioamore. Sognami! - disse la povera creaturadalla sogliaconla sua tenerezza suprema.

Libro quarto - 2

La mattina del 20 maggioAndrea Sperelli risaliva il Corso inondato dalsolequando si sentì chiamareinnanzi al portone del Circolo. Stavasul marciapiede un crocchio di gentiluomini amicigodendo il passaggio dellesignore e malignando. C'era Giulio Musèllarocon Ludovico Barbarisicon ilduca di Grimiticon Galeazzo Secìnaro; c'era Gino Bommìnaco; c'era qualchealtro. - Non sai il fatto di stanotte?- gli domandò il Barbarisi. - No.Quale fatto? - Don Manuel Ferresilministro del Guatemala... - Ebbene?- E' stato sorpresoin pieno giuocomentrebarava. Lo Sperelli si dominòquantunque alcuno de' gentiluomini lo guardasse con una certa curiositàmaliziosa. - E come? -Galeazzo era presenteanzi giocava allo stesso tavolo. Ilprincipe Secìnaro si mise a raccontare le particolarità. AndreaSperelli non affettò l'indifferenza. Ascoltava anzi con un'aria attenta egrave. Disseinfine: - Mi dispiacemolto. Rimase pochi altri minuti nelcrocchio; salutò quindi gli amiciper andarsene. -Che via fai? - gli domandò il Secìnaro. -Torno a casa. - Ti accompagno per untratto. S'incamminarono in giùversola via de' Condotti. Il Corso era un lietissimo fiume di soledalla piazza diVenezia alla piazza del Popolo. Le signorein chiari abbigliamenti primaverilipassavano lungo le vetrine scintillanti. Passò la principessa di Ferentino conBarbarella Vitisotto una cupola di merletto. Passò Bianca Dolcebuono. Passòla giovine sposa di Leonetto Lanza. -Lo conoscevi tuquel Ferres? - domandò Galeazzo allo Sperelli ch'erataciturno. - Sì; lo conobbi l'annoscorsodi settembrea Schifanojada mia cugina Ateleta. La moglie è unagrande amica di Francesca. Perciò il fatto mi dispiace molto. Bisognerebbecercare di dargli la minor possibile publicità. Tu mi renderesti un servigioaiutandomi... Galeazzo si proffersecon premura cordiale. - Credo - eglidisse - che lo scandalo in parte sarebbe evitato se il ministro presentasse ledimissioni al suo Governoma senza indugiocome gli è stato ingiunto dalpresidente del Circolo. Il ministro invece si rifiuta. Stanotte avevaun'attitudine di persona offesa; alzava la voce. E le prove erano là!Bisognerebbe persuaderlo... Seguitaronoa parlare del fattocamminando. Lo Sperelli era grato al Secìnarodellapremura cordiale. Il Secìnaro era predispostoda quella intimitàalleconfidenze amichevoli. Su l'angolodella via de' Condottiscorsero la signora di Mount Edgcumbe che seguiva ilmarciapiede sinistrolungo le vetrine giapponesicon quella sua andatura mollee ritmica e affascinante. - DonnaElena - disse Galeazzo. Ambedue laguardarono; ambedue sentirono il fascino di quell'incesso. Ma lo sguardo diAndrea penetrò le vestivide le forme noteil dorso divino. Quandola raggiunserola salutarono insieme; e passarono oltre. Ora essi non potevanoguardarla ed erano guardati. E fu per Andrea un supplizio nuovissimo quelcamminare a fianco d'un rivalesotto gli occhi della donna agognatapensandoche i terribili occhi si dilettavano forse d'un confronto. Egli medesimo siparagonòmentalmenteal Secìnaro. Costuiaveva il tipo bovino d'un Lucio Vero biondo e cerulo; e gli rosseggiava tra lacopia magnifica dell'oro una bocca di nessuna significazione spiritualemabella. Era altoquadratovigorosod'una eleganza non fine ma disinvolta.- Ebbene? - gli domandò Andreaspintoall'audacia da una invincibile smania. - E' a buon punto l'avventura? Eglisapeva di poter parlare in quel modo a quell'uomo. Galeazzogli si volse con un'aria tra attonita e indagatrice; poiché non s'aspettava dalui una simile domanda e tanto meno in un tono così frivolocosìperfettamente calmo. Andrea sorrideva. -Ahda quanto tempo dura il mio assedio! - rispose il principe barbato. - Datempo immemorabilea varie ripresee sempre senza fortuna. Arrivavo sempretroppo tardi: qualcuno m'aveva già preceduto nell'espugnazione. Ma non mi sonmai perduto d'animo. Ero convinto cheo prima o poisarebbe venuto il mioturno. Attendre pour atteindre. Infatti... -Dunque? - Lady Heathfield m'è piùbenigna della duchessa di Scerni. Avròio sperol'ambitissimo onore d'essereinscritto dopo tenella lista... Egliruppe in un riso un po' grossomostrando la dentatura candida. -Credo che le mie gesta indianedivulgate da Giulio Musèllaroabbiano aggiuntoalla mia barba qualche filo eroico d'irresistibile virtù. -Ohma la tua barba in questi giorni deve fremere di ricordi... -Di quali ricordi? - Di ricordibacchici. - Non capisco. -Come! Tu dimentichi la famosa Fiera di maggio dell'ottantaquattro? -Ohguarda! Mi ci fai pensare. Cadrebbe in questi giorni il terzoanniversario... Tu però non c'eri. E chi t'ha raccontato?... -Vuoi saper troppomio caro. -Dimmelo; ti prego. - Pensa piuttosto avalerti dell'anniversario con abilità; e dammi presto notizie. -Quando ci vedremo? - Quando ti piace.- Pranza con me staseraal Circoloverso leotto. Così potremo poi occuparci insieme dell'altra faccenda. -Va bene. AddioBarbadoro. Corri! Sisepararono nella piazza di Spagnaa piè della scala; ecome Elenaattraversava la piazza dirigendosi verso la via de' Due Macelli per salire alleQuattro Fontaneil Secìnaro la raggiunse e l'accompagnò. Andreadopo lo sforzo della dissimulazionesi sentiva pesare il cuore su per la scalaorribilmente. Credeva di non poterlo trascinare alla sommità. Ma egli erasicuro omai chein seguitoil Secìnaro gli avrebbe tutto confidato; e quasigli pareva d'aver ottenuto un vantaggio! Per una specie di ubriachezzaper unaspecie di follia datagli dall'eccesso della sofferenzaegli andava ciecamenteincontro a torture nuove e sempre più crudeli e sempre più insensateaggravando e complicando in mille modi le condizioni del suo spiritopassandodi pervertimento in pervertimentodi aberrazione in aberrazionedi atrocitàin atrocitàsenza potersi più arrestaresenza avere un attimo di sosta nellacaduta vertiginosa. Egli era divorato come da una febbre inestinguibile chefacesse schiudere col suo calore negli oscuri abissi dell'essere tutti i germidelle abiezioni umane. Ogni pensieroogni sentimento portava la macchia. Egliera tutto una piaga. Eppurel'ingannomedesimo lo legava forte alla donna ingannata. Il suo spirito erasi cosìstranamente adattato alla mostruosa comediache quasi non concepiva più altromodo di piacerealtro modo di dolore. Quella incarnazione di una donna inun'altra non era più un atto di passione esasperata ma era un'abitudine divizio e quindi un bisogno imperiosouna necessità. E l'istrumentoinconsapevole di quel vizio era divenuto quindi per lui necessario come il viziomedesimo. Per un fenomeno di depravazion sensualeegli era quasi giunto acredere che il real possesso di Elena non gli avrebbe dato il godimento acuto eraro datogli da quel possesso imaginario. Egli era quasi giunto a non poter piùsepararenell'idea di voluttàle due donne. E come pensava diminuita lavoluttà nel possesso reale dell'unacosì anche sentiva tutti i suoi nerviottusi quandoper una stanchezza dell'imaginazioneegli trovavasi innanzi allaforma reale immediata dell'altra. Perciòegli non resse al pensiero che Maria dalla ruina di Don Manuel Ferres gli fossetolta. Quando verso sera Maria venneegli sùbito s'accorse che la povera creatura ignorava ancóra la sua disgrazia.Mail giorno dopoella venne ansantesconvoltapallida come una morta; e glisinghiozzò tra le braccianascondendo il viso: -Tu sai? La notizia s'era sparsa. Loscandalo era inevitabile; la ruina era irrimediabile. Seguirono giorni disupplizio disperati; in cui Mariarimasta sola dopo la partenza precipitosa delbaroabbandonata dalle poche amicheassaltata dai creditori innumerevoli disuo maritoperduta in mezzo alle formalità legali dei sequestriin mezzo agliuscieri e agli usurai e ad altra gente vilediede prova di una eroica fierezzama senza riuscire a salvarsi dal crollo finale che schiacciò ogni speranza.Ed ella non volle dall'amante alcun aiutoella non parlò mai del suo martirio all'amante che le rimproverava la brevitàdelle visite d'amore; non si lamentò mai; seppe ancóra trovare per lui unsorriso men triste; seppe ancóra obedire ai capricciconcedereappassionatamente il suo corpo alle contaminazionieffondere sul capo delcarnefice le più calde tenerezze dell'anima sua. Tuttointorno a leicadeva. Il castigo era piombato improvviso. I presentimentidicevano il vero! Ed ella non sirammaricò di aver ceduto all'amantenon si pentì d'essersi data a lui contanto abbandononon rimpianse la sua purità perduta. Ella ebbe un solo dolorepiù forte d'ogni rimorso e d'ogni paurapiù forte d'ogni altro dolore; e fual pensiero di doversi allontanaredi dover partiredi doversi divideredall'uomo ch'era per lei la vita della vita. -Io moriròamico mio. Vado a morire lontana da tesola sola. Tu non michiuderai gli occhi... Ella gliparlava della sua fine con un sorriso profondopieno di certezza rassegnata.Andrea le faceva balenare ancóra un'illusion di speranzale gettava nel cuoreil seme d'un sognoil seme d'una sofferenza futura! -Io non ti lascerò morire. Tu sarai ancóra miaper lungo tempo. Il nostroamore avrà ancóra giorni felici... Eglile parlava d'un prossimo avvenire. - Si sarebbe stabilito a Firenze; di làsarebbe andato spesso a Sienasotto pretesto di studii; si sarebbe trattenuto aSiena mesi intiericopiando qualche antica pitturaricercando qualche anticacronaca. Il loro amore misterioso avrebbe avuto un nido nascostoin una viadesertao fuori delle muranella campagnain una villa ornata di maiolicherobbieschecircondata d'un verziere. Ella avrebbe saputo trovare un'ora perlui. Qualche volta anche sarebbe venuta a Firenze per una settimanaper unagran settimana di felicità. Avrebbero portato il loro idillio su la collina diFiesolein un settembre mite come un aprile; e i cipressi di Montughi sarebberostati clementi come i cipressi di Schifanoja. -Fosse vero! Fosse vero! - sospirava Maria. -Non mi credi? - Sìti credo; ma ilcuore mi dice che tutte queste cosetroppo dolcinon esciranno dal sogno.Ella voleva che Andrea la reggesse a lungo sule braccia; e rimaneva appoggiata contro il petto di luisenza parlareraccogliendosi tuttacome per nascondersicol movimento e col brivido d'unapersona malata o d'una persona minacciata che abbia bisogno di protezione.Chiedeva ad Andrea carezze spiritualiquelle che nel suo linguaggio intimo ellachiamava " carezze buone "quelle che la intenerivano e le davanolacrime di struggimento più soavi di qualunque piacere. Non sapeva comprenderecome in quei momenti di suprema spiritualitàin quelle ultime ore dolorosedella passionein quelle ore di addiol'amante non fosse pago di baciarle lemani. Ella pregavaquasi ferita dalcrudo desiderio di Andrea: - Noamore! Mi sembra che tu sia più vicino a mepiù stretto a mepiù confusocon il mio esserequando mi ti siedi accantoquando mi prendi le maniquandomi guardi in fondo agli occhiquando mi dici le cose che tu solo sai dire. Misembra che le altre carezze ci allontaninoche mettano tra me e te non so qualeombra... Non so veramente rendere il mio pensiero... Le altre carezze milasciano poi tanto tristetanto tanto triste... non so... e stancad'unastanchezza tanto cattiva! Ellapregavaumilesommessatemendo di dispiacergli. Ella non faceva che evocarememoriememoriememoriepassaterecenticon le particolarità più minutericordandosi dei gesti più lievidelle parole più fuggevolidi tutti ipiccoli fatti più insignificantiche per lei avevano avuto un significato. Ilsuo cuore tornava con maggior frequenza ai primissimi giorni di Schifanoja.- Ti ricordi? Ti ricordi? Ele lacrime d'improvviso le empivano gli occhi abbattuti. UnaseraAndrea le domandòpensando al marito: -Da che io ti conoscotu sei stata sempre tutta mia? -Sempre. - Non ti chiedo dell'anima...- Taci! Sempre tutta tua. Edegliche in questo non aveva creduto a nessuna delle sue amanti adulterelecredette; non ebbe neppur l'ombra d'un dubbio su la verità ch'ella affermava.Le credette; perchépur contaminandola eingannandola senza ritegnoegli sapeva d'essere amato da un alto e nobilespiritoegli sapeva omai di trovarsi innanzi a una grande e terribile passioneegli aveva omai conscienza di quella grandezza come della propria viltà. Eglisapevaegli sapeva d'essere immensamente amato; e talvoltanelle furie dellesue imaginazionigiungeva perfino a mordere la bocca della dolce creatura pernon gridare un nome che gli risaliva con invincibile impeto alla gola; e labuona e dolente bocca sanguinava in un sorriso inconsciodicendo: -Anche cosìtu non mi fai male. Mancavanoall'addio pochissimi giorni. Miss Dorothy aveva condotto Delfina a Siena ed eratornata per aiutare la signora negli ultimi più gravi fastidii e peraccompagnarla nel viaggio. A Sienain casa della madrela verità non eranota. Anche Delfina non conosceva nulla. Maria s'era limitata a mandar lanotizia d'un richiamo improvviso che Manuel aveva avuto dal suo Governo. Es'apparecchiava a partire; s'apparecchiava a lasciare le stanzepiene di cosedilettein mano dei periti publici che già avevano scritto l'inventario eavevano stabilita la data dell'incanto: - 20 giugnolunedìalle dieci delmattino. La sera del 9 giugnosulpunto di separarsi da Andreaella cercava un suo guanto smarrito. Nel cercareella vide sopra un tavolo il libro di Percy Bysshe Shelleyil medesimo volumeche Andrea le aveva prestato al tempo di Schifanojail volume in cui ella avevaletto la Recollection prima della gita a Vicomìleil caro e tristevolume in cui ella aveva segnato con l'unghia i due versi: " And forgetmefor I can never Be thine!" Ella lo presecon una commozione visibile; lo sfogliò; trovò lapaginai segni dell'unghiai due versi. -Never! - mormoròscotendo il capo. - Ti ricordi? E son passati ottomesi appena! Restò un poco pensosa;sfogliò ancóra il libro; lesse qualche altro verso. -E' il nostro poeta - soggiunse. - Quante volte m'hai promesso di condurmi alcimitero inglese! Ti ricordi? Dovevamo portare i fiori al sepolcro... Vuoi cheandiamo? Conducimi prima ch'io parta. Sarà l'ultima passeggiata. Eglidisse: - Andiamo domani. Andaronoquando il sole era già sul declinare. Nella carrozza copertaella teneva su leginocchia un fascio di rose. Passarono di sotto all'Aventino arborato.Intravidero i navigli carichi di vin siciliano ancorati nel porto di Ripagrande. In vicinanza del cimiterodiscesero; percorsero un tratto a piedifino al cancellotaciturni. Mariasentiva in fondo all'anima ch'ella non andava soltanto a portar fiori sulsepolcro d'un poeta ma che andava a piangerein quel luogo di mortequalchecosa di sèirreparabilmente perduta. Il frammento di Percyletto nella nottenell'insonniole risonava in fondo all'animamentre guardava i cipressi altinel cielooltre la muraglia imbiancata. "La Morte è quie la Morte è là; da per tutto la Morte è all'opera; intornoa noiin noisopra di noisotto di noi è la Morte; e noi non siamo cheMorte. " La Morte ha messo la suaimpronta e il suo suggello su tutto ciò che noi siamoe su tutto ciò chesentiamo e su tutto ciò che conosciamo e temiamo. "Da prima muoiono i nostri piacerie quindi le nostre speranzee quindi inostri timori; e quando tutto ciò è mortola polvere chiama la polvere e noianche moriamo. " Tutte le coseche noi amiamo ed abbiam care come noi stessi devono dileguarsi e perire. Taleè il nostro crudele destino. L'amorel'amore medesimo morirebbese tutto ilresto non morisse... " Varcandola sogliaella mise il suo braccio sotto quello di Andreapresa da un piccolobrivido. Il cimitero era solitario.Alcuni giardinieri davano acqua alle piantelungo la muragliafacendooscillare l'inaffiatoio con un movimento continuo ed egualein silenzio. Icipressi funebri s'inalzavano diritti ed immobili nell'aria: soltanto le lorocimefatte d'oro dal soleavevano un leggero tremito. Tra i fusti rigidi everdastricome di pietra tiburtinasorgevano le tombe bianchele lapidiquadratele colonne spezzatele urnele arche. Dalla cupa mole dei cipressiscendevano un'ombra misteriosa e una pace religiosa e quasi una dolcezza umanacome dal duro sasso scende un'acqua limpida e benefica. Quella regolaritàcostante delle forme arboree e quel candor modesto del marmo sepolcrale davanoall'anima un senso di riposo grave e soave. Ma in mezzo ai tronchi allineaticome le canne sonore d'un organo e in mezzo alle lapidigli oleandriondeggiavano con graziatutti invermigliati di fresche ciocche fiorite; i rosaisi sfogliavano ad ogni fiato di ventospargendo su l'erba la loro neveodorante; gli eucalipti inchinavano le pallide capellature che or sì or noparevano argentee; i salici versavano su le croci e su le corone il loro piantomolle; i cacti qua e là mostravano i magnifici grappoli bianchi simili a sciamidormienti di farfalle o a manipoli di rare piume. E il silenzio era interrotto aquando a quando dal grido di qualche uccello disperso. Andreadisseindicando il sommo dell'altura: -Il sepolcro del poeta è lassùin vicinanza di quella rovinaa sinistrasotto l'ultimo torrione. Maria sisciolse da luiper salire su pei sentieri angustitra le siepi basse di mirto.Ella andava innanzie l'amante la seguiva. Ella aveva il passo un poco stanco;si soffermava ad ogni tratto; ad ogni tratto si volgeva indietro per sorridereall'amante. Era vestita di nero; portava un velo nero sul visoche le giungevafino al labbro superiore; e il suo sorriso tenue tremolava sotto l'orlo nerosiombrava come d'un'ombra di lutto. Il suo mento ovale era più bianco e più purodelle rose ch'ella portava in mano. Accaddechementre ella si volgevauna rosa si sfogliò. Andrea si chinò araccogliere le foglie sul sentieroinnanzi a' piedi di lei. Ella lo guardava.Egli posò i ginocchi a terradicendo: -Adorata! Un ricordo sorse a lei nellospiritoevidente come una visione. -Ti ricordi - ella disse - quella mattinaa Schifanojaquando io tigettai un pugno di fogliedalla penultima terrazza? Tu t'inginocchiasti sulgradinomentre io discendevo... Quei giorninon somi paiono tanto vicini etanto lontani! Mi pare d'averli vissuti ierid'averli vissuti un secolo fa. Maforse li ho sognati? Giunserotra lesiepi basse di mirtofino all'ultimo torrione a sinistra dov'è il sepolcro delpoeta e del Trelawny. Il gelsominoche s'arrampica per l'antica rovinaerafiorito; ma delle viole non rimaneva che la folta verdura. Le cime dei cipressigiungevano alla linea dello sguardo e tremolavano illuminate più vivamentedall'estremo rossor del sole che tramontava dietro la nera croce del MonteTestaccio. Una nuvola violaceaorlata d'oro ardentenavigava in alto versol'Aventino. " Qui sono due amicile cui vite furono legate. Che anche la loro memoria viva insiemeora ch'essigiacciono sotto la tomba; e che l'ossa loro non sieno divisepoiché i loro duecuori nella vita facevano un cuor solo: for their two hearts in life weresingle hearted! " Mariaripetè l'ultimo verso. Poi disse ad Andreamossa da un pensier delicato:- Scioglimi il velo. Egli si appressò arrovesciando un poco il capo perché egli le sciogliesse ilnodo su la nuca. Le dita di lui le toccavano i capellii meravigliosi capellichequando erano sparsiparevano vivere come una forestadi una vita profondae dolce; all'ombra de' quali egli aveva tante volte assaporata la voluttà de'suoi inganni e tante volte evocata un'imagine perfida. Ella disse: -Grazie. E si tolse il velo di su lafacciaguardando Andrea con occhi un poco abbagliati. Ella appariva moltobella. Il cerchio intorno le occhiaie era più cupo e più cavoma le pupillebrillavano d'un fuoco più penetrante. Le ciocche dense de' capelli aderivanoalle tempiecome ciocche di giacinti bruniun po' violetti. Il mezzo dellafrontescopertoliberosplendeva nel contrastod'un candor quasi lunare.Tutti i lineamenti s'erano affinatiavevano perduto qualche parte della loromaterialitàalla fiamma assidua dell'amore e del dolore. Ellaavvolse al velo nero gli steli delle roseannodò le estremità con molta cura;poi aspirò il profumoquasi affondando il viso nel fascio. E poi depose ilfascio su la semplice pietra ov'era inciso il nome del poeta. E il suo gestoebbe una indefinibile espressioneche Andrea non poté comprendere. Seguitaronoinnanzi per cercare la tomba di John Keatsdel poeta d'Endymion. Andreale domandòsoffermandosi a riguardare indietroverso il torrione: -Come le hai avutequelle rose? Ellagli sorrise ancórama con gli occhi umidi. -Sono le tuequelle della notte di neverifiorite stanotte. Non ci credi?Si levava il vento della sera; e il cielodietro la collinaera tutto d'un color diffuso d'oro in mezzo a cui la nuvoladiscioglievasi come consunta da un rogo. I cipressi in ordinesu quel campo diluceerano più grandiosi e più misticitutti penetrati di raggi e vibrantinei culmini acuti. La statua di Psiche in cima al viale medio aveva assunto unpallore di carne. Gli oleandri sorgevano in fondo come mobili cupole di porpora.Su la piramide di Cestio saliva la luna crescenteper un ciel glauco e profondocome l'acqua d'un golfo in quiete. Essidisceserolungo il viale mediofino al cancello. I giardinieri ancóra davanacqua alle piantesotto la muragliafacendo oscillare l'inaffiatoio con unmovimento continuo ed egualein silenzio. Due altri uominitenendo per i lembiuna coltre mortuaria di velluto e d'argentola sbattevano forte; e la polveremetteva un luccichio spandendosi. Giungeva dall'Aventino un suono di campane.Maria si strinse al braccio dell'amantenonreggendo più all'angosciasentendosi ad ogni passo mancare il suolocredendodi lasciare su la via tutto il suo sangue. Eappena fu nella carrozzaruppe inlacrime disperatesinghiozzando su la spalla dell'amante: -Io muoio. Ma ella non moriva. Esarebbe stato meglioper leis'ella fosse morta. Duegiorni dopoAndrea faceva colazione in compagnia di Galeazzo Secìnaroa untavolo del Caffè di Roma. Era una mattinata calda. Il Caffè era quasi desertoimmerso nell'ombra e nel tedio. I servi sonnecchiavanotra il ronzio dellemosche. - Dunque - raccontava ilprincipe barbato - sapendo che a lei piace di darsi in circostanze straordinariee bizzarreosai... Raccontavacrudamenteil modo audacissimo con cui aveva potuto prendere Lady Heathfield;raccontava senza scrupoli e senza reticenzenon tralasciando alcunaparticolaritàlodando la bontà dell'acquisto al conoscitore. Eglis'interrompevadi tratto in trattoper mettere il coltello in un pezzo dicarne succulenta e sanguinanteche fumigavao per vuotare un bicchiere di vinrosso. La sanità e la forza emanavano da ogni sua attitudine. AndreaSperelli accese una sigaretta. Ad onta de' conatiegli non riesciva ainghiottire il ciboa vincere la ripugnanza dello stomaco agitato in sommo daun orribile tremolio. Quando il Secìnaro gli versava il vinoegli bevevainsieme il vino e il tossico. A uncerto puntoil principesebbene fosse assai poco sottileebbe un dubbio;guardò l'antico amante di Elena. Questi non davaoltre la disappetenzaaltrosegno esteriore di turbamento; gittava all'ariacon pacatezzai nuvoli di fumoe sorrideva del solito suo sorriso un po' ironico al narratore giocondo. Ilprincipe disse: - Oggi ella verrà dameper la prima volta. - Oggi? A casatua? - Sì. -E' un mese eccellente questoa Romaper l'amore. Dalle tre alle seipomeridiane ogni buen retiro nasconde una coppia... -Infatti - interruppe Galeazzo - ella verrà alle tre. Ambedueguardaron l'orologio. Andrea chiese: -Vogliamo andarcene? - Andiamo -rispose Galeazzolevandosi. - Faremo la via Condotti insieme. Io vado per fiorial Babuino. Dimmi tuche sai: quali fiori preferisce? Andreasi mise a ridere; e gli venne alle labbra un motto atroce. Ma disseincurantemente: - Le roseuna volta.D'innanzi alla Barcacciasi separarono.La piazza di Spagnain quell'oraaveva giàuna deserta apparenza estiva. Alcuni operai restauravano un condotto; e uncumulo di terradisseccato dal solelevavasi in turbini di polvere ai soffiicaldi del vento. La scala della Trinità splendeva bianca e deserta. Andreasalìpiano pianosoffermandosi ad ogni due o tre gradinicome se trascinasseun peso enorme. Rientrò nella sua casa; restò nella sua stanzasul lettofino alle due e tre quarti. Alle due e tre quarti uscì. Prese la via Sistinaseguitò per le Quattro Fontaneoltrepassò il palazzo Barberini; si arrestòpoco discostoinnanzi agli scaffali d'un venditore di libri vecchiaspettandole tre. Il venditoreun omuncolo tutto rugoso e pelloso come una testugginedecrepitagli offerse i libri. Sceglieva i suoi migliori volumia uno a unoeglie li metteva sotto gli occhiparlando con una voce nasale d'insopportabilemonotonia. Mancavano pochi minuti alle tre. Andrea guardava i titoli dei libri evigilava i cancelli del palazzo e udiva la voce del libraio confusamenteinmezzo al fragore delle sue vene. Unadonna uscì dai cancellidiscese pel marciapiede verso la piazzamontò in unavettura publicasi allontanò per la via del Tritone. Andreadiscese dietro di lei; prese di nuovo la via Sistina; rientrò nella sua casa.Aspettò che venisse Maria. Gittato sul lettosi mantenne così immobile chepareva non soffrisse più. Allecinquegiunse Maria. Ella disseansante: - Sai? Io posso rimanere contetutta la seratutta la nottefino a domattina. Elladisse: - Questa sarà la prima el'ultima notte d'amore! Io parto martedì. Ellagli singhiozzò su la boccatremando fortestringendoglisi forte contro lapersona: - Fa che io non veda domani!Fammi morire! Guardandolo nella facciadisfattagli domandò: - Tu soffri?Anche tu... pensi che non ci rivedremo più mai? Egliprovava una difficoltà immensa a parlarlea risponderle. Aveva la linguatorpidagli mancavano le parole. Provava un bisogno istintivo di nascondere lafacciadi sottrarsi allo sguardodi sfuggire alle domande. Non seppeconsolarlanon seppe illuderla. Risposecon una voce soffocatairriconoscibile: - Taci. Lesi raccolse ai piedi; restò lungo tempo con la testa sul grembo di leisenzaparlare. Ella gli teneva le mani su le tempiesentendogli la pulsazione dellearterie ineguale e veementesentendolo soffrire. Ed ella stessa non soffrivapiù del suo proprio dolorema soffriva ora del dolore di luisoltanto deldolore di lui. Egli si levò; le presele mani; la trasse nell'altra stanza. Ella obedì. Nellettosmarritasbigottitainnanzi al cupo ardore del forsennatoellagridava: - Ma Che hai? Ma che hai?Ella voleva guardarlo negli occhiconoscerequella follia; ed egli nascondeva il visoperdutamentenel senonel collone' capelli di leine' guanciali. Aun trattoella gli si svincolò dalle bracciacon una terribile espressioned'orrore in tutte quante le membrapiù bianca de' guancialisfigurata piùche s'ella fosse allora allora balzata di tra le braccia della Morte. Quelnome! Quel nome! Ella aveva udito quel nome! Ungran silenzio le vuotò l'anima. Le si aprìdentroun di quegli abissi in cuitutto il mondo sembra scomparire all'urto d'un pensiero unico. Ella non udivapiù altro; ella non udiva più nulla. Andrea gridavasupplicavasi disperavainvano. Ella non udiva. Una specied'istinto la guidò negli atti. Ella trovò gli abiti; si vestì. Andreasinghiozzava sul lettodemente. S'accorse ch'ella usciva dalla stanza. -Maria! Maria! Ascoltò. -Maria! Gli giunse il romore dellaporta che si richiuse.

libro quarto

La mattina del 20 giugnolunedìalle dieciincominciò la publica venditadelle tappezzerie e dei mobili appartenuti a S. E. il Ministro plenipotenziariodel Guatemala. Era una mattinaardente. Già l'estate fiammeggiava su Roma. Per la via Nazionale correvano su egiùdi continuoi tramwaystirati da cavalli che portavano certistrani cappucci bianchi contro il sole. Lunghe file di carri carichiingombravano la linea delle rotaie. Nella luce crudatra le mura coperted'avvisi multicolori come d'una lebbragli squilli delle cornette si mescevanoallo schiocco delle frusteagli urli dei carrettieri. Andreaprima di risolversi a varcare la soglia di quella casavagò pe' marciapiedialla venturalungo tempoprovando una orribile stanchezzauna stanchezzacosì vacua e disperata che quasi pareva un bisogno fisico di morire. Quandovide uscir dalla porta su la strada un facchino con un mobile su le spallesirisolse. Entròsalì le scale rapidamente; udìdal pianerottolola voce delperito. - Si delibera! Ilbanco dell'incanto era nella stanza più ampianella stanza del Buddha.Intornos'affollavano i compratori. Eranoper la maggior partenegoziantirivenditori di mobili usatirigattieri: gente bassa. Poichè d'estate mancavanogli amatorii rigattieri accorrevanosicuri d'ottenere oggetti preziosi aprezzo vile. Un cattivo odore si spandeva nell'aria caldaemanato da quegliuomini impuri. - Si delibera! Andreasoffocava. Girò per le altre stanzeove restavano soltanto le tappezzerie sule pareti e le tende e le portiereessendo quasi tutte le suppellettiliradunate nel luogo dell'asta. Sebbene premesse un denso tappetoegli udivarisonare il suo passodistintamentecome se le volte fossero piene di echi.Trovò una camera semicircolare. Le muraerano d'un rosso profondonel quale brillavano disseminati alcuni guizzi d'oro;e davano imagine d'un tempio e d'un sepolcro; davano imagine d'un rifugio tristee misticofatto per pregare e per morire. Dalle finestre aperte entrava la lucecrudacome una violazione; apparivano gli alberi della Villa Aldobrandini.Egli ritornò nella sala del perito. Sentìdi nuovo il lezzo. Volgendosivide in un angolo la principessa di Ferentino conBarbarella Viti. Le salutòavvicinandosi. -EbbeneUgentache avete comprato? -Nulla. - Nulla? Io credevoinveceche voi aveste comprato tutto. -Perché mai? - Era una mia idea...romantica. La principessa si mise aridere. Barbarella la imitò. - Noi cene andiamo. Non e possibile rimaner quicon questo profumo. AddioUgenta.Consolatevi. Andrea s'accostò albanco. Il perito lo riconobbe. -Desidera qualche cosa il signor conte? Eglirispose: - Vedrò. Lavendita procedeva rapidamente. Egli guardava intorno a sé le facce deirigattierisi sentiva toccare da quei gomitida quei piedi; si sentivasfiorare da quegli aliti. La nausea gli chiuse la gola. -Uno! Due! Tre! Il colpo di martellogli sonava sul cuoregli dava un urto doloroso alle tempie. Eglicomprò il Buddhaun grande armarioqualche maiolicaqualche stoffa. A uncerto punto udì come un suono di voci e di risa feminiliun fruscio di vestifeminiliverso l'uscio. Si volse. Vide entrare Galeazzo Secìnaro con lamarchesa di Mount Edgcumbee poi la contessa di LùcoliGino BommìnacoGiovanella Daddi. Quei gentiluomini e quelle dame parlavano e ridevano forte.Egli cercò di nascondersidirimpicciolirsitra la folla che assediava il banco. Tremavaal pensierod'essere scoperto. Le vocile risa gli giungevano di sopra le fronti sudatedella follanel calor soffocante. Per venturadopo alcuni minutii gaivisitatori se ne andarono. Egli siaprì un varco tra i corpi agglomerativincendo il ribrezzofacendo uno sforzoenorme per non venir meno. Aveva la sensazionein boccacome d'un saporeindicibilmente amaro e nauseoso che gli montasse su dal dissolvimento del suocuore. Gli pareva d'esciredai contatti di tutti quegli sconosciuticomeinfetto di mali oscuri e immedicabili. La tortura fisica e l'angoscia morale simescolavano. Quando egli fu nellastradaalla luce crudaebbe un po' di vertigine. Con un passo malsicurosimise in cerca d'una carrozza. La trovò su la piazza del Quirinale; si fececondurre al palazzo Zuccari. Maversoserauna invincibile smania l'invasedi rivedere le stanze disabitate. Salìdi nuovoquelle scale; entrò col pretesto di chiedere se gli avevano ifacchini portato i mobili al palazzo. Unuomo rispose: - Li portano proprio inquesto momento. Ella dovrebbe averli incontratisignor conte. Nellestanze non rimaneva quasi più nulla. Dalle finestre prive di tende entrava losplendore rossastro del tramontoentravano tutti gli strepiti della viasottoposta. Alcuni uomini staccavano ancóra qualche tappezzeria dalle paretiscoprendo il parato di carta a fiorami volgarisu cui erano visibili qua e lài buchi e gli strappi. Alcuni altri toglievano i tappeti e li arrotolavanosuscitando un polverio denso che riluceva ne' raggi. Un di costoro canticchiavauna canzone impudica. E il polverio misto al fumo delle pipe si levava sino alsoffitto. Andrea fuggì. Nellapiazza del Quirinaled'innanzi alla reggiasonava una fanfara. Le larghe ondedi quella musica metallica si propagavano per l'incendio dell'aria. L'obeliscola fontanai colossi grandeggiavano in mezzo al rossore e si imporporavano comepenetrati d'una fiamma impalpabile. Roma immensadominata da una battaglia dinuvolipareva illuminare il cielo. Andreafuggìquasi folle. Prese la via del Quirinalediscese per le Quattro Fontanerasentò i cancelli del palazzo Barberini che mandava dalle vetrate baleni;giunse al palazzo Zuccari. I facchiniscaricavano i mobili da un carrettovociando. Alcuni di costoro portavano giàl'armario su per la scalafaticosamente. Eglientrò. Come l'armario occupava tutta la larghezzaegli non poté passareoltre. Seguìpiano pianodi gradino in gradinofin dentro la casa. Francavillaal Mare: luglio-dicembre 1888.